Il ricordo di un editore / Luigi Luca Cavalli-Sforza: diversi ma uguali

2 Settembre 2018

La mia conoscenza di Luca è nata nella metà degli anni ’90 quando dirigevo Einaudi, attraverso Alberto Piazza che, con lui e Paolo Menozzi, stava preparando Storia e geografia dei geni umani che avrei voluto pubblicare con lo Struzzo ma che poi uscì da Adelphi nel 1997.

Fondamentale nella sua lunga ricerca sulla genetica delle popolazioni, questo libro monumentale fu accompagnato nello stesso anno dal più agile Geni, popoli e lingue, elaborazione delle lezioni da lui tenute al Collège de France ed esempio straordinario di chiarezza e capacità di divulgazione scientifica.

Prima di questi, Luca aveva pubblicato libri importanti con Mondadori, come Chi siamo?, Perché la scienza ed altri, a testimonianza del suo particolare amore per il racconto della scienza, per la quale ha speso un’intera vita nella convinzione che la ricerca, anche la più complessa e difficile, deve essere accompagnata da un impegno culturale e sociale di diffusione.

 

Ai primi di luglio di quell’anno lessi un bellissimo articolo che Luca e suo figlio Francesco pubblicarono su "La Repubblica" in occasione dell’uscita in USA di Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond, di cui mi innamorai subito e che, assieme a Luigi Civalleri, allora editor della saggistica scientifica, decidemmo subito di pubblicare, facendone uno dei libri più longevi del catalogo di via Biancamano.

Luca e Jared si conoscevano bene, perché entrambi insegnavano in quel periodo a Stanford, e quando il grande geografo e ornitologo americano venne in Italia per un piccolo tour di presentazioni mi meravigliai della generosità con cui Luca descriveva i contenuti di questo libro, come fosse anche il suo, nella foga e nella passione di raccontare, come forse neanche lo stesso Diamond avrebbe saputo fare nella sua lingua madre.

Cominciò così una lunga e ricca frequentazione, fatta di incontri, telefonate, mail, e tante occasioni pubbliche in cui Luca incantava sempre di più il pubblico con leggerezza e profondità insieme.

 

Alla fine del 2001, quando lasciai Einaudi, Luca fu uno dei primi con cui mi confrontai per chiedere un parere sulla mia idea di creare in Italia un Festival della Scienza, sulla scia della grande tradizione anglosassone e stimolato dal successo di pubblico delle manifestazioni di Mantova e Modena. Lui non ebbe esitazioni e mi disse che non vedeva l’ora di poter partecipare a questo evento, che poi prese la luce a Genova nell’ottobre del 2003 e che lo vide tra i grandi protagonisti di diverse edizioni, nonché stimolatore infaticabile e membro del Comitato Scientifico del Festival.

 

Per tentare di ricambiare la sua grande fiducia, gli chiesi se c’era qualcosa che potevo fare a mia volta per lui, e mi raccontò della sua idea di un’opera sulla cultura italiana, il cui progetto inizialmente aveva elaborato con Carlo Ginzburg e che avevano proposto a Treccani, senza però trovare convinta adesione. Il suo desiderio era quello di affrontare la storia culturale del nostro Paese intrecciata con gli studi a lui  più vicini: la genetica, la statistica, la geografia, l’antropologia, l’archeologia, l’alimentazione ed altro ancora.

Proposi allora questo progetto a Utet, di cui in  quel periodo ero consulente, e trovai grande interesse, tanto che questo immenso lavoro in 10 volumi trovò la luce rapidamente e con il contributo dei massimi esperti italiani e stranieri nelle più diverse materie. Si chiama semplicemente Storia della cultura italiana e, a mio giudizio, è uno dei monumenti del libero pensiero scritti negli ultimi decenni, in cui l’intreccio delle competenze arricchisce la ricerca e assieme la curiosità dei lettori.

In preparazione di questa grande opera chiesi a Luca  di pubblicare per la casa editrice che avevo fondato, Codice Edizioni, una sintesi dei suoi  più recenti lavori, che vide poi la luce con il titolo L’evoluzione della cultura, in cui la grande storia dell’uomo e il suo essere biologico vengono descritti nell’incontro con l’ambiente e la società che abbiamo creato, e che continuamente cambia.

