La musica: un sentimento (pop)olare

23 Aprile 2014

La pubblicazione di Apocalittici e integrati nel 1964 illuminò di una luce diversa il mondo in statu nascendi della cultura di massa, lungo un solco già tracciato da Roland Barthes con Miti d’oggi nel 1956 e da Edgar Morin con Lo spirito del tempo nel 1962. La scelta da parte di un intellettuale di occuparsi di temi legati alla cultura bassa, come il fumetto e la televisione, suscitò grande scalpore e discussione, ma furono le poche pagine dedicate a Rita Pavone a scatenare nei titoli giornalistici le reazioni più indignate. In una scala di valori del disgusto, era l’accostamento della filosofia con la canzonetta ad occupare il primo posto. La decisione di dedicare attenzione agli eventi musicali denotava invece in Eco la capacità di presagire che un fenomeno sociale e culturale di lì a poco sarebbe divenuto pregnante.

 

Tra le icone internazionali che oggi possiedono un posto d’onore nella memoria, all’epoca era già in auge Elvis Presley, mentre i Beatles erano ancora in fase di emersione. In Italia i Fab Four erano ancora misconosciuti tanto che in un articolo su L’Unità del 23 luglio di quell’anno venivano definiti ripetutamente come Beatle’s. Lo scenario musicale nazionale era ancora dominato da nomi nostrani, sebbene influenzati da atmosfere di provenienza straniera, come Mina (già Baby Gate), Adriano Celentano – già apparso ne La dolce vita imitando Elvis – e, appunto, Rita Pavone. È su di lei che Umberto Eco si intrattiene, considerandola rappresentativa di quelle inedite tendenze che pervadevano l’universo giovanile. Se l’adozione dello swing e del jazz nella generazione precedente poteva ancora essere letta come una scelta culturale consapevole, la “musica di consumo” veniva irrimediabilmente letta dagli intellettuali dell’epoca come pura manipolazione commerciale e come decadimento irrimediabile. La posizione di Eco non era però attestata su una banale legittimazione tout court oppure su una cinica constatazione di un fenomeno che rispondeva a un bisogno di modelli di identificazione.

 

All’interno del fenomeno musicale egli rilevava espressioni di immediatezza e di vitalità generazionale che evidentemente non trovavano altre modalità per manifestarsi. Una vitalità che in parte poteva anche essere pura evasione ma non per questo doveva essere liquidata come puro rifiuto dell’impegno politico o di una coscienza critica, categorie in quel momento dominanti in ambito intellettuale. In quel momento storico la cultura si prendeva molto sul serio anche perché era la società a prenderla sul serio, a differenza della nostra situazione odierna in cui gli intellettuali sono socialmente poco considerati, e quindi, oltre il tempo limite, si sforzano di flirtare con il pop proprio per poter acquisire una visibilità oramai perduta.

 

Eco nel 1964 stava provando con il suo saggio a gettare un ponte tra le sponde della cultura alta e della cultura bassa (high brow / low brow), riconoscendo una serie di caratteristiche positive alla diffusione della cultura di massa, la quale per alcuni aspetti, a suo dire, assumeva i caratteri di una vera e propria “cultura popolare”. Tra i prodotti “bassi” degni di un giudizio “alto” egli forniva l’esempio dei Peanuts, ma anche della musica jazz, nata in un contesto postribolare ma poi tramutatasi in forma estetica. Non si spingeva a inserire esplicitamente Celentano o Rita Pavone tra questi esempi, perché probabilmente lontani dal suo gusto musicale che era di fatto pre-pop. Il suo intervento mirava in ogni caso a ricercare una sorta di “terza via” che conducesse ad una musica di massa meno condizionata dal mercato, ma che non fosse un semplice fenomeno di evasione. Una realtà espressiva che potesse mostrare come fosse superata una rigida distinzione gerarchica tra livelli di cultura.

 

Quella sua presa di posizione politico-culturale, assieme ad altre, ha di fatto contribuito a generare nel giro di un decennio la nascita in Italia di studi sui media in ambito accademico, nonché una diversa valutazione del ruolo sociale della televisione, e inoltre del riconoscimento dello statuto artistico oramai più che accreditato del fumetto.

 

Il mondo musicale da un certo punto di vista non ha beneficiato dello stesso trattamento e in parte tuttora nel campo della cultura continua a portarsi dietro lo stigma dell’oggetto trash, in particolare in ambito accademico. D’altra parte, solo qualche anno dopo la pubblicazione di Apocalittici e integrati, sarebbe emerso in Italia l’universo della canzone d’autore, rappresentando così la risposta più compiuta ad un'esigenza musicale che fosse assieme culturale. Senza quella formula espressiva veicolata attraverso la canzone non avremmo potuto godere di Luigi Tenco, Giorgio Gaber, Fabrizio De André o Francesco Guccini, per limitarsi solo a nomi che hanno poi di recente ricevuto una legittimazione culturale completa, sebbene talvolta postuma, e che in modo diverso, sono poi assurti a punti di riferimento della cultura italiana contemporanea. Se poi estendiamo lo sguardo alla scena internazionale, se avessimo trascurato il potenziale “culturale” dell’universo musicale, fatto proprio da più generazioni consecutive di giovani, non avremmo ricevuto una lettura del mondo da una diversa angolazione, come quella che ci hanno restituito Bob Dylan, Lou Reed o Bruce Springsteen, i Beatles e tutto il rock inglese, i movimenti culturali come il punk o il reggae, per citarne solo alcuni. Non avremo compreso per tempo la rilevanza di una fenomeno come David Bowie, attraverso il quale oggi potremmo tra l’altro rileggere l’intera storia della cultura visiva degli ultimi quarant’anni. Infine guardando Palombella rossa, un film sulla crisi della cultura comunista italiana, quando Nanni Moretti/Michele Apicella cantava “Questo sentimento popolare, nasce da meccaniche divine…” non saremmo stati in grado di coglierne la citazione.

 

Pur essendo stato pubblicato qualche tempo prima che la grande rivoluzione musicale giovanile invadesse l’intero globo, Apocalittici e integrati ha avuto il merito di aprire alcune porte attraverso le quali altri sono riusciti a passare per consentire, nonostante le resistenze conservatrici tuttora vive, di comprendere il valore intrinseco, al di là di quello sociologico, di molti fenomeni musicali legati alla cultura di massa.

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