Mama Afrika

26 Agosto 2014

«Mazi, che stai cucinando?», Zenzi mi si avvicina e mi mette la mano sulla spalla. È curiosa, la mia bambina, è bella, intelligente, ha piedi lunghi e snelli, buoni per affondare nella terra e mettere radici. E ha sempre fame: è una fortuna che rimanga magra con quello che mangia: «Che cos’è, ha un buon profumo, mi fai assaggiare il sughetto con un pezzo di pane?».

 

«È il pojiekos. Tieni, su, assaggia. Da piccola ti piaceva molto». Glielo porgo su un pezzo di dombolo. Mentre Zenzi mastica assorta, spio dalla finestra un grigio mattino fiammingo e mi perdo negli aromi della mia terra che salgono dalla pentola.

 

«Anche adesso mi piace tanto, Mazi bella, posso abbracciarti?»

 

«Sono tutta sudata.»

 

«Non m’importa.» Zenzi mi stringe con le sue braccia esili e forti, mi stampa un bacione sulla guancia. Poi mi guarda pensierosa.

 

«Che c’è piccola? Sei triste?»

 

«Stavo pensando a Stokely, Mazi. Non ti sei mai pentita di averlo sposato?»

 

«Mai, bambina, è stato il grande amore della mia vita» mi asciugo il sudore dalla fronte con il grembiule e continuo a rimestare lo stufato. So bene che Zenzi non mi lascerà in pace, quindi mi rassegno alla pioggia di domande che mi aspetta.

 

«Sì, ma è colpa sua se hai dovuto rinunciare ai concerti e all’America, hai dovuto vivere in Guinea e poi alla fine vi siete lasciati. Ne è valsa la pena?»

 

«Vedi Zenzi, io non misuro il passato facendo la partita doppia fra errori e scelte vincenti e non ci rimugino sopra. Ho amato Stokely Carmichael con ogni fibra del mio essere, per tanto tempo, abbiamo condiviso la stessa passione politica, e poi la Guinea non era un brutto posto dove vivere, finché c’era il Presidente Turè mi ricordava casa.»

 

«Sì, ma la Guinea non è l’America!» dice Zenzi quasi urlando.

 

«Gli Stati Uniti hanno praticamente cacciato me e Stokely: come dico sempre, la differenza fra il governo sudafricano e quello americano sta nell’apartheid. In Sudafrica te l’aspetti, in America ti sorprende sempre.»

 

«Guardami, sono una black panther» Zenzi si allunga sul tavolo muovendo sinuosa i fianchi. Studia danza da quando aveva cinque anni.

 

«Sai almeno di cosa stai parlando? È stato Stokely a dare un’anima a questo movimento, a imporre il concetto di black power. Non si è mai arreso e io ero fiera di stargli accanto.»

 

«Sì, ma perché poi vi siete lasciati?» mi fissa con gli occhi illuminati dallo spirito adolescente della provocazione.

 

«Queste sono cose che tu non puoi ancora capire, Zenzi. Te le dirò a tempo debito. Sappi solo che la mia scelta ebbe un sacco di conseguenze, molte delle quali positive: io e Stokely diventammo un simbolo della lotta per i diritti civili dei neri. Tutto il mondo sapeva di noi, la nostra unione, le nostre vicende contribuirono a far cambiare le cose. Ecco perché non mi pento di nulla. Se c’è una cosa che posso insegnarti, da nonna, è proprio questa: le scelte che fai hanno sempre senso e valore, non rinnegarle mai, soprattutto se provengono dalle viscere.»

 

«È difficile per me, Mazi, da quando mamma se n’è andata, sono così arrabbiata con lei e col fratellino che l’ha uccisa, non so più cos’è giusto o sbagliato.»

 

«Nessuno ha ucciso nessuno, Zenzi», continuo a mescolare mentre una fitta di dolore mi attraversa la pancia «tua mamma è morta di parto. Aveva scelto di dare alla luce un altro bambino. Aveva scelto la vita. Non possiamo sapere quando la vita sceglie di abbandonare noi, e se anche lo sapessimo non potremmo farci nulla, non abbiamo questo potere.»

 

«Neanche una sangoma, come la bisnonna?»

 

«Neanche lei, piccola. Quando l’oscurità ha il sopravvento nessuna sangoma può farci niente.»

 

«Allora perché viviamo?»

 

«Io vivo per te, per i tuoi occhi di velluto uguali a quelli di Bongi. E vivo per cantare la gioia di stare al mondo.»

 

«Che belle parole, Mazi. Spero di pensarla anche io come te, quando avrò la tua età.»

 

Abbandono il cucchiaio di legno e stringo forte la mia piccola grande donna: «Domani parto, Zenzi».

 

«Sì, lo so, vai in Italia al concerto contro la camorra. Sono così cattivi i camorristi, vale la pena andare fino a là?»

 

«Te l’ho già spiegato, Zenzi, vale sempre la pena. Bisogna lottare contro il male che c’è nel mondo, contro ogni forma di sopraffazione, cantare, cucinare, cullare i bambini, curare chi sta male, fare l’amore, insomma vivere fino a morirne.»

 

La cantante sudafricana Miriam Makeba muore a Castel Volturno, per un attacco di cuore, nella notte tra il 9 e il 10 novembre 2008, alla fine della sua ultima esibizione in occasione di un concerto anticamorra dedicato allo scrittore Roberto Saviano.

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