La polifresa. Ticinocittà

6 Settembre 2015

Babel 2015 (Bellinzona, 17-20 settembre)

Le letterature della Svizzera

 

Nel 2015 il festival Babel è svizzero: dieci anni di viaggio attraverso le lingue e le letterature mondiali ci portano sulla soglia di casa e, come dopo ogni viaggio, quella soglia è diversa. Entriamo. C’è una forte tensione tra le lingue, tra lingua e dialetti, tra oralità e scrittura, che sta dando risultati letterari senza precedenti. Perché la lingua della Svizzera è la traduzione, e per essere viva deve ascoltare e farsi interprete delle voci della sua confederazione di culture: il tedesco e i suoi dialetti svizzeri, l’italiano e il francese, il romancio e le lingue dell’immigrazione, le varie ibridazioni del parlato – tutte chiavi per accedere, scrivendo, alla propria parola partendo dalle lingue date.

 

Come anticipazione di alcune tematiche del Festival, Babel ha raccolto e commissionato per doppiozero una serie di testi che si confrontano con la dimensione dialettale e vernacolare, ma anche più generalmente orale e colloquiale: a livello di scrittura creativa, il rapporto con il dialetto non è che il caso più marcato del rapporto con la lingua parlata, quindi del rapporto tanto con un contesto socio-culturale specifico quanto con quell’aspirazione universale della letteratura, la voce umana.

 

Abbiamo cominciato con le riflessioni dell'autore svizzero Friedrich Dürrenmatt sul rapporto tra lingua parlata e lingua letteraria, per proseguire con un testo di Corina Caduff, Dialetto e lingua scritta nella letteratura. Ora su invito di Babel due scrittori molto diversi attraversano per primi, da sud a nord e da nord a sud, il diaframma che divide la Svizzera come la conosciamo oggi, con la sua ferrovia e la sua estensione, le sue Alpi e la loro verticalità, e quella di domani, con la sua «ferrovia di pianura attraverso le Alpi», l’Alptransit. Il risultato, Gotthard Super Express, un volume pubblicato da Humboldt editore nel quale i testi di Matteo Terzaghi e Peter Weber sono accompagnati da un saggio fotografico di Laurence Bonvin. Pubblichiamo qui in anteprima alcuni estratti del testo di Peter Weber, nella traduzione di Ada Vigliani.

 

 

 

Espresso

 

 

dice a Dubai nel ristorante più in alto dell’edificio più alto del mondo, qualche minuto prima dell’inaugurazione, lo Chef de Service italiano con lo sguardo alla telecamera, adesso ho bisogno di un espresso; ma dovendo attendere brevemente al banco, che fa capo proprio a lui, si rivolge allo sbalordito cameriere in servizio, originario del subcontinente indiano –  quanto training, quanta tremarella per poter essere ora quassù –, e con leggerezza gli domanda: “Espresso, you know what that means?”. L’espresso fu inventato alla stazione di Milano, espresso era il nome del treno a vapore che faceva solo fermate brevi, sicché in testa al binario si approntò una macchina anch’essa a vapore, che con la pressione faceva precipitare l’acqua attraverso i chicchi macinati: ne consegue un caffè corto, da bersi tutto d’un fiato, per risalire subito in carrozza, la locomotiva sta già sbuffando, listen, dice lo Chef de Service, e il cameriere dietro il banco leva verso di lui lo sguardo di chi, trepidante, confida in lui : the machine needs to be under steam, dev’essere sempre alla temperatura di regime, espresso: you understand, altrimenti si chiamerebbe delay.

 

 

Bocca sudovest

 

Una gita nel Vallese pochi anni fa: la prima Trasversale era già stata aperta, tu però non te ne sei ancora ben reso conto e ti accomodi nel vagone-ristorante. Il lago nella sua tavolozza di azzurri, prima di Spiez chiedi il menu ma è troppo tardi: solo da bere, dice la cameriera in una nuova lingua basica e nella posizione di vantaggio di chi la sa più lunga di te, niente posate a Spiez e le bevande si pagano subito, vous pourriez payer maintenant, monsieur? Tu paghi con sguardo interrogativo e subito arriva la risposta: un ritmo silenzioso, sei dentro la montagna, assenza di vibrazioni, corri tra canne illuminate, hai a malapena finito la tua bibita che già vieni lasciato – sputato quasi – in un avamposto del Sud: sole eccetera. Con la coda dell’occhio vedi lateralmente il cementificio sull’arido pendio calcareo da cui escono i binari, come se l’impianto continuasse a produrre in automatico. La bocca del tunnel a trapezio scaleno si trova nel bel mezzo del cementificio. La vicinanza con Zurigo che il Vallese ora si ritrova ad avere è pura irrealtà, spariscono parti dell’Oberland. Trovi Visp City rinnovata che meglio non si può, funzionale, in attesa delle masse. Elvezia vestita di nuovo. Benvenuti nell'Arth-Goldau del Sudovest.

