L'impresa culturale: un'impresa sociale?
Se è vero, come prevede l’articolo 9 della Costituzione, che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica”, la costante e drastica riduzione di risorse in questo settore impone inevitabilmente delle riflessioni su soluzioni innovative in grado di sostenere maggiormente l’ "economia della cultura".
Un ruolo di primo piano può essere svolto dalle imprese sociali, quali ad esempio le organizzazioni contenute nel libro primo del Codice Civile - associazioni (riconosciute e non), fondazioni e comitati – così come gli altri soggetti presenti all’interno del nostro ordinamento, quali le fondazioni di partecipazione e gli enti disciplinati dalla legislazioni speciale. Fra questi - tralasciando le “istituzioni culturali” definite come tali da specifiche disposizioni normative – si possono individuare le organizzazioni di volontariato, le cooperative sociali, le associazioni di promozione sociale, le Onlus e le imprese sociali ex lege.
Al riguardo, sia il D. Lgs 460/97, che ha istituito la figura delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, sia il D. Lgs 155/06 che disciplina l’impresa sociale ex lege, contengono un esplicito riferimento all’ambito culturale. In particolare, nel primo caso fra i settori di attività all’interno dei quali possono operare le Onlus, l’articolo 10 del D. Lgs 460/97 ricomprende anche la “promozione della cultura e dell’arte”, mentre per le imprese sociali ex lege il decreto prevede che queste ultime possano occuparsi anche di “ricerca ed erogazione di servizi culturali”.
Al di là delle diverse modalità attraverso le quali possono essere declinate le attività di promozione, ricerca ed erogazione di servizi, è interessante notare come il legislatore, fra gli ambiti di intervento strategici in grado di generare una utilità sociale a vantaggio della collettività diffusa, individua anche quello culturale. Guardando alle “forme” giuridiche, invece, anche se il modello predominante sembra essere quello legato all’associazionismo privato - forse in virtù della disciplina di favore prevista dalla normativa fiscale (l’articolo 148 del TUIR stabilisce, ad esempio, che “per le associazioni (…) culturali, (…) non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti (…)) - si stanno comunque diffondendo delle formule imprenditoriali “ibride”, che si ritiene possano rappresentare una valida alternativa alle organizzazioni senza scopo di lucro “tradizionali”. Fra queste, una novità di grande interesse è rappresentata dalle start-up innovative a vocazione sociale, soggetti che - oltre a presentare tutti i requisiti indicati dall’articolo 25 del D.L. 179/2012 - operano in via esclusiva nei settori di attività delle imprese sociali ex lege.
Senza entrare nel merito delle singole disposizioni contenute nel provvedimento, è opportuno precisare come - più che di un nuovo modello societario - si tratta di una qualifica che possono acquisire le società di capitali, costituite anche in forma di cooperativa, purché abbiano quale oggetto sociale lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.
L’innovazione, in questo caso, oltre a rappresentare un requisito richiesto dalla legge, risiede nella possibilità di far coesistere attività di impresa e finalità di interesse collettivo - anche nell’ambito della “ricerca ed erogazione di servizi culturali” - all’interno di un ente che vede un divieto di distribuzione degli utili solo temporaneo. La norma introduce, inoltre, agevolazioni fiscali in favore dei soggetti che investono nel capitale delle start-up innovative un elemento che, di certo, può costituire una leva importante per la loro capitalizzazione.
Uno dei punti nodali è, comunque, rappresentato dalla necessità per le imprese di reperire nuove fonti di finanziamento, alternative o quanto meno complementari al grant. L’introduzione per le start-up innovative del crowdfunding equity based - ovvero la possibilità di raccogliere capitali di rischio tramite portali on-line - costituisce una novità di grande rilievo, ma permane comunque la necessità di favorire un maggiore coinvolgimento dei privati, anche tramite meccanismi agevolativi che siano in grado di far confluire risorse verso progetti ed iniziative ad alto impatto sociale e culturale.
L’imprenditoria sociale può sicuramente assumere un ruolo importante all’interno di questa industry, ma ciò deve essere accompagnato da provvedimenti che possano supportare la creazione di un “ecosistema” funzionale allo sviluppo di nuove imprese e rendano maggiormente attraenti gli investimenti culturali.
L'articolo pubblicato è stato scritto da un avvocato specializzato in diritto degli enti non profit cui ci siamo rivolti per avere un contributo puntuale sulle disposizioni di legge che regolano le imprese sociali. Giuseppe Taffari collabora con lo studio R&P Legal