Tutte le opere / Edoardo Persico. Notizie dalla modernità
Persico, malgrado la sua breve vita, è stato un notevole e piuttosto misterioso personaggio, al centro della storia culturale italiana fra 1923 e 1935. Era nato a Napoli nel 1900 ed è morto a Milano in modo mai del tutto chiarito all'inizio di gennaio del 1936. La sua vita è piena di presenze ambigue, di scelte improvvise e di comportamenti contraddittori in un periodo in cui la dittatura fascista si affermava e l'adesione al regime o la clandestina resistenza antifascista degli intellettuali si manifestavano in comportamenti non sempre facili da decifrare.
La vita di Persico si divide in due fasi distinte: i suoi contatti con Gobetti, l'arrivo a Torino quando ormai Gobetti era morto, la sua attività di promotore e organizzatore di cultura culminata con il suo ruolo nella formazione del gruppo dei 6 pittori di Torino da una parte; e dall'altra il suo trasferimento a Milano come gallerista e poi come protagonista, accanto a Pagano malgrado la differenza di posizioni, della rivista Casabella e come teorico del rinnovamento modernista e razionalista dell'architettura italiana in una prospettiva di incontro e confronto con l'architettura europea.
Ma è improprio limitarsi ai suoi scritti per intendere la sua importanza: era stato un personaggio di grande fascino che aveva attratto con la forza delle parole e delle convinzioni quanti lo avevano conosciuto, al di là del suo cattolicesimo profondo e in qualche modo misticheggiante ispirato da Gheon, Maritain e Péguy e malgrado la sua contraddittoria posizione verso personaggi legati al fascismo.
I due volumi di cui parlo sono la ripubblicazione dell'edizione degli scritti, riorganizzata cronologicamente anziché per temi, già uscita per le edizioni Comunità nel 1964 a cura di Giulia Veronesi, da cui però 'sono state eliminate le appendici e le immagini ed è stato soppresso il capitolo Il capolavoro sconosciuto' (p. xxvii). Anche le note sono quelle scritte a suo tempo dalla Veronesi, senza aggiornamenti. Queste scelte sono certamente infelici: nelle appendici comparivano corrispondenze fondamentali, con Gobetti (48 lettere a Gobetti senza le risposte, corrispondenze col fratello Renato, con Ottone Rosai, con Dino Garrone); inoltre la maggioranza degli articoli apparsi su Casabella erano commenti a immagini e diventano incomprensibili senza che il lettore possa averle sotto gli occhi.
Esaminiamo gli scritti e la vita di Persico fino al 1928, il suo periodo napoletano e il suo arrivo a Torino dopo la morte di Gobetti, con cui è in corrispondenza dal 1923: siamo di fronte a un personaggio ansiosamente alla ricerca di una visibilità e comunque pieno di proposte e di idee, mescolate con promesse mancate e millanterie. Due temi prevalgono: il suo interesse per un cattolicesimo realmente spirituale e la volontà di contribuire a una cultura italiana che si sprovincializzasse, legandosi alla cultura europea, pur conservando la sua specificità. Scrive e pubblica un testo moraleggiante sulla città futura fatta 'di bellezza e verità' e collabora con Rivoluzione Liberale e con Il Baretti, le riviste di Gobetti. Tuttavia sono accolti solo i suoi interventi sulla Spagna e sul teatro, oltre un articolo sul ministro francese Caillaux di cui la seconda parte apparirà, dopo la morte di Gobetti, su Critica fascista. Ma durante questo periodo le sue vicende son poco chiare: a Napoli ha partecipato al partito di Giovanni Amendola e pare che sia stato arrestato, per qualche giorno, dopo un comizio, anche se non resta nulla negli archivi della polizia. E insieme, secondo la Veronesi, sarebbe stato il primo segretario della gracile sezione napoletana del movimento fascista nel 1920.
Ma dal 1923 è affascinato dalla figura di Gobetti a cui invia numerose lettere, promettendo romanzi e articoli e parlando di suoi libri pubblicati all'estero di cui non esiste traccia. Dal 1927 sembra aver maturato posizioni lucide e radicali per suscitare un movimento culturale 'per una letteratura morale e una coscienza europea in un'epoca di ricerca delle ragioni prime, parlando il linguaggio di tutti, che si nutra dei problemi attuali, che sia espressione del legame sociale della nazione'.
