Quattro poesie / Nessun segno di lotta

19 Ottobre 2016

Pubblichiamo la seconda delle quattro poesie di Robin Morgan. Qui il saggio introduttivo di Maria Nadotti, e qui la prima delle poesie da lei scelte.

 

Farsi piccoli richiede un’enorme volontà.

Seduta dal medico, nella sala d’attesa

a osservare il futuro che va e viene,

piegata ad osservarlo che ti fissa

proprio mentre tu provi a non guardare. Raro, lo scambio:

un sorriso di breve, ironica ammissione.

 

Nell’isolato, sei l’ultima arrivata fra i bambini. Qui

un tempo è stato te ognuno. Ancora stai imparando

che farsi piccoli richiede una grandezza di spirito

che ancora non possiedi – accettare

l’aiuto irritante di chi ti ama, cedere

lasciare perdere, ma non arrendersi. A stento

 

hai trangugiato quanto riempiva la bottiglia “Bevimi”

e hai sentito che rimpicciolivi. Così il mobilio della casa adesso incombe

pendono i pavimenti, i pomoli delle porte cedono solo

se con entrambe le mani li combatti. Richiede una pazienza colossale

tanto rimpicciolire: diminuito nella notte il sonno,

la tua calligrafia, la voce, la statura.

 

Sei l’incredibile shrinking woman

piuttosto che la mistica buddista, che serafica

del meno si accontenta. Meno non sempre è più. Eppure

in questo spazio che si svuota, luccica il vuoto

e si fa spazio. Eccolo, il luogo

dietro agli occhi di chi è avvezzo

 

a ciò che altri chiamano diminuzione.

È un luogo di spietata poesia, è il dono di una presenza

prima ignorata, sommersa dal frastuono quotidiano.

Qui ogni gesto è un proponimento,

vive di coscienza. Nulla è automatico.

 

Lo riconosci nella provocazione di un bottone,     

nel braccio che s’infila nella manica, nell’atto di restare in equilibrio

sul margine del marciapiede, la sera, negoziando con il buio.

Imprese da nulla, chi vi sospetterebbe

la pratica di un’intima e feroce disciplina

dell’essere implacabilmente consapevoli la metafisica?

 

quanta discreta potenza in questi barcollanti

ballerini, in questi sforzi stupefacenti

per faccende che tanti ritengono irrisorie. Quanta quieta bellezza

qui, in questa mia gente dalla voce gentile, dagli arti irrigiditi.

Quanta fermezza celata dietro ogni placido volto.

Per farsi piccoli ci vuole immensità,

tu piegati, allora, a questa grazia immensa che non cede.

 

Traduzione dall’inglese di Cristina Alziati e Maria Nadotti.

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