La Germania non ha mai pagato. Intervista con Thomas Piketty
Noi tedeschi possiamo essere soddisfatti del fatto che anche il governo francese riconosca la validità del dogma della politica del risparmio di Berlino?
Nient’affatto. Questo non è motivo di soddisfazione, né per la Francia né per la Germania e neppure per l’Europa. Semmai ho molto timore che i conservatori soprattutto in Germania stiano per distruggere l’Europa e l’idea di Europa e ciò a causa della loro assoluta incapacità di avere una memoria storica.
Ma noi tedeschi non abbiamo forse elaborato la storia?
Ma non per quanto riguarda la cancellazione del debito tedesco. E pensare che proprio per l’attuale Germania sarebbe importante ricordarsi di quella storia. Provi ad esaminare la storia dei debiti pubblici: l’Inghilterra, la Germania e la Francia si sono tutte già trovate nella situazione della Grecia di oggi, erano gravate da un debito addirittura maggiore. La prima lezione che si può dunque trarre dalla storia dei debiti pubblici è che oggi non ci troviamo di fronte a problemi nuovi. Ci sono sempre stati molti modi di cancellazione dei debiti e non solo uno, come Parigi e Berlino vogliono insegnare ai greci.
Ma non dovrebbero secondo lei pagare i loro debiti?
Il mio libro (Il Capitale nel XXI secolo) racconta la storia degli introiti e dei patrimoni, ivi compresi quelli pubblici. Ciò che mi colpì quando lo scrivevo era il fatto che la Germania fosse effettivamente l’esempio principe di un paese che nella sua storia non ha mai pagato i suoi debiti pubblici. Né dopo la prima né dopo la seconda guerra mondiale. Pretese che fossero altri a pagare, ad esempio dopo la guerra franco-tedesca del 1870 quando volle dalla Francia un elevato pagamento che poi per altro ottenne e che costò per decenni molti sacrifici allo stato francese. La storia degli indebitamenti pubblici ha molti aspetti ironici. Difficilmente corrisponde alle nostre concezioni di ordine e giustizia.
Dobbiamo allora rassegnarci a non cercare oggi una soluzione migliore a questo problema?
Se sento i tedeschi di oggi che dicono di avere un approccio molto morale alla questione dei debiti e che sono fermamente convinti che i debiti debbano essere pagati mi viene da dire: ma questa è una vera barzelletta! Proprio la Germania è il paese che non ha mai pagato i suoi debiti. Come fa a dare lezioni ad altri paesi?
Non vorrà presentare gli stati che non pagano i loro debiti come vincitori?
Proprio la Germania è uno di questi stati. Ma andiamoci piano.
La storia ci insegna che uno stato con alti debiti ha due possibilità per saldarli. Il primo è quello seguito dal Regno Unito nel 19. secolo dopo le guerre napoleoniche costate una fortuna. Si tratta del metodo lento, quello che si consiglia oggi anche alla Grecia. L’Inghilterra risparmiò le somme del debito grazie a una politica di bilancio rigorosa, cosa che funzionò ma durò un tempo infinito. Per più di 100 anni gli inglesi destinarono dal due al tre per cento del loro PIL al pagamento dei debiti, più di quello che investirono in scuola e formazione. Questo non era necessario e non dovrebbe esserlo nemmeno oggi. Poiché il secondo metodo è assai più rapido.
La Germania l’ha sperimentato nel XX. secolo. Essenzialmente consiste di tre componenti: inflazione, una imposta straordinaria sui patrimoni privati, e tagli ai debiti.
E ora lei ci sta dicendo che il nostro miracolo economico si basava su tagli dei debiti, che oggi vogliamo negare ai greci?
Esattamente. Lo stato tedesco dopo il ’45 era indebitato per una somma pari al 200% del suo PIL. Dieci anni dopo di quel debito rimaneva ben poco, l’indebitamento era sceso al 20%. Anche la Francia conseguì un risultato analogo nello stesso periodo. Una riduzione dei debiti di questa entità non sarebbe stata possibile con le sole politiche di bilancio che oggi consigliamo alla Grecia. Al contrario le nostre due nazioni applicarono la seconda soluzione impiegando le tre componenti di cui dicevo ivi incluso il taglio dei debiti. Pensi alla Conferenza sul debito che si tenne a Londra nel 1953, in cui il 60% dei debiti esteri tedeschi furono annullati, cosa che consentì di ristrutturare il debito interno della giovane Repubblica federale.
Ciò accadde perché ci si era convinti che le enormi richieste di restituzione degli oneri della guerra, richiesti ai tedeschi dopo la Prima guerra mondiale, siano state fra le cause della Seconda Guerra Mondiale. Questa volta si era deciso di condonare ai tedeschi i loro debiti!
Macché! In quella decisione non c’entravano le considerazioni morali, si trattava di una valutazione razionale di politica economica. Si valutò correttamente che dopo grandi crisi che comportano grandi debiti arriva prima o poi un momento in cui bisogna pensare al futuro. Non si può pretendere dalle nuove generazioni di pagare per decenni le colpe dei padri. Ora è chiaro che i greci hanno commesso gravi errori. Fino al 2009 i governi di Atene hanno truccato i loro bilanci. Per questo tuttavia la giovane generazione dei greci non ha una responsabilità maggiore di quella dei giovani tedeschi degli anni ’50 e ’60. Ora dobbiamo guardare avanti. L’Europa fu fondata sul fatto che si sono dimenticati i debiti e che si è investito sul futuro. E cioè non sull’idea della penitenza eterna. Non possiamo dimenticarlo.
