Franco Basaglia: la follia come esperienza umana

25 Settembre 2020

Ho riletto il libro di Mario Colucci e di Pierangelo Di Vittorio, che avevo letto nella sua prima edizione, e ne condivido ancora oggi le considerazioni sulla vita e sull’opera di Franco Basaglia, che sono ricondotte non solo alle loro fondazioni  sociali, ma anche culturali e filosofiche, che si intrecciano le une alle altre. Un libro che si legge, o si rilegge, con grande interesse, e che ricostruisce avvenimenti lontani che nulla hanno perduto della loro febbrile attualità.  

 

Il libro ci ricorda che la rivoluzione basagliana si è avviata lungo i sentieri conoscitivi e metodologici della fenomenologia, che egli da disciplina teorica ha convertito in disciplina incarnata nei modi concreti di fare psichiatria. 

 

La fenomenologia

 

Rileggendo questo libro, non posso fare a meno di ripensare alla fenomenologia, come a una corrente filosofica che, anche in Italia, è stata a fondamento di bellissimi lavori sulla dimensione umana della psichiatria che non hanno nondimeno cambiato il modo di fare psichiatria nei manicomi. Anche ai direttori di formazione fenomenologica sono mancati la volontà e il coraggio di tenere aperte le porte dei reparti, di non contenere i pazienti, e di entrare con loro in relazione su di un piano di reciproca accoglienza, e di reciproca immedesimazione. 

 

Sono cose, di cui ha scritto Antonio Slavich in un suo bellissimo libro, dal titolo struggente, All’ombra dei ciliegi giapponesi, contestando con parole molto dure, troppo dure, la inerzia, non la indifferenza, non la mancanza di umanità, ma la paura, e la solitudine, dei direttori di manicomio che sulla scia delle loro premesse teoriche di matrice fenomenologica avrebbero dovuto ribellarsi alle intollerabili condizioni di vita dei pazienti.  

 

Non posso non chiedermi, questo libro mi induce a farlo, come mai la fenomenologia come matrice, lo ha dimostrato splendidamente Basaglia, di un radicale e necessario cambiamento teorico e pratico del mondo della vita, e anche di quello della follia, non abbia indotto anche psichiatri di una grande sensibilità personale, e di una non comune cultura non solo clinica e psicopatologica, ma letteraria e filosofica, alla ribellione. Non mi sembra inutile in questa prefazione alla riedizione del bellissimo libro di Colucci e  Di Vittorio svolgere una qualche riflessione storica su quella che è stata la psichiatria italiana, anche la migliore, quella di matrice fenomenologica, alla quale è stata da sempre radicalmente estranea ogni psichiatria universitaria, fino alla approvazione della legge 180. 

 

Sì, Slavich descrive, sia pure con una tensione polemica troppo radicale, anche se nutrita di una passione nostalgica e dolorosa, una realtà che non si può negare, ma quali ne possono essere state le cause? Direi di avere conosciuto questi pochi psichiatri di matrice fenomenologica che dirigevano manicomi, e avevano scritto testi di alto rigore etico, e di grande valore formativo. Sono stati psichiatri esclusi, per una ragione, o per l’altra, da un insegnamento universitario, nel quale si sarebbero fino in fondo, e splendidamente, realizzati. Confrontarsi invece con la direzione di un manicomio richiedeva non solo cultura e umanità, ma anche coraggio e capacità organizzative, fermezza e passione del possibile: così Kierkegaard definiva la speranza. Cose che solo Basaglia sulla scia di intuizioni fenomenologiche di indicibile radicalità ha ideato, e ha realizzato. 

 

La psichiatria di oggi 

 

Nella psichiatria italiana di oggi i servizi di diagnosi e cura sono una dimensione essenziale di ogni strategia terapeutica e assistenziale; ma sono non di rado luoghi infelici strutturalmente, e contrassegnati da quella noncuranza etica e da quella indifferenza che non sempre si differenziano da quelle dominanti nei manicomi. Se Basaglia non fosse mancato così presto, questa psichiatria ospedaliera demotivata e non di rado destituita di umanità non ci sarebbe stata, e non si sarebbe tornati a parlare di contenzioni, e di elettroshock. Gli orrori di molti manicomi non ci sono più, ma la indifferenza, con cui da parte di alcune direzioni sanitarie, e della opinione pubblica, si guarda a quello che avviene nei servizi di psichiatria ospedaliera, continua a essere grande.

