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Expo e dintorni: mi chiedevo cosa fosse Expo
Mi chiedevo cosa fosse Expo. Poi mi sono chiesto cosa fosse per le persone.
Domenica scorsa sono entrato.
Ero riluttante. Aspettavo, rimandavo, anche per la spesa del biglietto. Per vincere questi freni avevo in testa di andare con mio figlio di undici anni, di considerarlo una guida, col suo sguardo entusiasta di bambino, così da appoggiarmici per fare le mie foto.
Poi sabato, a sorpresa, è arrivata qua a Milano la mia giovane sorella. Lei vive in Francia. Mi ha chiesto di andare insieme a vedere Expo. A quel punto, ho messo mano nel portafogli e mi sono detto andiamo a divertirci. In tre: io, zia e nipote, vale per il biglietto tariffa famiglia e si risparmia.
Expo è intrattenimento, quindi te lo devi pagare. Allora si sta in coda, si suda in mezzo agli altri ad aspettare senza insofferenze, chiacchierando e curiosando nei discorsi degli altri. È movimento, per non ammuffire; un gioco, l’uomo ha bisogno di giocare. Non ho visto intellettuali, bensì umanità divertita in barba al pianeta!
Ignoro le cifre degli incassi attuali e le proiezioni. Non so se i paesi pubblicizzeranno abbastanza i loro prodotti, la loro cultura, quello che fanno per il bene del pianeta e dell’umanità. La mia sensazione però è che Expo ce l’ha fatta: a costruire gli stand, istallare cessi per tutti, a erogare dalle fontanelle automatiche acqua fresca e frizzante. I trasporti pubblici funzionano. In tal senso ho provato tutti i modi per arrivare al sito.
Noi si andò col tram numero 12 al capolinea e poi da lì, con una passeggiata sopra la tangenziale, fino all’ingresso Est. Un’entrata defilata con padiglioni più scrausi, ma l’importante è entrare, esplorare.
Expo per me è una grande minchiata, ma è allegro. La parata degli ortaggi mascotte mi ha divertito e ho passato una domenica di svago in famiglia. Pagando.