Fisica superstar

26 Settembre 2023

La filosofia classica possedeva un’allure nobile e avvolgente, che oggi, a distanza di secoli, ne esalta le fattezze mitiche. Questa sua peculiarità era dovuta a un’ambizione che oggi sa di titanismo: non solo intendeva descrivere l’universo, ma pretendeva di cambiarlo. Se nel tempo altre scienze e altre arti hanno tentato di sostituirsi ad essa, nessuna tra queste si è saputa proiettare sulla realtà con un grado tanto alto di audacia. I risultati, sotto gli occhi di tutti, sono un mondo meno ricco di immaginazione. Eppure, sembra che negli ultimi decenni all’orizzonte venga stagliandosi una nuova pretendente, che vanta un’impareggiata capacità di supplenza, e talora mostra un ardimento e una promessa di successo persino superiori a quello dei vecchi Bacone, Spinoza o Leibniz. Una scienza che in origine era più umile, quando si autoassegnava il ruolo di ancella della filosofia, ma che oggi, forse in virtù di tanto e tanto duro praticantato, si fa carico del duplice e impossibile compito di descrivere la realtà e di trasformarla. Si tratta della fisica. 

Ci si chiede, un po’ sorpresi un po’ abbacinati, come si sia giunti al cospetto di una tale rinnovata pretesa di comprensione e dominio della natura, capace poi di introdursi nelle nostre vite e di nutrire le nostre fantasie. Alla fine dell’Ottocento, in effetti, la fisica era preda di un duraturo letargo, confinata in sotterranei spesso di fortuna, dove si tentava di raffinare un sapere che si credeva sì perfettibile, ma sostanzialmente completo. Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, questo lavorio di dettaglio e di perfezionamento fu bruscamente interrotto dalle intuizioni di nuovi e più intrepidi studiosi, convinti che quanto si era ottenuto fino ad allora non fosse che un’immagine approssimata e rudimentale dell’universo. 

Così, nei primi decenni del Novecento, essi furono capaci di imprimere svolte radicali, da cui oggi traiamo straordinari vantaggi in termini di conoscenze e tecnologie. I loro nomi sono comprensibilmente noti al grande pubblico: Max Planck, Albert Einstein, Niels Bohr, Enrico Fermi, Werner Heisenberg, assieme a molti altri. In questa lista va inserito d’ufficio Robert Oppenheimer, un tempo assai meno noto come fisico, cui Christopher Nolan ha di recente conferito una fama su scala planetaria, tale persino da far invidia a Barbie. E la fisica di questi autori novecenteschi esercita su di noi tanto più fascino in quanto, a differenza della fisica del buon senso di Newton e compagni, mette in questione tutti gli assunti e i presupposti della nostra immagine del mondo. Sulla scia di questa coraggiosa presa di distanza da quanto crediamo a tutta prima vero, in questo primo scorcio di secolo, gli eredi di quegli studiosi vanno acquisendo una popolarità talora persino maggiore: si tratta di autentiche star del firmamento mediatico, come Stephen Hawking, Peter Higgs, Michio Kaku, Giorgio Parisi, Carlo Rovelli, Roger Penrose, Kip Thorne, Steven Weinberg, Franck Wilczek e altri. 

Eppure, resta da capire come mai la fisica riesca a procurarsi un così ampio successo presso il grande pubblico, spesso accusato, a torto o a ragione, di una crescente disaffezione nei confronti delle letture complicate. La risposta, ad avviso di chi scrive, non è da rinvenirsi solamente in questa sua connaturata tendenza a flettere i limiti del nostro mondo e a introdurre idee e concetti che programmaticamente sfidano le nostre intuizioni più sedimentate. In associazione a questa, c’è un altro elemento che spiega la fascinazione collettiva per la fisica: a differenza della letteratura, del cinema o della poesia, essa avanza le sue singolari congetture con la pretesa di enucleare le verità ultime sull’universo, a tutti i suoi livelli, dallo studio delle particelle elementari fino alle scale cosmiche delle galassie.

