Lisa Ponti: i disegni mi salvano

20 Aprile 2023

C’era un pallone bianco appeso al soffitto della casa di Via Randaccio, la casa che Gio Ponti aveva costruito per la sua famiglia. Quel pallone era un lampadario, la grande sfera di carta-seta bianca progettata da Isamu Noguchi. Un “astro domestico” come lo definì il maestro, che così ne scrisse: “Proiettavamo delle diapositive su un tratto di muro: qualcuno, chissà, Joseph Rykwert, urtò il proiettore, l'immagine saltò sui muri, sopra i mobili, sul pallone enorme: sui muri (rosa) aperse le finestre, fece entrare il sole sul pallone e lo fece scomparire e le immagini si separarono dalla parete. Un prodigio. Kaufmann ne fu estasiato. Uno spettacolo eccezionale, disse Ray Eames, che pure lo vide, non ci avevo pensato, ma dove trovo ora un pallone così? La parete diventava aria, campi, sole, acqua; un quadro rimastole appeso era appeso nel vuoto con un colore non suo.

[…] Scompare la parete dietro la proiezione; il pallone raccoglie al volo le immagini, le ingrandisce a suo modo e lancia la sua ombra contro il muro; le persone presenti nella stanza si mischiano in realtà ed in ombra ai personaggi riflessi.” (Domus, n.427, 1965)

Le diapositive che venivano proiettate per questo che Gio Ponti definì “Il gioco del pallone di via Randaccio” erano spesso quelle scattate da Lisa (1922 -2019), la sua figlia maggiore, che lavorava con lui a Domus (e prima aveva collaborato a Stile) come giornalista di arte e di architettura, professione che la portava in giro per il mondo a scrivere delle opere e dei loro autori che hanno fatto la storia del novecento e a fotografare tutto con la sua inseparabile Rolleiflex. Lisa aveva imparato ad amare quella macchina fotografica e a servirsene con maestria quando era stata a lungo ospite di Charles e Ray Eames, in California, i quali giravano sempre con le loro Rollei appese al collo, pronti a cogliere ogni dettaglio, perché, dicevano che “i dettagli non sono dettagli. Sono l’essenza del progetto.”

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Il gioco del pallone di via Randaccio, 1964; dal manifesto della mostra alla Fondazione Stelline, Milano, 2005. Sul divano, i due figlioletti di Lisa Ponti, Salvatore, seduto e Matteo, di spalle. A destra alcuni degli effetti del ‘Gioco del pallone’.

Lisa scriveva, e scriveva bene, come suo padre. Come a lui, le piaceva disegnare, in più scriveva fiabe. Aveva scritto un libro di favole (L’armadio magico, 1946), dove aveva raccolto quelle che si era inventate per intrattenere i suoi fratellini nel periodo della guerra.

Così ha detto in una intervista: “Allora inventavo favole per intrattenere i miei fratelli più piccoli, Tita e Giulio. Per noi la guerra non è stata pericolo di vita, quanto disagio, freddo e scarsità di cibo. Trasferiti a Civate, in quell'ex-roccolo che abitavamo. Le favole iniziavano con uno spunto qualsiasi, il tetto, il cielo, gli animali, duravano anche tutto il giorno e il giorno successivo. Poi ho deciso di scriverle.”

Altre fiabe le avrebbe inventate in seguito anche per i suoi due figli, Matteo e Salvatore. Matteo mi ha raccontato che era così brava a mescolare la fantasia con la realtà che quando loro erano bimbi credevano a tutto quello che lei gli diceva. Ci credevano veramente. Per loro deve essere stato davvero un brusco risveglio diventare adulti. 

