Foto giapponesi

24 Agosto 2015

Dopo esser uscito, per la prima volta, nel 2011, in Francia, è ora finalmente stato pubblicato in Giappone, da Nanarokusha, il mitico Diario di un’indagine (1958) di uno dei più grandi, e misconosciuti, fotografi nipponici del dopoguerra: Yūkichi Watabe (1924-1993).

 

Yūkichi Watabe, A Criminal Investigation, 1958

 

Il 13 gennaio del 1958, a Mito, vicino al lago di Sembako, nella parte nord-orientale di Tokyo, furono rinvenuti un naso, due dita e un pene. Il giorno successivo, lì vicino, fu scoperto il cadavere sfigurato di un uomo, parzialmente bruciato dall’acido. Dall’impronta del pollice fu identificato come Tadashi Sato. La polizia locale iniziò le indagini, ma due investigatori furono inviati da Tokyo per tentare di risolvere il difficile caso. Watabe, che allora faceva il fotogiornalista freelance, ottenne, in via eccezionale, di poter seguire il loro lavoro, sia nei locali della polizia che nei più malfamati distretti della capitale (bar e bettole, sottoponti, scali merci, edifici abbandonati). Gli investigatori scoprirono che Sato era stato contattato da un certo Nishida che lo aveva attirato a Mito, con la promessa di un lavoro e là lo aveva ucciso per “impossessarsi della sua identità” (per questo aveva tentato di cancellargli il dito registrato nell’archivio delle impronte digitali). Ma la storia si rivelò più complicata: Nishida si chiamava in realtà Katsumi Onishi e stava cercando di cambiare identità, dopo aver già ammazzato la propria madre, il patrigno e un altro uomo. Il 16 giugno venne arrestato. Dopo il processo dovette attendere il 1965 perché la sentenza di condanna a morte venisse eseguita.

 

Il reportage è tutto realizzato con pellicola bianco e nero (35 mm) e la sequenza delle immagini permette di seguire la storia passo dopo passo. È una sorta di film poliziesco in forma di libro: senza parole ma soltanto foto, di varie dimensioni, in sequenza. I due investigatori, soprattutto il più anziano, Tsutomu Mukaida (allora 42enne e soprannominato “Dr Sumo”, per la sua passione per la lotta giapponese), sembrano Humphrey Bogart, o anche degli ispettori Colombo: fumano in continuazione, hanno sguardi truci e abiti sgualciti. Sempre con la loro buffa coppoletta calcata sulla fronte, sorprendono per la naturalezza e disinvoltura nel farsi riprendere dal fotografo (a volte, come nella prima scena, sembrano essersi messi in posa). Della truculenta vicenda, non si assiste né all’inizio (non si vede il cadavere) né alla conclusione (quando viene scoperto l’assassino). È un vero “reportage d’azione”, dove conta soltanto il frenetico agitarsi di due gatti alla ricerca del topo assassino, negli anfratti più bui della Tokyo degli anni Cinquanta.

 

 

Yūkichi Watabe, A Criminal Investigation, 1958

 

Le immagini contenute nel libro non furono mai pubblicate in maniera significativa e in modo integrale (la prima volta, nel giugno 1958, sulle pagine del rotocalco “Nippon”), mentre il fotografo era ancora in vita. Solo nel 2006 a Londra, un rivenditore acquistò circa 120 stampe di Watabe. Dopo di allora è stato possibile dar vita al libro, A criminal investigation, pubblicato nel 2011 a Parigi dalle Éditions Xavier Barral in coedizione con “Le Bal”, il maggior spazio per mostre fotografiche della capitale francese, che in quell’anno organizzò una mostra del lavoro di Watabe, con i fotografi Yutaka Takanashi e Keizo Kitajima. Quando Diane Dufour, la direttice di “Le Bal”, vide per la prima volta la serie di fotografie di Watabe colse al volo la loro qualità cinematografica: “Queste immagini sono assolutamente inconsuete per quel periodo. La loro estetica è molto più vicina ai film del grande regista cinematografico Yasujirō Ozu che alla fotografia degli anni Cinquanta”.

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