Quattro Poesie / Invito
Pubblichiamo l'ultima delle quattro poesie di Robin Morgan. Qui il saggio introduttivo di Maria Nadotti, qui la prima delle poesie da lei scelte, qui la seconda e qui la terza.
Quando è di te che piangi –
non è, vedi, pietà, è lutto –
non per i tempi andati o i treni che hai mancato.
C’è una ragione sola: hai smarrito la quiete
e te ne accorgi. Be’, non mentre dormi, tu sei tranquilla
mentre dormi. Ma appunto, nel sonno, non sei tu
a rispecchiare la pace, immobile di un lago.
Ora, da sveglia, costante le tue superfici increspa il vento.
È un poco faticoso, però è meglio
che tu ci faccia l’abitudine:
questi minimi spasmi che ti scuotono
sono soltanto assaggi,
brusio di quanto sta per arrivare.
Non puoi – non lo puoi più –
essere pace fuori come sei pace
adesso, nel profondo. Meglio così
che alla rovescia. Guarda, sei in sincronia:
tu, l’universo, e metabolica
la vita intera, moto incessante
onde, semenza, uova che si spaccano
galassie in movimento
in collisione, soli che periscono ardendo,
cellule che si separano, chi mai ha bisogno di quiete?
La quiete è morte.
No. Nemmeno la morte può starsene tranquilla. La morte brulica
di attività, batteri vivi, putrefacenti.
Il compost si contorce catabolico, caldo, indaffarato.
Da quando il big bang si destò in un sussulto
al vibrare di ogni corda, la quiete non si trova.
Chi sei allora tu, per piangerti? Whitman osò cantare
il corpo elettrico. Questa è la tua occasione.
Fa’ di meglio, mia cara. Danza.
Traduzione dall’inglese di Cristina Alziati e Maria Nadotti.