 

Cosa dire infine del territorio: dei modi con cui si fa psichiatria nel territorio? Anche qui il rischio di fare una psichiatria solo farmacologica, o solo assistenziale, è molto alto. C’è l’esempio di Trieste, che sa consegnare un grande respiro ideale e culturale ad una psichiatria territoriale, che si realizza fino in fondo nelle sue dimensioni umane e sociali. Franco Rotelli ha scritto, a questo riguardo, cose sferzanti, che dovrebbero sempre essere tenute presenti: “Il territorio, come si presenta oggi, si rivela in pochi aspetti inferiore al manicomio quanto a ottusità, chiusura, barriere fisiche e culturali, assenza di spazi, rapporti umani morti e opprimenti”: e ancora: “Accanto alla chiusura della società e a un territorio che ”respinge” invece di integrare, si delinea per i centri di salute mentale il pericolo che, a causa della vicinanza alla vita quotidiana degli utenti e dinanzi alla massiccia miseria materiale e sociale, il loro lavoro si riduca a funzioni di mero controllo e/o di gestione delle “crisi””. Al fine di evitare queste ferite sanguinanti alla psichiatria come scienza umana, e al fine di ridare passione e vita alla psichiatria, Franco Rotelli dice ancora: “l’idea centrale attorno a cui si lavora è quella di trasformare il sistema della salute mentale (istituzioni e competenze, risorse e poteri, figure professionali e soggetti coinvolti a vario titolo) in un’impresa sociale di salute”. 

 

La psichiatria di domani

 

La psichiatria, che è possibile fare oggi in Italia, è la migliore delle psichiatrie possibili: questa è l’eredità che Franco Basaglia ci ha lasciato, e che con il passare degli anni si dimostra sempre più stupefacente. Nulla potrei aggiungere a quello che hanno scritto nel loro libro di bruciante attualità Colucci e Di Vittorio. Certo, la psichiatria, che Basaglia ha ideato e ha realizzato, ha bisogno di un grande slancio ideale e di una grande passione umana e sociale, per fare rinascere fino in fondo le sue straordinarie potenzialità terapeutiche e  assistenziali, sociali e anche politiche.

 

 

Non solo la psichiatria italiana, ma la psichiatria tout court, si è oggi trasformata, almeno nei suoi esempi migliori, in una psichiatria gentile e umana, che ascolta, ed è consapevole dei valori etici che ne costituiscono l’anima. Questo mi sembra essere il messaggio più alto e storicamente inalienabile che il discorso e l’azione di Basaglia hanno saputo testimoniare, e che questo libro ci consente di conoscere in ogni suo aspetto.

 

Ripensando agli anni, in cui Basaglia ha cambiato il mondo della psichiatria, e che questo libro rende così palpitanti, si continua a essere ancora oggi stupefatti dinanzi alla rapidità con cui si è giunti alla riforma della legge sulla psichiatria, e alla chiusura dei manicomi. Nulla è invecchiato in questo libro che è anche una splendida ricostruzione non solo della trasformazione del modo di fare psichiatria, ma soprattutto del pensiero di Basaglia, della sua cultura, delle sue intuizioni fenomenologiche, che gli hanno consentito di cogliere quello che c’è di essenziale nella follia; decifrandone la ricchezza umana e la dignità, la sofferenza e la nostalgia di un ascolto che ridia un senso alla sofferenza psichica.  Come questo libro ci dice, richiamandosi a citazioni dai libri di Basaglia, si è parlato poco della sua grande cultura, e della matrice fenomenologica, che è stata a fondamento del suo pensiero, dei suoi lavori e della sua prassi rivoluzionaria. Le citazioni dimostrano la vivente attualità del suo pensiero, e sollecitano tutti, psichiatri e non psichiatri, a guardare alla sofferenza psichica come ad una esperienza di dolore e di sofferenza, che  fa parte della vita.  

