Tornano sempre le primavere, no? / Ettore Sottsass. Impegno e meraviglia

29 Aprile 2018

Era solito inviare dei brevi messaggi, impreziositi da piccoli disegni e dalla sua impareggiabile grafia. Erano messaggi che Ettore Sottsass faceva pervenire ad amiche e amici per un grazie, un augurio, un ricordo o più semplicemente per un saluto; brevi frasi, mai comuni, sempre stupite e vicine a chi leggeva. Un gesto tra i tanti attraverso i quali Sottsass amava la gente e la vita.

Un giorno, nell’ormai lontano 1987, ho ricevuto un biglietto. Gli avevo spedito delle foto scattate in occasione della vernice di una sua mostra; il biglietto era un foglio bianco formato A4.

 

 

In quella breve scritta c’è tutto Ettore Sottsass. Intendo dire che Ettore Sottsass per tutta la sua lunga vita è vissuto dentro due trame, peculiari in sé e tra di loro interconnesse, una militanza: la sua fede profonda nell’opera, nel lavoro, nella pratica quotidiana di una professione, quella dell’architetto designer, testimoniata con un rigore appassionato e uno sguardo in avanti; e la sua mai sopita meraviglia nei confronti della vita, delle espressioni diverse della realtà, culturali e naturali. 

Le due trame, il credere nel mestiere e la meraviglia esistenziale, l’hanno tenuto per mano per tutti i suoi lunghi anni, mai saturo di creare, innovare, tentare, soprattutto circondato da giovani, nuove vie, mai compromissorie e per l’architettura e per il design. 

Ettore Sottsass è nato a Innsbruck il 14 settembre 1917 ed è morto a Milano il 31 dicembre del 2007. È stato un cittadino del mondo, portandosi sempre dietro quella sua splendida faccia mitteleuropea, una traccia inconfondibile di estetica e di eleganza. 

 

Si è parlato a lungo del significato e del ruolo della cultura mitteleuropea. Al di là delle sue origini – era nato a Innsbruck e aveva vissuto i primi anni della sua vita a Trento dove il padre Ettore Sottsass Senior operava come architetto – Sottsass è stato fuori da ogni dubbio un testimone “naturale” della cultura mitteleuropea. Di quella cultura che non può operare nulla senza costruire un nuovo mondo, realtà che ha la necessità di dover essere e che persegue tale necessità etica attraverso l’elaborazione di nuovi linguaggi, di nuovi simbolismi. La realtà per Ettore Sottsass è una massa fluida e continua di sensazioni e la riflessione e la sua trascrizione operativa e realizzativa sopraggiungono solo più tardi. 

Di poche personalità si può dire come di Ettore Sottsass che abbiano segnato in modo altamente significativo e memorabile la cultura visiva, dall’architettura al design alla fotografia, italiana e europea della seconda parte del novecento.

 

Due le note centrali del suo essere architetto e designer: da una parte la sua presa di distanza dal magma della visione industriale della vita e dalla visione totalizzante che dell’esperienza umana può dare la grande industria, con il privilegiare rapporti di lavoro con la realtà artigianale, finanche alle sue espressioni più minimali; dall’altra la sua continua avversità per la forma classica predefinita, caratterizzante la sua opera di architetto e designer nelle sue prime espressioni fino alla grande avventura di Memphis all’inizio degli anni ottanta. Il movimento di Memphis fonda le sue radici nell’approccio sperimentale al design che Sottsass aveva portato avanti dalla fine degli anni settanta ed esalta le concezioni del design radicale. In Memphis si fondono mirabilmente temi provenienti dall’art déco, dalla pop art, dal movimento kitsch degli anni cinquanta e da segni della cultura di massa e della cita quotidiana, in una sintesi capace di straordinarie evocazioni e suggestioni.

Ettore Sottsass privilegiava la dimensione orizzontale lungo la quale i suoi segni, le sue opere, di architetto e designer trovavano nelle persone, lungo linee orizzontali e mai verticali, dei punti di incontro, di comunicazione, con la capacità di creare delle comunità, aree di riconoscimento estetico.

Con una creatività immensa – nutrita da una riflessione critica incessante che fa della sua opera quella di un intellettuale organico del novecento europeo – ha ricoperto il mondo di segni, di oggetti, di spazi architettonici, di scritti, apparentemente talvolta distanti, tuttavia sempre capaci di acquistare una fisionomia relazionale, una narrazione mai interrotta, per via di un gesto interiore che connetteva il tutto in una perenne aurora inaugurale. 

