Quattro poesie / Materia grigia
Pubblichiamo la prima delle quattro poesie di Robin Morgan. Qui il saggio introduttivo di Maria Nadotti.
1. Disturbi del movimento
Dopo decenni di picchetti, petizioni, due volte il carcere
e peggio – il supplizio delle riunioni – ora
il nome della diagnosi lo trovo divertente.
Tutto è raccolto nella materia grigia – in gergo, per cervello – mentre sprofonda
mentre si fa materia scura. Però, del grigio della mia nessuno
ha precisato il tono: perla? antracite? Non è scientifico, del resto, il gergo.
Scientifico è il disturbo neurologico,
lo dicono degenerato – pare un giudizio morale –
e induce il mio magnifico cervello a sputacchiare
da nervi e muscoli, a farfugliare, e un dibbuq dissoluto
mi danza l’hip hop, così, lungo le dita, mi dà colpi nell’occhio,
mi rovescia sul grembo il caffè, mi fa incespicare e di questo mi rimbrotta,
sopra lo schermo fa sbandare il mio cursore, e la mia firma
– la fluida firma mia gioiosa, di cui tanto ero fiera –
la incricca nel reticolo di un ragno avvinazzato.
Quale ironia, trovarmi tutta scatti proprio quando
stavo scoprendo il valore della quiete. Dunque, Cervello,
cosa facciamo io e te, adesso? Lo sai
dannatamente bene, sei sempre stato tu il mio prediletto,
lo sai che non ho mai abboccato a quel ciarpame per cui alloggerebbe
nelle budella o dentro il cuore l’emozione. Lo sai che io sapevo
che eri sempre tu, neurotrasmettitori chiassosi, elettro-chimiche
sinapsi, onde e frequenze saltellanti: oh splendide potenze
del cervello, sempre vi ho amato, e sopra tutto. Ho meritato tutto questo? No,
neppure questo è scientifico. Piuttosto, assurdo. Chi merita qualcosa?
Il pensiero ricorsivo – il rimuginare del cervello sul cervello – è in grado di stordire
perfino chi è apolitico e non conosce disturbi del movimento.
Bene, Cervello, mentre tu spari a raffica idee che varcano la punta delle dita sopra i tasti,
io alla tua promessa faccio eco: da tutto questo passeremo insieme, amanti
litigiosi. Ma nel farlo, ti chiedo tre favori – per il bene di entrambi.
Serbaci, in mezzo a questi fremiti, un luogo per la quiete.
Serbaci, nel grigio che incupisce, uno spazio per il riso.
Serbaci, nel ticchettare delle ore, un tempo per fare poesie.
2. Sul donare il mio cervello alla scienza
Nessun problema. Lasciate perdere le pagine che rassicurano
la gente religiosa. Sono già donatrice universale: reni, cornee,
fegato, polmoni, tessuti, cuore, vene, qualunque cosa. Strano
che l’umile cervello mai abbia immaginato il suo valore,
per la ricerca unico: salvare forse qualcun altro da quanto
non sono così certi che abbia io. Che cosa lusinghiera.
Così, riempite i moduli,
trivellate le risposte,
stillatene uno spirito allegro.
E tagliuzzatemi, fatemi a pezzetti,
spalmatemi sui vostri vetrini.
Scoprite quel che cerco di dirvi.
Mettetemi a frutto, analizzatemi,
scrutate dalle vostre lenti.
Svelate ciò che, se potessi, insinuerei.
Fate del vostro meglio, prego, fate di me un raccolto
seguite gli indizi. Da vivo questo è stato un buon cervello.
È stato un cervello che ha fatto il suo dovere.
Per questo tagliuzzatemi, spezzettatemi, spalmatemi sui vostri vetrini,
coloratemi, decifratemi, sgocciolatemi come una tazza.
Spartitemi, ascoltatemi:
Voglio essere usata
voglio essere usata
voglio essere usata
fino in fondo.
3. Immagini
Nessun microscopio vede quello che può vedere la poesia,
immagini che aleggiano lungo fasci di nervi spenti
e non lasciano traccia. Dove
sono archiviate le cose immaginate, le cose ricordate?
Nel lobo temporale alcune, le più nell’ippocampo –
ma solo finché vive. E invece, dai vetrini, involate.
Cosa può dirci come, durante gli anni luce di una vita,
fiammeggi d’energia il cervello, e arda
luminoso fino a quando comincia l’implosione
squarcio abbagliante – scarpe Mary Jane bianche, malta su tre gradini di mattoni,
un uomo che fuma la pipa, una fuga di Bach, cavo d’acciaio che si innalza
ad incarnare un ponte, un pianto di neonato “u èèè! u èèè! –
cosa può dirci come il cervello, concentrandosi,
addensandosi verso l'evento
orizzonte, possa rievocare quanto solo la poesia registra
squarcio abbagliante – capanno sulla spiaggia a strisce bianche e blu,
odore di terra fradicia di pioggia a primavera, spasmo di sesso così puro da brillare,
cinguettio di uccelli al risveglio – cosa può dirci
come tali pensieri possano aver vita solo sotto la lente di una poesia, e però svanire
persino nel cervello che li ha attestati, perché divampa, quel cervello,
nova che arde sempre più splendente fino a non riconoscere più
squarcio abbagliante – questo bambino dai capelli di sole
che sguazza in una pozza di pioggia, sorride,
che mi tiene la mano?
Traduzione dall’inglese di Cristina Alziati e Maria Nadotti.