E poi mi ha raccontato che, dopo la prematura morte del loro papà, Luigi Licitra, che fu sepolto al Monumentale, ospite della cappella progettata dal loro nonno per la Famiglia Borletti (di cui i Ponti erano parenti acquisiti), quando mamma Lisa li portava lì, faceva dondolare una lastra di marmo mal fissata alla parete che produceva un rumore particolare, dicendo loro: “Bimbi, salutate papà!” E loro lo salutavano, credendo per davvero che quel rumore lo avesse prodotto il loro papà per salutarli. D’altra parte la fantasia, la poesia e l’immaginazione erano nel DNA della famiglia Ponti, se Gio così scriveva alla figlia:

“Ciao, cara Lisa, gli acrobati ci insegnano che tutto è immaginabile e possibile, aldilà dei limiti, ma con lietezza, forza, coraggio, e giovinezza, immaginazione, bontà. Tuo Padre.” Giugno 1973

Matteo ha una importante collezione di disegni di sua mamma, tutti rigorosamente in formato A4, compreso uno di un cerchio: “Lei lo ha tracciato a mano libera in un attimo” mi dice, “ma se gli si sovrappone il compasso, si può verificarne la perfezione.” 

Questo per dire di come i disegni di Lisa siano sì lievi, lirici, evocatori di sogni, generatori di incanto fino a rasentare il sublime, ma sono anche tecnicamente perfetti ed esecutivamente ineccepibili, sono, insomma, autentiche opere d’arte.

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Lisa e Gio Ponti con un numero di Domus, inizio anni cinquanta (ph. Archivio Lisa Ponti). Di essa Lisa ha scritto: “Domus, rivista fatta ‘per ammirazione’, mi ha dato il dono di essere dilettante per una vita intera.” A destra: Marianne Lorenz, Lisa Ponti, Nanda Vigo e Lucio Fontana, 1965 ca. Lisa prediligeva indossare gli abiti creati da Elsa Schiapparelli.
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Lisa Ponti, disegni. L’orso non mi fa paura; a proposito di questo disegno, così mi ha confidato suo figlio Matteo: “Questo disegno mi ricorda che a 8 anni mia madre Lisa Ponti ci ha portato in Lapponia ed eravamo ospiti di Tapio Wirkkala e Rut Brick con i figli Sami e Maaria su lago di Inari. C'erano gli orsi. Noi pescavamo salmoni e trote. C'erano i Lapponi che cercavano l'oro, facevamo la sauna e poi ci tuffavamo nel lago.” Santa Matita, 2003, matita e acquerello. Sonno firmato, 2004, acquerello e matita. Grazie, 2005, penna e pennarello.

Sebbene abbia tenuto la prima mostra dei suoi disegni quando aveva già compiuto  70 anni, disegnare è sempre stata la sua vera passione. Così ne ha scritto lei stessa in una intervista rilasciata all'amico Franco Toselli, che è stato anche il suo primo gallerista:

“I miei disegni mi salvano, mi appaiono nel sonno e al mio risveglio la matita mi prende la mano e io la seguo con fiducia verso una meta benefica, una costellazione, un viaggio ad Abano Terme. Dell’arte riconosco gli strumenti, come gli artigiani: il foglio, la matita, il temperino, il colore, il tavolo, l’arcobaleno… Non uso la gomma che frena la matita, il mio disegno è un eroe casalingo. San Giorgio legge il giornale, il drago è nella cuccia, l’orso suona il violino, se la matita si altera è solo per un duello tra disegno e acquerello; il mio disegno non evolve, è come l’erba di un campo da golf. Nell’arte la protezione dell’infanzia giunge fino a tarda età, pur vivendo i tempi supplementari.”

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Alcuni scorci della mostra che la Triennale di Milano ha dedicato a Lisa Ponti sullo Scalone d’Onore.

Dal 15 aprile al 7 maggio, in occasione di Milano Art Week, la Triennale presenta la mostra Lisa Ponti Disegni e voci, curata da Damiano Gullì e Salvatore Licitra. Vi si possono ammirare 70 suoi disegni, realizzati tra il 1990 e il 2018, ovviamente in formato A4, collocati sullo scalone d'onore, là dove, in occasione della IX Triennale, campeggiava la Struttura al neon di Lucio Fontana che oggi è al Museo del Novecento. Lucio Fontana così amico di Gio e di Lisa, che frequentava assiduamente le serate di via Randaccio. Di quel suo neon così ha scritto Lisa: “Alla Triennale del ‘51, Fontana, con il neon, curvò il fulmine”.