 

ph. Laurence Bonvin

 

 

Chiamata in teleselezione

 

Un mattina prima di pranzo due chiacchiere con Matteo Terzaghi, il tuo pendant giù a sud, la tua interfaccia. In primo luogo, triangolazioni: in quale lingua vogliamo comunicare? Lui parla tedesco meglio di quanto tu parli italiano, è vissuto a Zurigo, capisce benissimo il tedesco standard, e ancor meglio il tedesco bernese, sua moglie lo parla con i figli. Tu hai un certo orecchio da meridionale, coltivato in mezzo a leccesi, calabresi, siciliani, parli l’italiano di strada. Ciascuno userà la propria lingua, decidete, ma standardizzata, tu parlerai il tedesco standard, quindi quello di Hannover, della Bassa Sassonia, e lui il cosiddetto italiano standard: quello di Bologna, magari? Sarebbe possibile un’altra via a ovest sotto le arcate burgunde, lui ha studiato all’università di Ginevra, tu parli un francese scolastico, da liceale. Accordo: parlerete inglese solo in casi di emergenza. Matteo abitava a Zurigo e lavorava a Bellinzona, conosce quel tratto di ferrovia per averlo percorso centinaia di volte. Primo titolo proposto: La traversata del Gottardo in treno, da tradurre assolutamente con una parola composta: Gotthardzugsdurchfahrt, Gottharddurchquerungen. Tu, nord-sud, dice lui, io, sud-nord. Regolazione della prospettiva. E tu, in quale persona racconti, domanda lui. Probabilmente in seconda persona, dici tu – bene, dice lui, io in prima.

 

 

Descrivi:

 

Fra la Stazione centrale e Zürich Altstetten stanno nascendo due ponti a binario unico. Il grande viadotto del passante ferroviario: un ponte proiettato fuori dalla città, giù verso la valle della Limmat; un ponte che apre la vecchia stazione di testa verso ovest (e quindi anche un po’ verso est). Descrivi le fasi della sua costruzione, con traffico ferroviario in corso, alla luce del sole meridiano e nello scintillio della sera sui binari, soffermandoti sulla vista dalla Hardbrücke o da uno dei grattacieli. Descrivi gli elementi seriali in calcestruzzo che spuntano dal terreno dove sono posati i binari, bellezze da brivido – dietro gli assi protettivi è in funzione una gigantesca stampante 3D, può essere azionata dall’alto del grattacielo e procede nel suo lavoro. Ponteggi multidirezionali. Descrivi ancora gli operai migranti, che vivono nei cantieri, sempre sul punto di trasferirsi al cantiere successivo. Descrivi le nuove tratte. Linee di ponti, mentre scivoli via con l’Intercity, elementi ascensionali, linee di luce, tese alla ricerca del cielo, a trascinare l’orizzonte, mentre nel viaggio di ritorno affondano, si intingono nelle tenebre. Questo nuovo intreccio di fili dal finestrino perfettamente isolato ti ricorda la sequela di mondi ipogei di quel cittadino di Coira, insonne indagatore della notte o delle tenebre: H.R., figlio di un farmacista del luogo, cresciuto nella vecchia città vescovile. Fra gli scaffali carichi delle paterne boccette, si era aperta davanti al ragazzo una porta su quella scala in discesa che si perdeva nell’oscurità, scala di una segreta, scala che conduceva nel pre-retico.

 

ph. Laurence Bonvin

 

 

La visione di Giger

 

Un sistema di tunnel a stella sotto l’intera Svizzera, così da non dover mai risalire all’aperto, mai alla luce del sole. La sua era una premonizione: piramidi a ogni portale, un tunnel a pentagramma sotto la croce bianca. Ha inviato i suoi disegni al Consiglio federale, accompagnati dalla postilla: “Non c’è via che, dal sottosuolo della Svizzera, conduca in superficie”. E in alto loco essi furono accolti con sentiti ringraziamenti e nulla più. Le coperture dei portali agli ingressi della galleria di base del Gottardo a Erstfeld e a Bodio sono risultate a forma di piramide. Alla cadenza semioraria fa  seguito quella al quarto d’ora – seguiranno treni tutti in partenza ogni sette minuti e mezzo? Stiamo abbandonando il sistema babilonese sessagesimale e misuriamo in frazioni di quarzo. In particelle visibili e invisibili. Nella nuova stazione passante sono già in vigore rapidi tempi d’attesa, ci sono panche di granito fresco e luminoso, fatte apposta perché non ci si sieda sopra o, quand’anche, solo per poco tempo. Belle non-panche. Troppo fredde. I nuovi rifugi sono luminosi. Nessuno dovrà sostarvi.

