La ceramica di Gio Ponti

9 Settembre 2023

Il nome di Gio Ponti (1891-1979) lo conoscono tutti, anche i non addetti ai lavori, visto che si tratta di un archistar, in ordine di tempo il primo e sicuramente il più grande archistar italiano.

Ma non è sempre stato così. Oggi si stenta a crederlo, eppure la fama del maestro milanese dell’architettura e del design ha conosciuto anche tempi bui e ‘ritardi cognitivi’, se ancora nel 1982 Paolo Portoghesi così lamentava:

“Nonostante il prestigio di cui la sua opera ha goduto presso il grande pubblico e l'influenza fondamentale che Gio Ponti ha esercitato sulle trasformazioni del gusto in Italia, durante un lunghissimo periodo che coincide quasi con la metà di un secolo, la sua figura di artista è tra le meno indagate ed apprezzate dalla critica ed è rimasta assente anche dal recente e proficuo lavoro di approfondimento condotto dai critici delle nuove generazioni sulle alterne vicende del movimento moderno.”

Insieme a Portoghesi, sul catalogo di quella mostra, dedicata alle ceramiche di Ponti e tenutasi nel 1982, al Centro Internazionale di Brera, scriveva anche Anty Pansera, allora giovane studiosa, oggi tra i massimi esperti italiani di design ceramico, compasso d’oro alla carriera ed ora curatrice del MIDeC, il Museo Internazionale Design Ceramico di Laveno Mombello (Va), dove, come manifestazione d’esordio del suo mandato, ha scelto di rendere omaggio all’opera ceramica di un grande maestro con la mostra 100% Un centenario e cento pezzi: Richard-Ginori e Gio Ponti.

Ed incipit non poteva essere più felice e significativo, in questo 2023 che è l’anno di tre importanti centenari per il mondo del Design. 

Infatti, nel 1923 non soltanto aveva avuto inizio il felicissimo sodalizio di Gio Ponti con la ceramica Richard Ginori (che sarebbe durato un decennio e che la mostra al MIDeC celebra), ma, e soprattutto, quello stesso anno ha visto nascere le prime Biennali di Arti Decorative e Industriali Moderne. Queste poi, divenute Triennali nel 1933, si sarebbero spostate da quella che fu la loro culla, la Villa Reale di Monza, nella loro residenza definitiva, il Palazzo dell’Arte appositamente costruito a Milano da Giovanni Muzio per accoglierle e dove si continua a condurre un fondamentale lavoro di ricerca nel campo dell’architettura e del design. Inoltre, il 1923 aveva tenuto a battesimo l’Università delle Arti Decorative, la prima e la più autorevole scuola italiana per il futuro Design (che ancora non si chiamava così), poi divenuta l’altrettanto prestigioso Istituto Statale d’Arte, che ha visto alternarsi sulle sue cattedre maestri e maestri, i cui nomi sarebbe troppo lungo elencare (se ne legga qui su Doppiozero).

“Gio Ponti […] non ha mai progettato/lavorato per la SCI, Società Ceramica di Laveno, né suoi manufatti sono conservati al MIDeC.” Informa il comunicato stampa della rassegna. “Il MIDeC di Laveno Mombello rende omaggio alla storia delle manifatture Richard-Ginori, che fu una delle ‘scintille’ da cui nacque il Museo stesso: nel 1965 infatti la Richard-Ginori fuse la propria azienda con la SCI – Società Ceramica Italiana di Laveno e lasciò poi una cospicua donazione di manufatti che pose le basi di quello che è oggi il Museo, istituito nel 1971 nel cinquecentesco Palazzo Perabò.”

Tuttavia nessuno dei manufatti ceramici donati era a firma di Gio Ponti.

E allora, di cosa tratta la mostra?

Tratta di più di cento pezzi raccolti nel tempo da un collezionista lavenese, tutti realizzati dal Maestro milanese nel decennio in cui fu direttore della Manifattura di Doccia. E tra questi molti sono dei capolavori, entrati a buon diritto nella storia dell’arte internazionale. 

Realizzata con il parternariato della Triennale Milano, e delle diverse istituzioni che avevano supportato nel 1923 la Prima Mostra delle Arti Decorative in Villa Reale a Monza, la rassegna è curata da Anty Pansera e da Giacinta Cavagna di Gualdana, con l’allestimento dello scenografo Ivo Tomasi. Inaugurata il 15 luglio, sarà visitabile fino all’8 ottobre 2023.