 

Per Luca è stato sempre  importante  lavorare in istituzioni scientifiche all’avanguardia nelle sue discipline, ma altrettanto andare sul campo, conoscere direttamente e viaggiare nei più diversi angoli della Terra. La sua conoscenza era insaziabile, libera, priva di qualsiasi pregiudizio teorico o ideologico. La sua fame di sapere poteva apparire a volte anche ingenua, come di fronte alla filosofia, di cui temeva le elaborazioni a volte per lui troppo concettuali, ma era sempre sottesa a una sincera e aperta voglia di comprendere per entrare in relazione, per condividere.

 

In una  conferenza che tenne a Genova nel 2005 di fronte a centinaia di persone, la sua risposta a uno dei tantissimi giovani presenti che gli chiedeva come facesse a rendere così vicini argomenti complessi, Luca rispose semplicemente “non c’è nulla, o quasi, che uno scienziato non possa rendere comprensibile, purché lo voglia”.

 

Ecco, in questa semplicità, mista a sapienza, sensibilità e senso dell’altro, sta il suo grande insegnamento. Nel suo farci sentire parte di una comunità che deve sapere, dialogare, comprendere.

 

Di questi tempi non proprio luminosi, abbiamo bisogno di ricordarci di persone come lui, che hanno onorato la cultura italiana nel mondo e che possono e devono essere di stimolo per tutti.

 

Nel 2011 andai con lui e Telmo Pievani dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che lo voleva conoscere dopo il suo rientro definitivo in Italia. Fu l’occasione per la presentazione di un progetto espositivo cui tenevamo tutti e tre molto, ovvero il racconto ‘illustrato’ in mostra della ricerca scientifica sulle migrazioni umane, che poi venne realizzato presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma con grandissimo successo.

La mostra si chiama Homo Sapiens. Il grande racconto delle migrazioni umane ed è la trasposizione in percorso espositivo delle sue ricerche e dei più rilevanti studi sulla diversità umana ad oggi, attraverso linguaggi specifici per pubblici differenti, riproduzioni di ominidi e animali, divertenti apparati multimediali, percorsi educativi che in tutte le scuole dovrebbero essere adottati. La razza non esiste, è solo nei preconcetti e nei pregiudizi di chi vuole utilizzare elementi adattativi (il colore della pelle in primis) per dividere e creare muri. E questa mostra racconta con diversi percorsi il valore e la ricchezza delle differenze, diversi ma uguali come diceva Luca.

 

Napolitano si innamorò del progetto ed entrambi rimasero affascinati l’uno dell’altro, tanto che Luca ne approfittò per chiedere se conosceva qualcuno a Sassari per aiutarlo a dirimere una questione relativa a una lite accademica del tutto del tutto irrilevante agli occhi del Presidente, ma che per Luca rappresentava uno scoglio umano da superare a tutti i costi. E il Presidente si mise a ridere per la simpatia irradiata dal grande studioso alle prese con beghe di paese.

 

Luca mi ha arricchito come poche persone nella vita, a livello intellettuale e personale. Con lui è sempre stato un piacere straordinario stare insieme, visitare un museo o trovarci a scoprire le delizie della tavola che lui amava con vero piacere.

Gualtiero Marchesi per i suoi 90 anni gli dedicò un menu, interamente ispirato al suo lavoro, dove elementi diversi e anche contrastanti creavano armonia e gioia. Ci trovammo al Marchesino con lui, la sua bellissima famiglia ed alcuni tra i suoi più cari amici. È stata una serata magica e semplice insieme, in cui due giganti della cultura del nostro paese dichiaravano e testimoniavano la reciproca simpatia e amicizia.

 

Come si dice in queste circostanze, rimangono la sua opera e i suoi libri, di cui mi onoro di essere in parte l’editore, soprattutto negli ultimi anni. Ma per me, come per molti, rimane di più, tanto di più, di una persona gioiosa che ha saputo infondere in persone di diverse generazioni rispetto, amore, simpatia, curiosità e fare scuola, vera, di studio e di vita.

Ciao Luca, grazie.

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