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Under a different sun / Intervista con Lerato Shadi
Per Why Africa? EX NUNC presenta una serie d’interviste con artiste africane e delle Diaspore, partecipanti al progetto curatoriale UNDER A DIFFERENT SUN. Il programma espositivo e performativo, che ha avuto luogo a Venezia a Dicembre 2016, si concentra su storie perdute e memorie negate, riviste attraverso prospettive femminili e diasporiche. UNDER A DIFFERENT SUN è un progetto ideato e curato dalle co-direttrici di EX NUNC, Chiara Cartuccia e Celeste Ricci, nel più ampio contesto della terza edizione di Venice International Performance Art Week | Fragile Body-Material Body, curata da Verena Stenke e Andrea Pagnes.
La terza intervista della serie vede la partecipazione dell’artista Sud Africana Lerato Shadi. Shadi discute l’importanza della partecipazione nella sua pratica, e ci racconta i suoi interventi performativi quali strumenti per ripensare il passato e il presente.
1-EXN Il tuo lavoro esplora i limiti della rappresentazione storiografica dominante. Sembri interessata a rendere visibili narrative del passato altrimenti dimenticate, o marginalizzate nella cultura occidentale. Quali sono le origini delle tue motivazioni artistiche?
Lerato Shadi: Credo che le ragioni risiedano nel fatto che la Storia Mondiale che mi è stata insegnata, quella con la quale mi sono sempre confrontata, sia in realtà storia del solo Occidente. Lo scoprire che una cosa tanto semplice, come il planisfero –un oggetto che tutti usiamo, che diamo per scontato– sia in realtà una grossolana distorsione con delle sfumature razziste, giacché rappresenta le parti del globo abitate da maggioranze non bianche come più piccole rispetto a quelle a prevalenza di popolazione bianca. Questo è un esempio fattuale di come strutture occidentali usino il loro potere per opprimere e distorcere. Basta scavare sotto la superfice per scoprire molti esempi di questo tipo.
2-EXN Nell’opera Seriti Se ti vediamo decorare le pareti neutre di una galleria con i nomi di donne nere, il cui fondamentale contributo alla storia sembra essere stato dimenticato dalla storiografia ufficiale. Perché è importante per te presentare questo pezzo in un tradizionale contesto di galleria?
Lerato Shadi: Per continuare a usare l’esempio del planisfero che ho menzionato in precedenza, Seriti Se è un tentativo di mettere in discussione la mappa comune. Ancora più importante, questo lavoro espone la nostra personale complicità con il sistema oppressivo. Al pubblico è richiesto di completare il lavoro partecipando, e nel partecipare gli spettatori piantano un seme destinato a distruggere la mappa che occupa le loro menti, rendendola al contempo visibile. Il mio lavoro è solitamente presentato in normali contesti di galleria, spazi che rappresentano privilegio ed esclusione. Questo stimola me e il pubblico nel metterci alla prova, forzando il modo in cui concorriamo alla violenza del negazionismo storico, non combattendo adeguatamente per l’affermazione di una narrazione storiografica più inclusiva e accurata. Accettando ciecamente e pigramente una narrativa storica inaccurata si finisce per approvare la discutibile narrativa dominante, per mezzo della propria inattività.
3- EXN: Analogamente a Seriti Se anche il video Matsogo prende in analisi i meccanismi di costruzione e decostruzione della storia, e il modo in cui questi finiscano inevitabilmente per alterare l’essenza degli eventi passati. L’azione è accompagnata da una colonna sonora particolare, che combina due canzoni della tradizione folkloristica del Setswana. Puoi dirci qualcosa di più circa questo lavoro?
LeratoShadi: Il video Matsogo è un modo per chiedersi quali siano le vere conseguenze della Conferenza di Berlino del 1884. Il lavoro fa riferimento a quello che pensiamo di sapere, a quali siano stati i veri risultati e alla grande complessità di ogni possibile risposta a qualsiasi domanda concernente quest’argomento. Il lavoro guarda all’impatto che l’introduzione delle lingue coloniali europee ha avuto sull’uso della lingua nel continente africano. Come la perdita di un linguaggio sia connessa alla perdita di una storia.
4- EXN: I tuoi interventi performativi si basano su azioni semplici, anti-spettacolari. Nella performance Mosako Wa Nako ricami per dieci giorni nello spazio vuoto di una galleria. Il prodotto finale di questo lavoro silenzioso è un tappeto rosso. Perché la ripetizione di uno stesso gesto è tanto presente nella tua pratica?
Lerato Shadi: Penso sia perché sperimento la vita di tutti i giorni come una serie di ripetizioni. Trovo che la ripetizione renda idee apparentemente semplici, ma complesse, visibili.
5- Motlaba Wa Re Ke Namileè un lavoro recente, che discute episodi di particolare brutalità che hanno caratterizzato la storia della schiavitù nel continente africano. Il lavoro utilizza un linguaggio visivo particolarmente violento, per coinvolgere lo spettatore. Quale storia stai cercando di portare alla luce con quest’opera?
Lerato Shadi: Stavo leggendo molto sul tema della resistenza e come le persone resistano all’oppressione. Questa ricerca ha rivelato che quei gruppi normalmente rappresentati come privi di voce in verità parlino forte e chiaro. Sono interessata al modo in cui la soggettività, e in particolare la soggettività di una persona ridotta in schiavitù, sia indebolita dalla storiografia. Leggevo anche di come il movimento abolizionista nero abbia attivamente combattuto questo tipo di narrativa. È stato molto interessante notare come la letteratura nera non abbia tentato di dare una voce agli schiavi –poiché questi ne avevano già una– ma abbia piuttosto riconosciuto queste voci soffocate, in modo tale da creare paralleli con la situazione attuale e rendere visibili quelle strutture che cercano di ridurre al silenzio non solo gli schiavi del passato ma anche i loro discendenti.
6-EXN:Credi che la pratica della performance possa stimolare un cambiamento nella comprensione dei passati storici, e nella ridefinizione dei modi della storiografia?
Lerato Shadi: Penso alla mia pratica performativa come a un modo di rispondere alla domanda: “Cos’è la performance?”. Sono in un processo di costante ricerca della risposta a quella domanda. Detto questo, ho un’educazione da artista visuale e sono un’artista attiva. Quindi, penso che l’arte contemporanea per me sia un modo di accendere una luce per vedere un po’ più chiaramente. Come scrive Alice Walker: “Quando teniamo in mano una luce per vedere più chiaramente quel che ci circonda, stiamo illuminando anche noi stessi”. Suona auto referenziale ma l’idea è che un cambiamento significativo e duraturo inizia dentro l’individuo. È la consapevolezza che la prossima persona senza tetto che si incontra –o chiunque si scelga di guardare dall’alto in basso– ha lo stesso valore di Bill Gates –o chiunque si scelga di guardare dal basso verso l’alto. Maya Angelo cita spesso Terenzio nel dire; “Sono un essere umano, nulla di umano mi è estraneo”. Penso che conoscere la propria storia – il buono, il cattivo, il brutto e tutto quanto ci sia in mezzo– sia liberatorio. E chi rappresenta in modo sbagliato la mappa lo fa con la consapevolezza e l’intenzione di derubare le persone della propria storia. L’obbiettivo non è solo l’asservimento fisico, ma anche quello mentale ed emotivo. Penso, spero, prego che l’arte contemporanea sia al servizio di una consapevolezza storica che affermi: “Siamo esseri umani, e per questo nulla di umano mi è estraneo”.