 

La sua opera ha una dimensione etica, nel senso che testimonia sempre la consapevolezza completa che anche nel semplice istante l’opera deve ricomprendere tutto l’essere del suo autore, tutta la sua intera individualità. In altre parole è sempre assurta allo stato etico perché capace di simbolizzare in tutte le sue forme la forza creativa della soggettività più profonda del suo autore. 

Ettore Sottsass è stato ad un tempo capace di grandi e di piccole storie. 

In Sud Tirolo, nel distretto di Aldino, a Redagno di Sopra, si può incontrare un luogo dell’anima, lo Zirmerhof, un albergo di montagna alla sommità di una valle chiusa, 1560 metri di altitudine.

Lo Zirmerhof, gestito dalla famiglia Perwanger, fa ospitalità dal 1883. Soggiornare allo Zirmerhof, immersi nella cura e nella bellezza, può significare una esperienza singolare che nel tempo ha deliziato generazioni di ospiti, tra i quali si possono ricordare grandi scienziati come Max Planck e Erwin Schrödinger. Sul limitare del grande bosco di abeti e larici, dopo il grande prato sul cui limite si erge lo Zirmerhof, svetta il grande larice, il più longevo esemplare della flora locale, piantato lì a dominare il bosco e il cielo da circa il 1780, sul trono di Vienna Maria Teresa d’Austria. È un esemplare stupendo, alto circa 30 metri e di circa 8 metri di circonferenza. Era l’albero amato da Joseph Perwanger senior, anziano proprietario e conduttore dello Zirmerhof scomparso nel novembre del 2015. I due, il grande larice e Joseph Perwanger senior si assomigliavano, carichi di anni, di memoria e di storia.

 

Si sarebbero immediatamente piaciuti Ettore Sottsass e Joseph Perwanger, simili nel tratto di timidezza empatica, nella parsimonia del gesto, nella naturalezza del narrare. Incontratisi – entrambi amanti dei bianchi aromatici –, dopo un paio di bicchieri si sarebbero presi sottobraccio e, senza bastoni, si sarebbero diretti lentamente verso il grande larice, lì in attesa del loro venire. I due si sarebbero narrati storie antiche e recenti. Avrebbero in fondo parlato entrambi di ambiente, di enacted environment: Sottsass di spazi e oggetti, Perwanger di ospitalità e servizio. Pensieri e azioni diversi ma insieme ideati per donne e uomini in ambienti viventi, dove cura e bellezza si nutrono ricorsivamente. 

È un piccolo sogno, questo, che sarebbe potuto diventare una piccola storia e a Sottsass le piccole storie e i piccoli sogni piacevano, come traccia prima capace di indicare l’enigma come nota che colora tutti gli aspetti della nostra quotidianità. 

Siamo di fronte, sottolinea continuamente Sottsass, a vaghezze e a dubbi, “nella mia esistenza tutto è sempre stato vago” e tutto questo se non diluisce l’impegno quotidiano verso una militanza professionale assidua, porta a prediligere interlocutori capaci ancora di interrogazioni, di dare risposte che non uccidano una nuova domanda: “io sono amico della gente incerta, perplessa, modesta che cerca di capire e che sempre è nello stato di uno che non ha capito. Sono molto amico della gente che ha paura”.

Nel bosco, pur con una guida autorevole come Joseph Perwanger, Sottsass avrebbe sperimentato l’incertezza nutrita dalla difficoltà di orientarsi. All’incertezza Sottsass è stato abituato per tutta la sua vita. Sosteneva che un vero professionista non può non essere incerto: il designer, l’architetto, lo scrittore, costruiscono mondi entrando con una propria teoria della realtà e da ermeneuti pensano che “la ragione diventa una specie di grande poliziotto che sa dove sta, nell’universo, il bene e il male, sa dov’è il grande e il piccolo, dov’è il bello e il brutto, sa come è il presente e come sarà il futuro e riesce anche a prevedere quello che forse ancora non sa”.

 

Commosso di fronte alla meraviglia della natura, Sottsass si sarebbe ripetuto, come titola un suo libro, “c’est pas facile la vie…”, resta sempre fondata l’ipotesi che “il problema, forse è cercare di inventare nuove perfezioni, pensare che ogni momento una perfezione che comunque si può perfezionare – voglio dire il problema permanente è costruirsi nuove perfezioni di cui poi continuare ad avere, per sempre, nostalgia”. Chi conosce la battaglia della vita sa che durerà in eterno e che alla fine resterà sempre aperta una domanda.

Tutto ciò che è esistito esiste.

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