La fine della seconda guerra mondiale ha segnato una frattura della civiltà. L’Europa si era trasformata in un campo di battaglia. Oggi non è più così.
Rifiutare il confronto storico con il dopoguerra sarebbe sbagliato. Prendiamo la crisi finanziaria del 2008/2009. Non si è trattato di una crisi qualsiasi! È stata la maggiore crisi finanziaria dal 1929. Dobbiamo invece farli questi confronti storici. E questo vale anche per il prodotto sociale lordo dei Greci: tra il 2009 e il 2015 si è ridotto del 25%. Qualcosa di comparabile con le recessioni di Germania e Francia tra il 1929 e il 1935.
Molti tedeschi pensano che i greci non abbiano ancora riconosciuto i loro errori e vogliano continuare a farli aumentando il disavanzo dello stato.
Se negli anni Cinquanta avessimo detto a voi tedeschi che non avevate riconosciuto fino in fondo i vostri errori sareste ancora lì a pagare i vostri debiti. Per fortuna siamo stati più intelligenti.
Il ministro delle finanze tedesco sembra invece incline a pensare che un’uscita della Grecia dall’eurozona creerebbe le condizioni di un’Europa più compatta.
Se cominciamo a buttare fuori le nazioni, la crisi crescente di fiducia in cui si trova oggi l’eurozona è destinata ad aumentare. I mercati finanziari si rivolgerebbero subito al prossimo paese e questo sarebbe l’inizio di una lunga agonia in cui rischieremmo di sacrificare sull’altare di una politica del debito conservatrice e irrazionale il modello sociale europeo, la sua democrazia, la sua stessa civiltà.
Non pensa che noi tedeschi siamo già molto generosi.
Ma cosa sta dicendo? Generosi? La Germania finora ha guadagnato con la Grecia in quanto le ha accordato crediti per un tasso di interesse piuttosto elevato.
Quale è la sua proposta di soluzione della crisi?
Abbiamo bisogno di una conferenza sull’insieme dei debiti europei come fu fatta dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una ristrutturazione del debito non è solo inevitabile per la Grecia ma in molti altri paesi europei. Abbiamo appena perso sei mesi in trattative del tutto poco chiare con la Grecia. La convinzione dell’eurogruppo secondo la quale la Grecia sarà in grado in futuro di avere un avanzo di bilancio del 4% per cui potrà ripagare il suo debito in 30-40 anni non è ancora stata accantonata. Vale a dire che nel 2015 ci sarà un avanzo dell’1%, nel 2016 del 2%, nel 2017 del 3,5%. Una totale follia! Non sarà mai così, ma in questo modo rimandiamo semplicemente alle calende greche il necessario dibattito sul debito.
E cosa accadrebbe dopo il grande taglio dei debiti?
Ci sarebbe bisogno di una nuova istituzione democratica europea, che decida sul livello di debito ammissibile per evitare una nuova crescita del debito stesso. Potrebbe essere per esempio una camera parlamentare europea, come emanazione dei parlamenti nazionali. Le decisioni di bilancio non possono essere sottratte ai parlamenti. Sottrarsi alla democrazia come oggi sta facendo la Germania insistendo sui meccanismi di regolazione del debito degli stati stabilite a Berlino è un errore madornale.
Il suo presidente François Hollande non ha avuto successo con la sua critica al patto fiscale.
Questo non migliora le cose. Se negli scorsi anni le decisioni europee fossero state prese in modo democratico ci sarebbe oggi in tutta Europa una politica del risparmio meno restrittiva.
Ma nessun partito in Francia è d’accordo con questa posizione. La sovranità nazionale è considerata sacra.
In effetti in Germania quelli che pensano di rifondare l’Europa in senso democratico sono in numero maggiore rispetto ai francesi in prevalenza legati all’idea di sovranità. Inoltre il nostro presidente continua a sentirsi prigioniero del referendum fallito del 2005 sulla costituzione europea. Hollande non capisce che la crisi finanziaria ha cambiato molte cose. Dobbiamo superare gli egoismi nazionali.
Quali egoismi nazionali vede in Germania?
La Germania mi appare oggi come fortemente segnata dalla riunificazione. Per molto tempo si è temuto che essa facesse arretrare economicamente la nazione. Eppure la riunificazione funzionò assai bene grazie a un modello sociale efficace e a strutture industriali intatte. Ora però il paese è così orgoglioso del suo successo che pretende di dare lezioni a tutti gli altri. Questo è un po’ infantile. Capisco naturalmente quanto sia stata importante la riunificazione vincente del paese per la storia politica personale di Angela Merkel. Ma ora la Germania deve voltare pagina, altrimenti la sua posizione sulla questione del debito diventerà un pericolo serio per l’Europa.
Cosa suggerisce alla cancelliera?
Quelli che oggi vogliono cacciare la Grecia dall’eurozona finiranno nella pattumiera della storia. Se la cancelliera vuole garantirsi il suo posto nella storia, così come fece Kohl con la riunificazione, deve impegnarsi a trovare una posizione comune che risolva la questione greca e dare vita a una conferenza sul debito che ci permetta di ricominciare da zero. Ovviamente con una disciplina di bilancio assai più severa che in passato.
Intervista pubblicata su "Die Zeit". Traduzione di Roberto Gilodi.