 

 

Standby

 

Una mattina apri la tua casella di posta elettronica. Creatura degli abissi, leggi nella finestrella di un pop-up, vedi una piccola lampreda, un animale dei primordi, un essere elementare, clicchi sulla piccola immagine: la bocca rotonda ha già risucchiato l’intero schermo. Guardi in quelle fauci rossastre, munite di denti cornei, gialli e appuntiti. Guardi le mole rotanti. Questo essere anguilliforme, dicono, è antichissimo, esiste da 500 milioni di anni e, da allora, è rimasto quasi immutato. Tu digiti testi, da quando hanno cominciato a costruire questa galleria, gli inizi si perdono già in nebulose lontananze, hai esordito scrivendo nel tempo proprio, magari alcuni miliardi di anni fa. La galleria di base del Gottardo sarà inaugurata già il prossimo anno? Sì, i lavori sono proceduti più rapidamente del previsto, ci sarà un’inaugurazione anticipata. Persino i soggetti di solito ben informati non sono più al corrente, non ricordano più date, misure, tempi, le tratte sono lunghe, le lacune colmate con il sapere di un clic.

 

 

Là dove finisce il mondo, là dove lo scrosciare è più forte

 

Un pomeriggio alla stazione di Göschen. Tutt’attorno lo scintillio umido delle rocce, la neve è ancora bassa. Sulla piazza della stazione la ditta del marmista Indergand, nello spazio prospiciente ci sono graniti e gneiss, materiali di risulta dalla costruzione della galleria stradale negli anni Settanta. Sono pietre grezze, frammenti spigolosi, attaccati dall’umidità, la luce del sole aiuta a scoprirne il bagliore. In piazza un autobus in attesa, vicino – ed è l’unica automobile – la limousine di lusso nera 4x4 dell’hotel più prestigioso di Andermatt. Due olandesi con il trolley sono appena scesi dalla cremagliera, cercano il treno rapido in direzione nord e attraversano la piazza gettando ombre, mentre le ombre dei trolley si allungano sempre più. Al binario 1 ci sono sedie di alluminio intorno a tavoli di alluminio vuoti. Solo una persona nell’ombra lunga della pensilina: l’autista di un bus, fuma un curly. Legge il tuo sguardo interrogativo e, senza che tu lo interroghi, racconta: per questo piccolo bistro abbiamo lottato. Una volta i treni a vapore si fermavano per 25 minuti, dici tu, le locomotive venivano staccate, al buffet della stazione si serviva un menu con diverse portate, camerieri in livrea, in una coreografia ben orchestrata. Da molto tempo il buffet della stazione è chiuso, vuoto, abbandonato, un unico guardiano per l’intera vallata, per tutti gli impianti, dice, le SSB investono altrove, adesso speriamo nell’UNESCO. Con l’elettricità si era passati ai treni in transito. In un’ala del buffet hanno sistemato da poco un plastico della ferrovia del Gottardo, non è quello che è stato per tanto tempo al Museo dei trasporti? I trenini dei plastici viaggiano a vapore, crede lui, con minivapore. Guardando dai vetri, vedi i banconi vuoti. Puri e semplici volumi.

 

C’è sempre qualcosa che ti attira a Göschen … Visita notturna alla stazione. L’ultimo autobus parte vuoto. Azzurrine lontananze innevate, si percepisce la vicinanza del ghiacciaio. I rumori hanno il suono chiaro della notte: acqua dei torrenti che riempie la valle. Treni merci che arrivano sferragliando, che scompaiono nello stridore dei freni, che aspettano e si rimettono in moto con un gracidio, schiocchi di bagliori elettrici nella galleria. Distributori automatici di bevande. Dietro i vetri e le lamelle delle persiane la sagoma di un uomo che lavora, da solo, alla luce di uno schermo. Ti siedi sulla fredda sedia di alluminio del bistro, vedi i pendolini silenziosi, all’interno dei vagoni altri patiti del display. I pendolini, fra non molto desueti, escono dalla notte, per un istante segnati dalle lame delle luci a lunga durata che illuminano la stazione, e poi si immergono e scompaiono nel nero della montagna, nel nero della valle. L’ultimo treno da Göschen parte alle 23 e 40, ferma ad Airolo, Biasca, Bellinzona, Lugano e, passata da un bel pezzo la mezzanotte, termina la sua corsa a Chiasso. Stai pensando ai vecchi treni notturni, di cui hai solo sentito parlare: d’inverno chi non aveva casa saliva, prima di mezzanotte, sull’espresso ben riscaldato Basilea – Chiasso e ritorno. Sonno spiraliforme dei senzatetto, sonno sibilante nei vecchi vagoni. I controllori facevano finta di non vedere.

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