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In ciò sta l’alchimia filosofale che si trova nelle pagine e nelle parole di questi autori tanto familiari al pubblico: la sorprendente congiunzione, avvalorata da formalismi e osservazioni sperimentali, tra intuizioni che a tutta prima ci sembrano assurde e la pretesa di svelare i segreti più riposti dell’universo. In virtù di questa giuntura tra ancoramento sperimentale e licenza d’immaginazione, è come se il pubblico fosse autorizzato, persino indotto, a ripensare da cima a fondo la propria esistenza lungo traiettorie affatto controintuitive, eppure nel conforto di calcoli esatti ed evidenze empiriche. 

Non dovrebbe stupire, quindi, che una cineasta raffinata come Liliana Cavani – ben più che lo sbarazzino Nolan, da sempre abituato a solleticare fantasie mediante efficaci flirt con la fisica – saturi la propria estetica dei richiami a uno dei testi di fisica più celebrati degli ultimi anni. L’ordine del tempo di Carlo Rovelli (Adelphi 2018) è infatti uno degli esempi più rappresentativi della forza immaginifica di cui si va qui parlando. Via via che lo si legge, siamo chiamati a immaginare come sarebbe la nostra vita se il tempo, che alcuni tra i massimi pensatori del passato hanno considerato distintivo dell’esistenza umana, fosse tutt’altro da quello che esperiamo nella nostra quotidianità. Rovelli illustra come la fisica relativistica abbia messo a soqquadro la concezione di un tempo unico, lineare, assoluto, che consentiva di ripartire un presente, un passato e un futuro validi su scala universale. All’opposto, secondo la relatività, il tempo è un parametro definito in senso locale (vale a dire dipendente dalla posizione di chi osserva), alla luce del quale una serie di eventi può essere ordinata secondo un prima e un poi; eventi che però da un’altra posizione potrebbero non presentare la stessa sequenzialità. Sicché, non esiste un presente comune a tutti, come possiamo apprendere dalla semplicità spontanea del dato empirico di due orologi atomici posti in un dislivello di pochi metri l’uno dall’altro: l’uno scorre più lentamente dell’altro, così da segnare i ritmi di un presente non univoco.

Insomma, ben più che le invasioni aliene e i viaggi del tempo, tipici della letteratura fantascientifica e della cinematografia del secondo Novecento, la fisica che oggi nutre libri e film ci invita a disfare le nostre coordinate di senso secondo gli indirizzi di teorie robuste, con effetti perturbanti di immediata ricaduta nel quotidiano. Siamo così sollecitati a ripensare la percezione di noi stessi e della nostra storia individuale, nella rinuncia di tutti i suoi tradizionali sostegni. Nel campo vastissimo della fisica si troveranno teorie che mostrano come oggetti collocati a distanza siderale si comportino come se fossero adiacenti, al punto tale da farci pensare che lo spazio fisico c’entri molto poco con la distanza tra le cose; oppure teorie che presentano gli oggetti più comuni, come gatti, alberi e sedie, quali assemblaggi istantanei di particelle, che a noi, per un inganno percettivo, sembrano dar forma a cose stabili che si muovono nel tempo; oppure ancora teorie che vogliono dimostrare, con formalismi di tutto punto, che ogni evento, il quale potrebbe avere un esito oppure un altro, ha invero ambedue gli esiti, e persino di più, perché tutti i possibili risultati si inverano in altrettanti universi paralleli – sicché c’è un mondo in cui Michele Apicella va alla festa e un altro in cui non va, un altro ancora in cui va alla festa e tutti lo notano, e persino un altro in cui va, ma trascolora nell’anonimato, e così via: tanti mondi sino a inverare tutti i possibili esiti di ogni singolo evento.

Questi non sono che pochi tra gli esempi possibili di ipotesi apparentemente stralunate, sostenute da rispettabilissimi teorici nel tentativo di risolvere alcuni rompicapi, che giocoforza ne importano altri. E mi viene da credere che questo détour nelle pendenze scoscese di un campo che pretende di dire l’ultima parola sulla realtà materiale possa avere effetti ragguardevoli sulla sua controparte culturale – proprio come accadeva negli scritti di quei mirabili esponenti della filosofia classica, insensibili alle presunte distinzioni tra cultura e natura, convinti che la trasformazione del nostro mondo interiore non potesse passare che per una conoscenza esatta di quanto ci lega intimamente a ogni altro atomo di materia sparso nel cosmo.

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