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Laveno Mombello, Anty Pansera mentre allestisce la mostra dedicata alle ceramiche di Gio Ponti. A destra: una veduta dell’allestimento della mostra.

Il percorso espositivo inizia proprio con alcuni dei pezzi ceramici che Richard Ginori aveva presentato per la prima volta a Monza nel 1923. Sebbene questi fossero stati progettati da Gio Ponti, allora giovanissimo, furono esposti senza l’indicazione del nome del loro autore ma come opere Richard Ginori tout court. Tuttavia, già nella seconda Biennale monzese, il nome di Ponti, che nel frattempo era divenuto famoso e apprezzato per la grazia, la raffinatezza e l’eleganza colta delle sue creazioni ceramiche, apparirà in catalogo accanto a quello della ditta produttrice.

Così ne scrisse il critico d’arte Raffaello Giolli sulle pagine della rivista Emporium nel 1929:

“Davanti a quasi tutte le ceramiche di Ponti si sta fermi a fantasticare, come leggendo un romanzo o una novella.”

Le loro forme che attingono in modo libero al repertorio della classicità, i loro colori accesi e vivaci (Tutto al mondo deve essere coloratissimo era uno dei motti del Maestro, che ritroviamo in un articolo da lui scritto nel 1952 per la rivista Pirelli), insieme ai soggetti dipinti che, se pure attinti dal mondo reale, paiono usciti dalle favole, costituiscono un unicum nel mondo della ceramica, in cui è impressa in modo indelebile e perfettamente riconoscibile la mano raffinata e sapiente e – perché no? – a volte perfino ironica del loro creatore.

A partire dal 1930, in occasione dei lavori ceramici da presentare alla IV Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Monza, Ponti e i suoi collaboratori intensificano la ricerca e la sperimentazione sugli smalti e sui colori.

Ed ecco allora perfezionarsi il gran rosso di Doccia (che sembra il rosso pompeiano redivivo), l’oro a punta d’agata (la punta d’agata ricorda gli stilus degli antichi scribi, quegli attrezzi che venivano impiegati per eseguire i decori in oro), il celadon (ovvero quel color verde giada caratteristico della porcellana cinese), il nero metallico (denotato da un effetto screziato o scintillante) e il blu a gran fuoco, che è passato alla storia come Blu Ponti, con sfumature del blu cobalto e del turchese. Soltanto un altro grandissimo, prima di Gio Ponti, l’immenso Duccio di Buoninsegna ha avuto l’onore di vedere abbinato il proprio nome ad un blu, definito, appunto, dagli storici dell’arte, Blu di Duccio. Scusate se è poco.

Tra le forme classiche rivisitate da Gio Ponti, quella delle ciste è sicuramente tra le sue predilette, forse perché è la più architettonica, ricordando, come fa, un tronco di colonna.

“Per quanto riguarda le forme, Gio Ponti affianca ai modelli già ricorrenti alcune nuove tipologie: la cista, ad esempio, nel mondo greco ed etrusco ‘piccolo’ recipiente per articoli da toilette o per oggetti cerimoniali, rivisitata però nella dimensione, ed innovata nei particolari, il piede di base e la presa del coperchio, una scultura – spesso un angelo – modellata da Italo Griselli, lo scultore che rende tridimensionali i suoi schizzi.

Le coppe, di memoria greca, i grandi vasi, di ricordo preelladico, gli orci etruschi, le urne ‘romane’ dalla forma arrotondata ed ovoidale, le anfore, sono certo i pezzi che lo interessano maggiormente dal punto di vista ideologico – come attestano i numerosi schizzi per la loro messa a punto che costellano le sue lettere a Doccia – anche se poi cura sempre che la serie sia completata dai tradizionali piatti, grandi piatti e oggetti d’arte. […] La grammatica e la sintassi che Ponti utilizza, e di cui i disegni preparatori sono le ‘parole’ che di volta in volta si possono aggregare a formare frasi sempre diverse, poggia certo su una sicura conoscenza del mondo del passato, i cui temi sono affrontati con razionale chiarezza ma anche con sottile ironia interpretativa.” (Pansera 82)

Nei più di cento pezzi facenti parte della splendida collezione lavenese troviamo boli, bomboniere, bottiglie, calamai, ciotole, coppe, fermacarte, pannelli decorativi, piastrelle, piatti, portafiammiferi, portagioie, scatole, sculture, tazze, tazzine, urne e vasi, vasi di ogni foggia e dimensione, che riprendono, interpretandole in modo moderno e originalissimo le forme della tradizione vascolare greca, etrusca, romana antica e rinascimentale, ma anche di quella contadina, senza rinunciare a guizzi Déco.

