Il cartello asiatico della droga
Narcotopia – indagine sul cartello della droga asiatico che ha sconfitto la CIA, di Patrick Winn (Adelphi, 2024, magistralmente tradotto dall’inglese da Svevo D’Onofrio, forse il traduttore per eccellenza nel nostro paese quando si affrontano le grandi narrazioni storiche non-fiction ambientate in Asia) è ambientato tra Ottocento e Novecento e raggiunge la nostra epoca, (Pandemia inclusa), nella regione dell’Asia orientale chiamata in lingua inglese dagli specialisti con il termine “Mainland South-East Asia”. Durante tutta la sua storia, come è stato analizzato nello studio fondamentale di James C. Scott, L’arte di non essere governati (trad. it. Einaudi, 2020), la regione degli altipiani del Sud-est asiatico è sempre stata “anarchica” per vocazione. È infatti in gran parte sfuggita alle logiche “classiche” di assoggettamento tra stati e popoli, mantenendo una sua originalità nella governance, in relazione al territorio impervio, ai diversi costumi, ai commerci su lunga distanza o alle rivalità tra potentati locali. Come ha scritto Pierre Clastres, etnologo francese allievo di Lévi-Strauss e esperto di antropologia politica, in una citazione fondamentale che inaugura il libro di Scott: “la storia dei popoli, che hanno una storia, è, si dice la storia della lotta delle classi. La storia dei popoli senza storia è, si dirà con almeno altrettanta verità, la storia della loro lotta contro lo Stato”. In questo senso, senza necessariamente dover condividere queste categorie strutturaliste e post-marxiste, da ex-cacciatori di teste, montanari atipici, indomiti guerrieri animisti (poi cristianizzati) delle vette birmane, il popolo Wa e il loro inaccessibile “stato narco-topico”, continuano ad essere ribelli più di qualsiasi altro stato ribelle del pianeta.
In tutta la loro storia, fin dall’epoca in cui lottarono per non diventare sudditi del colonialismo britannico, i Wa e il loro esercito USWA (United Wa State Army), da veri e propri “barbari necessari agli imperi”, come scrive Winn, causarono anche in epoca recente non pochi grattacapi alle rapaci agenzie imperiali statunitensi quali la CIA (Central Intelligence Agency) e la DEA (Drug Enforcement Administration), ma anche a tantissime altre realtà statali della regione. Come da loro vocazione, nonostante la violenza, rimasero indomiti e, anzi, riuscirono persino a mettere talmente in difficoltà i vari strumenti del dominio statunitense, da farli finire persino in lotta tra loro.
Detto questo, è bene spiegare ora chi è l’autore di questo libro,, una sorta di enfant prodige del reportage nel Sud-est asiatico, regione tropicale affascinante, culturalmente ricchissima, quanto tormentata. Originario delle montagne degli Appalacchi, nato nel 1981, Patrick Winn è un celebrato giornalista investigativo, residente da molti anni in Thailandia. Da Bangkok, Winn scrive principalmente di stati ribelli e di narcotraffico, sui quali ha svolto inchieste decisive - tra le quali questa – nel ruolo di corrispondente per il programma radiofonico The World. Il suo primo libro è Hello Shadowlands, sulla criminalità organizzata nella regione durante il XXI secolo. Molti dei suoi pezzi di giornalismo sono stati pubblicati da The New York Times, BBC Radio, Rolling Stone e The Times of London. È stato anche producer in Myanmar per la serie Parts Unknown del compianto chef e star televisiva Anthony Bourdain.
Se il contesto geografico è il Sud-est asiatico, il focus di Narcotopia è nello specifico la Birmania, chiamata anche Myanmar o Burma (qui termini da me utilizzati tutti e tre assieme per convenienza in quanto essenzialmente sinonimi del medesimo stato nazione, sebbene di fatto diversi tra loro nel significato) che risulta essere da tempo immemore al centro degli eventi della regione. Paradossalmente, il nome Birmania, tradotto in lingua italiana risolve alcuni problemi. In inglese, infatti, il nome Burma, inevitabilmente richiama un mondo vetusto e coloniale, sebbene fosse utilizzato anche dal fondatore della moderna nazione dopo la caduta dell’impero britannico in India, il generale Aung San, padre della celebre paladina dei diritti umani oggi caduta definitivamente in disgrazia: Aung San Suu Kyi. Utilizzando il termine Myanmar, d’altro canto, ci riferiamo all’appellativo prediletto dal sanguinario regime della giunta dei generali birmani che governano ancora oggi il paese col pugno di ferro, tramite il beneplacito della Cina. Come scrive sul campo Winn, esperendone personalmente i rischi per noi, bisogna fare molta attenzione nell’utilizzo della terminologia con la quale si è deciso di chiamare la Birmania, conversando anche solo davanti a un caffè o a una birra. Può infatti rivelare molto dell’orientamento politico del proprio interlocutore e comportare diversi rischi.
