Madrid. Il Generalissimo e la Coca Cola
Cosa ci aspetta? Quanti passi indietro ancora?
Forse potrebbe rispondere Eugenio Merino, che appena qualche settima fa, nell’ultima edizione di ARCO, la Fiera internazionale di arte contemporanea di Madrid, ha mostrato la sua ultima opera, Always Franco, una scultura in resina che riproduce il dittatore chiuso in un distributore di Coca Cola.
Se ci domandiamo come mai ha fatto tanto scalpore, forse dovremmo fermarci a riflettere sul perché, malgrado si stiano rimuovendo ancora dalle piazze spagnole le statue di Franco e i simboli franchisti, l’artista si sia chiesto se la scomparsa di quanto ha rappresentato la figura del generalísimo è reale. Forse “Franco è un fantasma congelato e non se ne va”, come afferma Pedro Temboury, autore di un documentario ancora in preparazione al momento della creazione dell’opera.
Franco, del resto, è altrettanto presente in un’altra scultura, esposta al Matadero, questa volta attraverso i rottami della sua nave “Azor”. È opera di Fernando Sánchez Castillo, che si autodefinisce “archeologo del franchismo”, sempre alla ricerca di relitti del generale, come le vecchie statue dimenticate nei depositi dei comuni o i peli delle ciglia intrappolati nella maschera mortuaria.
Nel frattempo si sono tenuti tre processi contro il giudice Baltasar Garzón, che in febbraio è stato condannato all’interdizione dal servizio per un periodo di 11 anni: si è posto così fine alla carriera del magistrato che aveva portato in tribunale Pinochet, sottomesso i più grandi narcotrafficanti della Galizia, lottato efficacemente contro l’ETA, contro i politici corrotti e contro le trame di finanziamento illecito del Partido Popular.
Garzón aveva iniziato ad indagare sulla repressione franchista all’indomani della Guerra Civile e questo era troppo pesante per quella parte della Spagna che si era accomodata nel silenzio seguito alla morte del dittatore, a discapito dei vinti che allora hanno preferito la conciliazione. Mai prima della legge sulla Memoria storica, voluta dal governo Zapatero nel 2007, si era data copertura legale alle esumazioni delle fosse del franchismo. Mai prima del processo di Garzón erano state ascoltate in aula le testimonianze delle vittime o dei loro figli e nipoti. La Spagna non ha avuto una Norimberga. Forse perciò è ora, a trentasette anni dalla morte di Franco, di parlare, almeno per poter salvaguardare la memoria di tante persone. Ma come si leggeva in una vignetta di El Roto su El País “Non si può processare il franchismo fino a quando continua ad essere vivo e continuerà ad essere vivo fin quando non lo si potrà processare”.
Il 15 e 20 febbraio i giovani liceali di Valencia hanno subito violenze dalla polizia antidistubios: sono stati trattati come veri “nemici”, sottolinea il capo della polizia, tanto che, pochi giorni fa, il PM provinciale ha aperto un’indagine sugli avvenimenti.
L’altro ieri il Ministro della Giustizia, per giustificare le limitazioni imposte dalla riforma della legge sull’aborto da lui promossa, ha chiamato in causa la necessità di aiutare e di tutelare le donne che decidono d’interrompere la gravidanza, mettendo in pratica le posizioni espresse dalla chiesa cattolica di cui il Partido Popular è debitore.
Ci sorprenderemmo davvero se un giorno, in un distributore di Coca Cola, invece di trovare una bevanda da prelevare, scoprissimo il buon papà Franco, in veglia, con un sorriso benevolente, intento a custodirci e a sorvegliarci?