Lo sguardo di Lucia Mondella
Questa è la copertina di un libro per ragazzi e ragazze. Un’operazione commendevole: per Lapis Edizioni, Sara Marconi vi racconta e Desideria Guicciardini vi illustra I promessi sposi. A darne un’immediata idea, la valente artista ha destinato un’immagine che testimonia il suo “tratto […] limpido, fresco, elegante”, si legge nella nota editoriale e non si può che dirsi d’accordo.
La scelta è inoltre originale. La copertina mette infatti in figura e valorizza un passo del romanzo di Alessandro Manzoni certamente celebre, ma di rado evocato a presentare nel suo complesso l’opera e a procurarne in abbrivo un’immagine. La storia è arcinota, ma qualche parola di contestualizzazione del passaggio e della scena non guasterà.
“La notte degli imbrogli” si è appena consumata. Ci sarebbero stati due propositi umani da mettere a effetto, in quella notte: l’uno furbesco (provare a fare i furbi è risorsa da poveracci), l’altro violento (i sopraffattori comme il faut hanno la forza dalla loro parte e non necessitano di altro). Intrecciandosi, né l’un proposito né l’altro ha avuto successo e, bel paradosso, è stato il fallimento del primo a sancire il tracollo definitivo dell’altro: due smacchi fanno una compagine in cui tout se tient, come si deve in un’opera funzionalmente sistematica come I promessi sposi, fin nel dettaglio.
In effetti, Renzo e Lucia non sono riusciti a cogliere di sorpresa don Abbondio, complice un’intrigante Agnese e trascinata da renitente nell’avventura la ragazza, va precisato. Il torpido curato ha infatti avuto una reazione inattesa. Ai due promessi sono mancati tempo e prontezza di spirito per proferire in sua presenza le frasi che, a detta dello sprovveduto giovane, ne avrebbero sancito l’unione (la vicenda si sarebbe conclusa lì: Lucia a letto con Renzo). Le urla di don Abbondio hanno destato Ambrogio. Ne è conseguita una scampanata del sacrestano che ha svegliato e messo in allarme tutto il villaggio, con gli abitanti per le vie.
A loro volta e nel medesimo tempo, i bravi mandati da don Rodrigo a rapire la ragazza (di nuovo, la vicenda si sarebbe conclusa lì: Lucia a letto con don Rodrigo) ne hanno trovato vuota la casa. E l’inopinato clamore pubblico seguito allo scacco di Renzo e Lucia li ha confusi e impauriti. Senza capirci nulla e a evitare guai, se la sono svignata con le pive nel sacco.
Si sa, Manzoni è così: scarsa considerazione dell’intelligenza della specie e conseguente assenza di fiducia nelle sue imprese. E, d’altra parte, era a quel punto fondamentale che Lucia non finisse ancora nel letto di nessuno, secondo il disegno del narratore per l’armonica costruzione della sua opera. Bel paradosso. Ma l’arte fa questi scherzi, a chi, praticandola, se ne fa possedere. Sarà perché, come pensavano i classici, essa è appunto oltre-umana?
Renzo, Lucia e Agnese vengono a quel punto convocati con urgenza da Fra Cristoforo, buono e combattivo, ma soprattutto consapevole, nei limiti del modesto possibile. Considerata la piega presa dagli eventi, il cappuccino pensa bene di mettere soprattutto Lucia al riparo dalle grinfie del signorotto, ma anche di evitare conseguenti guai a sua madre e al suo promesso: meglio che spariscano tutti, per qualche tempo.
Anche questo buon progetto andrà incontro al fallimento, come si sa, e se “la bella baggiana” non sarà ghermita dal suo ghiotto e smodato ammiratore, sarà solo per una svolta non ancora conclusiva, ma cruciale. La vicenda la riceverà dal provvidenziale e inatteso ravvedimento di un malfattore tanto truce da consigliare persino al narratore d’essere reticente, se non proprio omertoso quanto al nome.