E nello stesso tempo si fanno più palesi le affermazioni di un cattolicesimo cupamente tradizionale, con un’esaltazione della Spagna carlista o del conservatorismo di Valle- Inclan, 'perché il flagello dei conquistadores, l'intolleranza degli inquisitori sono un grande fatto spirituale' (1927).
Il suo legame sincero, di vera devozione per Gobetti, insieme alla sua energia piena di idee, è certo uno dei motivi che spiegano il suo legame con il gruppo dei Sei pittori di Torino e con altri gobettiani come Giacomo Debenedetti e Mario Soldati, che non mi pare fossero sospettosi dell'ambiguità di molte delle sue espressioni e del suo cattolicesimo. Persico era certamente un personaggio affascinante e pieno di energie organizzative. Fu lui che organizzò nel 1929 la prima mostra dei Sei 'che hanno levato l'insegna di Manet. Noi chiameremo perciò europei questi pittori, che nel campo delle arti figurative si possono assegnare alla corrente di idee promosse da Lionello Venturi per un gusto moderno' (1929). Persico organizzerà e presenterà la mostra, che giudica molto innovativa ('Le opere di Carlo Levi indignano, a prima vista, il borghese' scrive ad esempio) ma non sarà presente all'inaugurazione perché viene convocato a Napoli dalla polizia e la sua abitazione di Torino viene perquisita senza che ne risultasse nulla di compromettente.
Dopo il trasferimento a Milano Persico sarà ormai affermato: scriverà su Belvedere, rivista pubblicata da Pietro Maria Bardi, proprietario della galleria omonima e apertamente fascista, nella quale organizzerà mostre con il progetto 'di ricondurre gli italiani a una comprensione viva degli interessi spirituali', e inizierà la sua collaborazione a La Casa Bella (che dall'inizio del 1933 si chiamerà Casabella), divenendone condirettore accanto a Giuseppe Pagano ed estendendo progressivamente i suoi interessi verso l'architettura, il design e l'arredo, sempre sostenendo che 'la decadenza dell'arte italiana è legata alla mancanza di un'intima coscienza religiosa degli artisti: cioè alla mancanza della fiducia di compiere una funzione produttiva nel mondo moderno... Rigorosamente, un'estetica italiana può trovare soltanto nella dottrina cattolica la liberazione dalle ideologie straniere e rappresentare la realtà di un paese capace di sottomettersi alla vita della nazione' (1930).
Il suo interesse oltre che per i Sei, di cui organizzerà una nuova mostra a Milano prima che il gruppo si sciogliesse, riguarderà moltissimi pittori in due gallerie che Persico dirigerà o promuoverà, dopo che Bardi si era trasferito a Roma dove sarà un esponente della critica d'arte e dell'architettura strettamente legata al fascismo e autore del Rapporto sull'architettura (per Mussolini) (Roma,1931). Persico esporrà Carrà, Soffici, Arturo Martini, Spazzapan, Tomea, Spilinbergo, Rosai e altri e si occuperà molto dell'arte sacra in una versione spiritualista e primitivista sia negli scritti sia nella Galleria del Milione, legandosi a Garbari, interessandosi ai pittori del Sacré Coeur, parlando di Rouault, di Denis e anche di pittura e religiosità ebraica riferendosi a Chagall e a Modigliani. Ma dal '32 si concentrerà specialmente sull'architettura, sull'arredo, con un'attenzione al design, ai materiali, alla relazione fra la casa e chi la doveva abitare. I suoi giudizi e le sue prese di posizione si fanno sempre più definite e radicali e fanno appello alla moralità dell'arte: la sua critica della architettura tradizionale da una parte e poi di quella monumentale o che vuole proporsi come architettura dell'impero si ripetono continuamente e sempre più in polemica con l'architettura piacentiniana e fascista. La sua attenzione per i materiali, per la semplicità e la linearità, per il rapporto fra i vuoti e i pieni si rifanno con originalità all'architettura europea di Mendelsohn, della Bauhaus, di Breuer e di Gropius, di Mies van der Rohe o americana di Wright e di Neutra e di quella sovietica di Mel'nikov mentre ha qualche dubbio politico su Le Corbusier con le sue 'piaggerie sul fascismo' e 'i suoi traffici fra Mosca e Roma', e per Loos, a cui rimprovera di essere rimasto 'isolato come una specie di Diogene moderno' e dunque poco influente.