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Gio Ponti, Società Ceramica Richard Ginori, Otre, Vaso delle donne e dei Fiori, Serie Le mie donne, maiolica, dal 1923.

 

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Gio Ponti, Società Ceramica Richard Ginori, Urna Triumphus Fortunae, 1930, in porcellana a fondo blu gran fuoco e decorazioni in oro segnate a punta d’agata, sul coperchio una colomba stilizzata. Plastica, Pellegrino stanco, maiolica, 1925-28, modellata da Salvatore Saponaro.

A proposito dei motivi decorativi pontiani, così Pansera: 

“Nudi efebici, figurette slanciate che intrecciano danze e carole tra colonne, losanghe, riquadri, decorazioni ad onde, a stuoia o labirintiche («si presta a decorazioni eleganti e classiche orientali su forme geometriche…», scrive l'architetto accompagnandone lo schizzo) ammiccano argute tra le colonne di palme o sorridono ironiche tra le nubi. 

Ed è proprio questa scanzonata spigliatezza nel trattare la seriosità del mito del Mediterraneo, e che ci strappa un sorriso, che impone questo stralcio dell'attività di Ponti.”

E poi catene, archi, corde, obelischi, archi di trionfo, greche alla greca, labirinti, decori ponteschi, personaggi del circo, belle mollemente adagiate su solide nuvole spesso sferiformi, puttini danzanti, pellegrini stanchi, scene bucoliche di vendemmie, vedute architettoniche stilizzate, barchette a vela e molto altro ancora. Se per i suoi temi decorativi Gio Ponti attinge al repertorio della tradizione classica, non disdegna neppure quello della tradizione popolare italiana, né rinuncia ai temi della classicità rinascimentale e del neoclassicismo settecentesco, ma lo fa con uno sguardo rivolto anche a quel che stava accadendo nell’arte in Europa. (Avete mai riflettuto su quanto del Surrealismo vi sia nel suo immaginario?)

Ciò che lascia incantati nelle decorazioni di Ponti, qualsivoglia esse siano e qualunque sia la forma alla quale le applica, sta nella percepibile ricerca che egli attua sulla spazialità intrinseca alla forma stessa, che la decorazione finisce per esaltare anziché costituire motivo della gravezza paventata da Loos. D’altra parte Ponti, da immenso architetto qual è, crea spazi anche quando progetta il decoro delle sue ceramiche. 

Maiolica, porcellana, terraglia dura e terraglia tenera, alla Manifattura di Doccia Ponti sperimenta tutti processi di lavorazione possibili in campo ceramico, raggiungendo degli esiti che, insieme alla gradevolezza formale dei manufatti, al cromatismo precipuo e alle decorazioni ‘alla Ponti’ (che diventeranno una moda), alla loro apprezzatissima vena sentimentale e lirica, oltre a risollevare, come auspicato, le sorti della Richard-Ginori, proietteranno l’azienda da allora e per sempre ai vertici del mercato ceramico internazionale.

Oggi un pezzo storico della ceramica di Gio Ponti nelle aste di design (che hanno contribuito alla fama e alla fortuna del Maestro, raggiunta prima presso il pubblico dei collezionisti che non nel mondo dei critici e degli storici dell’architettura e dell’arte, e questo va ricordato) viene battuto a cifre da capogiro. Il che fa della collezione esposta a Laveno un unicum irripetibile di immenso valore artistico, culturale e non solo.

Merita una visita.

Per saperne di più:

Anty Pansera, Paolo Portoghesi, Gio Ponti alla Manifattura di Doccia, Sugar Edizioni, 1982

AA. VV., Gio Ponti. La collezione del Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia, Maretti Editore, 2019

In copertina, Gio Ponti, Società Ceramica Richard-Ginori, ciotola Domitilla, serie Le mie donne, s.d. Ciotola in maiolica smaltata anche internamente in blu, con figura femminile (Domitilla) nuda sdraiata su corde.

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TAGGED: Giò Ponti

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