Nel cuore della notte in questione pertanto e senza porre tempo in mezzo, Renzo, Lucia e Agnese vanno così sulla riva del lago, dove li ha indirizzati il frate. Sotto la luce della luna, un barcaiolo, con la sua barca, li attende lì per portarli via. I tre salgono a bordo e ciò che segue è precisamente quanto, per mimesi di qualche riga del romanzo, si vede nella copertina del libro in questione.
Eccone una rapida ripresa descrittiva: la luna la cui luce si riflette sulle onde; i monti che si tuffano nelle acque del lago; lontane, le case del villaggio; sulla barca, il barcaiolo, in piedi a spingere i remi; Agnese, di spalle e riconoscibile dal capo coperto e dallo scialle da anziana; Lucia di profilo, il volto sollevato e illuminato dalla luna, guarda nella direzione verso cui la barca si muove. Al suo cospetto, spalle alla prua, c’è Renzo, anche lui di profilo, con la faccia in penombra per via del cappello piumato. Testa alta, Lucia rivolge dritto e in avanti il suo sguardo, dove c’è il giovane e oltre.
È una mimesi che trova riscontro nel romanzo? Che vi trova riscontro intanto quanto alle forme? Quindi, sotto le forme, quanto alle soggiacenti funzioni narrative? In altre e povere parole, Lucia, personaggio (o personaggia, come oggi capita si legga) dei Promessi sposi, è come in figura quella bella e icastica illustrazione lascia intendere sia nel frangente narrativo? Al di là di un’inutile risposta ispirata da criteri ermeneutici, sempre opinabili, qui si propone la lettura del testo, senza l’aggiunta di una sola chiosa.
Dopo un’introduzione descrittiva di mirabile composizione, ecco appunto come compare nel romanzo quanto quell’immagine mette in figura: “Essi [Agnese, Lucia e Renzo] s’avviarono zitti zitti alla riva ch’era stata loro indicata; videro il battello pronto, e data e barattata la parola, c’entrarono. Il barcaiolo, puntando un remo alla proda, se ne staccò; afferrato poi l’altro remo, e vogando a due braccia, prese il largo, verso la spiaggia opposta. Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremolare e l’ondeggiar leggiero della luna, che vi si specchiava da mezzo il cielo. S’udiva soltanto il fiotto morto e lento frangersi sulle ghiaie del lido, il gorgoglìo più lontano dell’acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo misurato di que’ due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti, e si rituffavano. L’onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata, che s’andava allontanando dal lido. I passeggieri silenziosi, con testa voltata all’indietro, guardavano i monti, e il paese rischiarato dalla luna, e variato qua e là di grand’ombre. Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne: il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d’addormentati, vegliasse, meditando un delitto. Lucia lo vide, e rabbrividì; scese con l’occhio giù giù per la china, fino al suo paesello, guardò fisso all’estremità, scoprì la sua casetta, scoprì la chioma folta del fico che sopravanzava il muro del cortile, scoprì la finestra della sua camera; e, seduta, com’era, nel fondo della barca, posò il braccio sulla sponda, posò sul braccio la fronte, come per dormire, e pianse segretamente.
Addio, monti sorgenti dalle acque, ed elevati al cielo…”.
Va detto: anche con il semplice riferimento a questo breve passaggio, una giovane donna con modi, sentimenti e atti della protagonista dei Promessi sposi è difficile da rappresentare a ragazze e ragazzi di oggi, tanto in parole, quanto in una compendiosa figura. Sembrerebbe loro inverosimile. Non sono più i tempi di simili Lucie e delle loro ombre… Ineccepibile è dunque quanto hanno fatto Desideria Guicciardini, Sara Marconi e il loro editore, con quella immagine in copertina e con il suo punctum: il viso illuminato di Lucia, testa alta e sguardo avanti.
Dal confronto tra testo e immagine, l’uno ipoteticamente ispiratore dell’altra, sorge tuttavia, per contrasto, il pensiero a qualcosa di prezioso nell’arte (forse oltre-umana) e correlativamente nella sua tradizione (certamente umana). La capacità di testimoniare nel tempo come la verosimiglianza (e altro di umano che non mette conto qui di menzionare, considerandone l’ovvietà) non sia soltanto quella che si riflette nel piccolo stagno in cui momentaneamente ci si bagna.