 

La follia come esperienza umana

 

Sono molto belle le pagine che il libro dedica alla follia intesa come esperienza umana, e a questo riguardo, come scrivono gli autori di questo libro, Basaglia è stato affascinato dalla fenomenologia di Eugène Minkowski che si proponeva “di cercare “dietro” l’esperienza soggettiva un punto centrale, l’asse che possa costruire l’oggetto di una descrizione”. Questo consente di realizzare una psichiatria che si proponga di allargare gli spazi della reciproca comprensione fra chi cura, e chi è curato; benché questo non sia facile. Come Basaglia scrive nella citazione che ne fanno gli autori: “Anche attraverso le cure e gli sforzi della scienza in suo soccorso, il mondo malato viene soltanto sfiorato da quello sano, impedendo lo stabilirsi di un rapporto umano e approfondendo sempre più il solco che divide questi due mondi”. Ma, solo se si riesce a creare questa relazione fra chi cura, e chi è curato,  cambia radicalmente, ed è cambiato, il modo di fare psichiatria, e il manicomio non solo come istituzione, ma come Weltanschauung, è stato sconfitto. 

 

La follia non può più essere considerata come una esperienza assurda ma come soggettività, come alterità, che la fanno appartenere al mondo della vita. Non c’è altra soluzione che non sia quella di ampliare i confini della realtà così da rendere comprensibile anche quello che (apparentemente) non lo è. Sono pensieri che ancora oggi la psichiatria dovrebbe fare suoi in un momento storico in cui è divorata dalla interpretazione data dal DSM, dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, che frantuma l’esperienza unitaria della follia in frammenti, in una cascata di diagnosi senza fine. Sono considerazioni di radente attualità che oggi, ancora più di quando è uscita la prima edizione del libro, ogni psichiatra dovrebbe tenere ben presenti nella sua pratica clinica, guardando alla utopia come premessa alla conoscenza della follia, e alla cura della quale ha bisogno.

 

Il problema della diagnosi

 

Fra le pagine più affascinanti del libro ci sono quelle che si confrontano con il tema della diagnosi in psichiatria, e della esigenza di metterla fra parentesi, come momento conoscitivo, sulla scia di una delle più geniali intuizioni fenomenologiche di Edmund Husserl: quella della epoché che è sospensione del giudizio. Questo non significa, cosa radicalmente fraintesa, che Basaglia abbia negato la esistenza della malattia in psichiatria, ma invece sospendere, mettere fra parentesi, la diagnosi, consente di cogliere fino in fondo la dimensione radicale, l’essenza, della condizione umana quando, in particolare, sia ferita dalla sofferenza psichica.

 

Rileggendo questo bellissimo libro, ne ho seguito le  risonanze che ha destato nei miei pensieri e nei miei stati d’animo, e che si sono intrecciati alle mie esperienze di vita in una psichiatria che da Franco Basaglia è stata riscoperta nella sua sconvolgente umanità. Mi auguro che chiunque sia interessato ad una psichiatria umana e gentile, e voglia conoscere il suo cammino rivoluzionario, lo abbia a leggere, e non ne abbia a dimenticare la modernità, e l’attualità.

 

Le ultime cose

 

Vorrei concludere queste mie riflessioni sulla psichiatria che Basaglia ha ideato, e ha realizzato, citandone alcuni pensieri che non dovremmo mai dimenticare.  “L’importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibile può diventare possibile. Dieci, quindici, venti anni addietro era impensabile che il manicomio potesse essere distrutto. D’altronde, potrà accadere che i manicomi tornino a essere chiusi e più chiusi ancora di prima, io non lo so. Ma, in tutti i modi, abbiamo dimostrato che si può assistere il folle in altra maniera, e questa testimonianza è fondamentale. Non credo che essere riusciti a condurre un’azione come la nostra sia una vittoria definitiva. L’importante è un’altra cosa, è sapere ciò che si può fare. E quello che ho già detto mille volte: noi nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo vincere. È il potere che vince sempre. Noi possiamo, al massimo, convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo, cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare”.

 

Rileggiamo, o leggiamo, questo libro, e ci sarà possibile ripensare alle cose straordinarie, che Basaglia ha realizzato, alla luce della sua grande cultura filosofica, e della sua grandezza etica, ma anche dei suoi ideali umani e politici. Questo libro ci induce a non dimenticare un passato che si progettava mirabilmente in un futuro che è quello di oggi. 

 

Questo testo è la prefazione al libro di Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, collana 180. Grazie a questa piccola casa editrice da dieci anni si tiene viva la conoscenza e il confronto su quanto è accaduto e continua ad accadere.

 

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