Apre il museo della multinazionale del mobile / IkeaMuseum
Coraggio, l’attesa è finita, il 30 giugno apre il museo di Ikea. Finalmente potremo visitare quello che fu il primo negozio del più grande produttore di arredi del pianeta ad Älmhult in Svezia, tuffarci in tutti quei mobili, guardare come sono fatti e come si montano, esaminare l’incredibile magazzino, goderci la qualità della comunicazione visiva, vedere la fotografia di chi ha disegnato la nostra poltrona da lettura preferita… ma un attimo, tutto questo possiamo già farlo in un qualunque Ikea. Che dovremmo andarci a fare allora all’Ikea Museum? Che razza di operazione mediatica è questa? Cosa ci vogliono vendere questa volta questi virtuosi del desiderio?
Dal momento che nessuno ha ancora visitato il museo in questione, non potete aspettarvi di trovare delle risposte a domande come queste. Confido però che guardando a ciò che è stato fatto trapelare su questa nuova iniziativa, ma anche a ciò che sappiamo di Ikea avendone frequentato i templi per svariati anni (e avendo avuto come ospite fisso della libreria del bagno il fortunato catalogo), qualche considerazione la si possa fare. Nessuna luminosa risposta, al più qualche domanda pertinente.
Comincerei allora con la più banale, quella che non può che essere venuta in mente a tutti: perché il 30? Voglio dire, dovete inaugurare una cosa, potete decidere qualunque giorno e invece decidete di prendere un giorno che qualunque non è: l’ultimo del mese. Non il primo, l’1, l’inizio (di luglio), non il 23, anonimo (a meno che non siate napoletani), ma l’ultimo, la fine. Non può essere che nessuno non ci abbia pensato. E se anche fosse, il senso non cambierebbe. In Italia la ragione sarebbe stata la scadenza della rendicontazione di quel tale fondo regionale, ma in Svezia? Possibile che anche loro siano vittime di bullismo burocratico come noi? Voglio credere di no, che quello sia un paese civile, in cui se si fa cominciare una cosa dalla fine del mese qualcuno ci voglia dire qualcosa. Cosa non lo so, mi basta che ci sia qualcosa. Forse è proprio questo il senso di tutta l’operazione, un atto di fede. Il museo di Ikea è un po’ quello che San Pietro è per le chiese: non tanto una chiesa più grande (ammesso che lo spazio di Älmhult sia effettivamente più vasto di quello dei punti vendita) ma una chiesa che deve parlare delle chiese, guardando la quale siamo portati a riflettere su tutte le chiese che abbiamo visto. Quello di Ikea sarebbe insomma un metamuseo.
D’altronde un museo ha un valore celebrativo, serve a riunire una serie di oggetti che si vogliono preservare sì, ma anche a ricontestualizzarli, tirandoli fuori dal loro contesto d’uso originario e mettendoli insieme per creare relazioni inedite fra loro. Pensare un museo come un contenitore è come pensare il cibo come nutrimento: significa eliminare tutto il divertimento, e con esso la sua umanità. Il museo, ha spiegato bene Nelson Goodman, serve per “attivare” l’opera, per renderla tale. Non ci sono prima le opere d’arte e poi i musei che le conservano, l’arte e il museo si costruiscono vicendevolmente. Motivo per il quale oggi ci sono molti musei il cui valore è superiore a quello delle opere che ospitano. Pensate al Guggenheim di Bilbao. Insomma, tornando a noi, il museo di Ikea, mettendo in mostra i mobili di questa grande azienda, servirebbe a renderli altro rispetto a quello che sono, opere d’arte appunto. Il campione del design per tutti, il custode dello spirito più puro di quello che fu il disegno industriale, che vira verso il seducente mondo dell’arte? Non credo sia così semplice, e a suggerirlo sono appunto i rumors su quello che dobbiamo aspettarci da questa esposizione.
Se fino adesso la gente ha ospitato Ikea nelle proprie case è venuto il momento per loro di visitare la casa di Ikea. È questo che si legge nel sito del museo, un gioco di parole che non dice molto di cosa dovremmo aspettarci dalla casa del signor Ingvar Kamprad, padre padrone dell’azienda, meno iconico di Steve Jobs ma non meno identificabile di lui con ciò che ha creato. Il sito dice che ci saranno tre nuclei tematici: le radici dell’azienda – una sorta di “come lo feci” con protagonista Kamprad –, la storia dell’azienda e le vostre storie. A proposito della seconda sembra ci saranno prodotti di tutti i tempi, mostrati in un modo non troppo dissimile da come avviene dentro i punti vendita attuali. Ambienti perfettamente arredati in ogni minimo particolare che danno l’idea di essere vissuti, una sorta di naturalizzazione dell’arredo che fa sembrare ogni particolare necessario. Cosa che, come sappiamo, nei negozi ha come effetto collaterale il progressivo riempimento della borsa gialla che ci accompagna dall’entrata nel punto vendita. La sezione più interessante sembra di gran lunga la terza, anche se è difficile dire esattamente cosa conterrà.
Cosa significa mostrare le storie degli utenti? In che modo verrà celebrato il Dio dell’identità, figlio di Internet e del pensionamento delle Grandi Narrazioni? Non l’ho capito. L’unica cosa che ho capito è che potremo avere una copia del catalogo di Ikea con sopra la nostra faccia. A ben pensare è questo il tassello che mancava perché il percorso filosofico di Ikea giungesse al suo completamento. Quando visitiamo uno dei punti vendita siamo contemporaneamente acquirenti, consulenti, commessi, magazzinieri, trasportatori e assemblatori. Con catalogo e istruzioni al nostro fianco possiamo muoverci disinvolti fra tutti questi ruoli in nome del prezzo basso e dell’estetica. Quello che ci mancava, l’ultimo dei “dietro le quinte” da esplorare, era la realizzazione del catalogo. Così dunque il cerchio si chiude. È per questo che quella di Ikea non è una semplice esposizione ma un metamuseo.
Al suo interno si musealizza un sistema espositivo la cui cifra è sempre stato l’abbattimento di quella quarta parete commerciale che è stato il bancone del negoziante. Un negozio che ci faceva vedere come funzionava non solo il commercio di mobili – pensate al magazzino in cui possiamo muoverci spensierati – ma anche il processo di arredo – da un lato i componenti dall’altro gli ambienti completi. Se Ikea mostra come funziona un’azienda di mobili, il museo di Ikea non è che un metamuseo che espone quella sorta di museo. L’unico aspetto sul quale potrebbe esserci una differenza è l’interazione. Nel negozio-museo di Ikea siete i protagonisti, potete e dovete interagire con tutto, comprare, portare, montare, smontare, cambiare, nell’Ikea museum non sappiamo. Una cosa ci fa ben sperare: sembra che potrete comprare anche lì qualcosa. Serie speciali che, si dice, altrove saranno introvabili.
Sia come sia, quello che rimane è il fatto che Ikea è sempre un caso da studiare. Non solo per cercare di imitarne il successo, cosa più che naturale, ma per riflettere sul commercio in sé. Ikea serve a capire i negozi così come Sei personaggi in cerca d’autore serve a capire il teatro.
Dario Mangano ha pubblicato la monografia Ikea, Doppiozero Libri 2014.