La mostra milanese si intitola Disegni e voci perché percorrendo lo scalone, a tratti si ode una voce che pronuncia le parole che Lisa, nella sua carriera giornalistica ha scritto su alcuni personaggi della cultura dei quali era amica e a cui aveva dedicato alcuni suoi imprescindibili pezzi su Domus.

A chi un giorno le aveva domandato perché utilizzasse sempre e solo il formato A4 per i suoi disegni, ha risposto: “È un formato universale così il disegno sa dove atterrare. L'A4 è mettersi nei limiti che ti invogliano." E così ha detto in una intervista per Doppiozero: “Ho trovato questo sistema ‘industriale’ di adoperare i fogli A4 che sono una misura standard e che in tutto il mondo non mancheranno mai. Ne ho qui delle pile. Mi sono imposta questo metodo dove sono obbligata ad adoperare il formato A4 che è universale. Non mi viene nemmeno la curiosità di provare su un foglio più largo.” E altrove ha scritto: “Dentro lo standard il minimo riduce l’immenso a distanza fra i segni.”

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Lisa Ponti, Senza titolo, acquarello e collage; qui un mandarino cinese inforca l’arco che scocca una posata disegnata da Gio Ponti tra il 1957 e il 1963 e messa in produzione nel 2008; I film, acquarello.

Come suo padre, anche Lisa era una collezionista delle opere degli artisti che amava, molti dei quali erano suoi amici, e questi, a loro volta ne apprezzavano le doti di giornalista e di disegnatrice. Se se ne facesse l’elenco si comprenderebbe la ricchezza del mondo che gravitava attorno a casa Ponti, così rappresentativo della vivacità culturale della Milano di metà novecento.

A tale proposito ecco una dichiarazione di Lisa tratta da una intervista da lei rilasciata a Elena Pontiggia che le chiedeva come mai avrebbe voluto intitolare Grazie la mostra che la sua città (alla Fondazione Stelline, nel 2005, intitolata Il mondo di Lisa Ponti, catalogo Silvana Editoriale) le stava dedicando: 

“La luna specchia il sole e lo ringrazia. Perché la luna quando è colpita da una luce forte diventa luminosa. Ecco, io sono nata in un luogo popolato di bellissimi soli, e sono stata colpita dalla loro luce. Ho specchiato gli artisti che ho incontrato.”

E del suo saper disegnare così ha scritto Franco Toselli: “Lisa è un raro esempio di predisposizione naturale al disegno, questo le permette di non progredire, come accade per il merlo in giardino. Lo stesso canto in tutte le epoche. Ha iniziato a disegnare negli anni ’30 e ’40 nello stile panciuto dell'epoca, dopo di che si è permessa di regredire per inventare i veri disegni di Lisa Ponti.
Una telefonata fiume con le sorelle Grimm [Ndr: le sue sorelle Giovanna e Letizia, da lei dette anche Pontigrimm, come ha svelato in una intervista rilasciata allo stesso Toselli per Falsh Art] e lo zoccolo duro finalmente sorride, il drago si addormenta. Lisa traghetta i sogni in piena luce. La matita corre, anzi fila. Il talento di Lisa viene dal sonno, dalla capacità di dormire anche di giorno. I suoi disegni hanno l’entusiasmo e l'allegria del risveglio. Il mio compito è di sorvegliare le matite di Lisa: mi tremano le gambe.”

Vorrei concludere questo breve omaggio alla “matita” di Lisa Ponti con un pensiero di Jean Cocteau che ben si addice al suo essere lieve:

“Gli angeli volano perché si prendono alla leggera."

E poi essi si vanno a posare sulla vela che suo padre Gio ha costruito nella concattedrale di Taranto, simile a una trina ricamata sul cielo, proprio “per far sostare gli angeli". E padre e figlia siedono lì con loro, nella luce e nella poesia. 

Per sempre.

In copertina, Lisa Ponti fotografata da Charles Eames, 1962. A destra un suo disegno che pare un autoritratto.

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