Se il focus di questo libro è la Birmania, il nucleo centrale di quest’analisi complessa e dettagliata sul narcotraffico del Sud-est asiatico è lo stato Wa. Sono molti i “perché” che ci spingono ad interessarci a Narcotopia. Oltre alla splendida copertina frutto di un’elaborazione grafica di un disegno dell’artista Channarong Pherngjanda raffigurante una stella con all’interno un papavero da oppio, per un lettore italiano esercita un grande interesse la puntuale prefazione di Roberto Saviano. Fin dalla quarta di copertina, Saviano ci esorta all’approfondimento, e facendolo quasi ci ammonisce: “chi mancherà di leggere questo libro rinuncerà all’occasione di conoscere per una volta la verità”. Del resto chi se non lui conosce bene l’argomento. Nonostante le oltre quattrocento pagine del libro (corredate da note e bibliografia) possano scoraggiare alcuni, con la sua prefazione Saviano spingerà altri ad addentrarsi nei risvolti più complessi di questa storia-reportage.
Attraverso una scrittura indomabile e veloce, un po’ come i guerrieri Wa stessi, e sempre accattivante, Patrick Winn segue un innovativo format di storytelling non-fiction che richiama quasi una “longue-durée braudeliana”, sebbene sia ambientata nel nostro Evo contemporaneo. Il soggetto di questo libro è l’oppio. Lo è nel contesto del traffico di droga nel cosiddetto “Triangolo d’Oro”, termine ormai vetusto ma che ha comunque avuto il merito di imprimere nell’immaginario collettivo contemporaneo la regione tra Birmania, Thailandia, Laos e Cambogia, che nel periodo della Guerra Fredda fu la zona di approvvigionamento principale al mondo dell’eroina.
Winn ci conduce in un viaggio torbido non solo in Birmania, ma all’interno della regione birmana più blindata, inaccessibile e pericolosa. Ci porta proprio dentro allo stato dei narcotrafficanti Wa, raccontandone persino il desiderio di emancipazione, di non voler essere quello che sono. Visto che andare oggi in Birmania da turisti-viaggiatori dopo l’ultima devastante guerra civile è rischiosissimo, ringraziamo Patrick Winn che lo ha fatto per noi, sfidando guerre, pandemie, stati canaglia, cartelli della droga e molto altro. Con Winn si viaggia nella zona della Birmania più inviolabile, che la BBC ha definito come “uno dei luoghi più segreti della terra”.
In quest’epopea c’è un grande gusto per il dettaglio, per la narrazione. Come ha scritto qualcuno, il libro ricorda per molti aspetti Il Grande Gioco, e per molti versi, nel suo coraggio, nella sua intraprendenza e nei suoi spostamenti, Patrick Winn ha molto in comune con Peter Hopkirk, giornalista britannico d’altri tempi che ha percorso i luoghi più pericolosi dell’Asia centrale. In questo senso, oltre a Il Grande Gioco ritornano in mente anche alcune scene del film L’anno del dragone di Michael Cimino.
Narcotopia ci consente di guardare in dettaglio il Sud-est asiatico, nelle sue pieghe e nei suoi enigmi. Si respira nella sua aria inebriante ma allo stesso tempo carica di miasmi, si è abbagliati dai riflessi dorati delle pagode, ma si è colpiti anche dalla sua miseria, sia di giorno che di notte. Tra fatti macabri, con una passione costante nei confronti della verità, tra violenze efferate, senza compiacimenti, traspare un grande spirito di comprensione, soprattutto nei confronti degli Wa, popolo di montagna indomito ai quali l’autore dedica di fatto questo libro fin dalla prefazione, inserendoli tra “i montanari di tutto il mondo”. È chiara infine l’ammirazione dell’autore per i popoli nativi, qui raccontati anche nel momento decisivo della loro evangelizzazione, conseguenza diretta del colonialismo.
“Il richiamo delle vette”, Winn lo trasporta nei suoi personaggi, ma da nativo dei monti Appalachi, per sua stessa ammissione, quel richiamo delle montagne gli appartiene. Veramente eccellente sia per la capacità di analizzare i fatti che per l’intraprendenza personale, Winn interpreta in prima persona anche il proprio reportage. Pur di raccontare la Narcotopia Wa l’autore è disposto a beccarsi una pallottola o a rischiare un’esecuzione sommaria. In questo senso, il suo coraggio può instillare anche in noi lettori impegnati (o meno) la passione per i viaggi avventurosi, in vista di una ricerca della verità nel nostro mondo contemporaneo alla quale non si dovrebbe mai rinunciare.