E poi da critico giunge a farsi progettista e realizzatore con Nizzoli del negozio Parker e del salone d'onore per la VI Triennale di Milano. Degli italiani, a parte lo stretto rapporto con Pagano nella redazione di Casabella, i suoi legami sono con Terragni, con Levi Montalcini, con Labò, con Figini e Pollini, con Gio Ponti. Tuttavia i suoi rapporti con Pagano si fanno man mano più tesi, essenzialmente per ragioni politiche, per le prese di posizione di Pagano sempre più vicine alla politica del fascismo. Persico sarà ormai morto da dieci anni quando Pagano passerà alla Resistenza, sarà arrestato e deportato e morirà per le torture il 22 aprile del 1945 nel campo di concentramento di Melch.
E questo è un punto fondamentale della vicenda di Persico: il suo sempre più evidente antifascismo legato alla sua esplicita polemica contro la politica del regime nel campo dell'architettura.
Punto ed a capo per l'architettura, apparso su Domus nel novembre 1934 e il testo della conferenza Profezia dell'architettura tenuta a Torino nel gennaio 1935 mostrano la sua scelta di abbandonare posizioni che mascheravano prese di posizione più nette nei confronti del regime. Intanto – nell'articolo – con i riferimenti agli studi di architettura moderna di Argan, Lionello Venturi, Carlo Levi e Pagano come modelli positivi e le prese di posizione contro Piacentini la cui Architettura d'oggi è definita 'un'epitome di notizie senza costrutto critico' e contro Sartoris e Giuseppe Pensabene, contro il romanismo, contro Rava che ha rinunciato al suo europeismo 'per le esigenze politiche della mediterraneità' e per proporre 'una architettura coloniale moderna'. La sua polemica è contro 'i compromessi fra architettura e politica che hanno capovolto la natura del dibattito', con 'i concetti più gratuiti come la romanità e la mediterraneità. Quelli che adattandosi a un patriottismo di maniera associano 'razionalismo' e corporativismo, che parlano di ‘architettura arte di stato’, che affermano 'che l'architettura cosiddetta razionale non è né iconoclasta né estranea all'immenso ideale della rivoluzione fascista', 'rinnegano per sempre i motivi fondamentali del razionalismo e ne legano la fortuna agli espedienti della lotta politica'. Per concludere 'il fondamento del 'razionalismo' è in questa intuizione della necessità di forze nuove che si inseriscano in uno stato di fatto 'europeo', non soltanto come idee estetiche, ma anche come forze di cultura, economiche, sociali, politiche'.
Invece, 'dall'europeismo del primo razionalismo si è passati con fredda intelligenza delle situazioni pratiche, alla romanità e alla 'mediterraneità, fino all'ultimo proclama dell'architettura corporativa'.
Conclude così su un vero appello contro un'architettura che si adegui a un sistema politico prestabilito: 'Gli artisti debbono affrontare oggi il problema più spinoso della vita italiana: ‘la capacità di credere a ideologie precise’(è una citazione di Gobetti) e la volontà di condurre fino in fondo la lotta contro le pretese di una maggioranza 'antimoderna'.
La conferenza pubblica ma pubblicata solo nel 1945 da Alfonso Gatto, poi termina con un'esaltazione della libertà: 'fino a quando si continuerà a discutere di arte utile, di arte come espressione del tempo o della società, ricalcando De Bonald o Le Corbusier, sfuggirà sempre il senso profondo dell'arte, che è indipendenza e libertà dello spirito... La sua profezia (dell'architettura) è di rivendicare la fondamentale libertà dello spirito'.
Posizioni evidentemente molto esplicite e coraggiose sia per i contenuti sia per i suoi riferimenti culturali. Queste prese di posizione, oltre alle sue sospette relazioni con intellettuali antifascisti, lo portano a un breve ma probabilmente drammatico arresto, su cui tuttavia non sono stati trovati documenti. Nello stesso periodo, tra 1934 e 1935, venivano arrestati i militanti torinesi di Giustizia e Libertà tra cui Carlo Levi molto legato a Persico dagli anni dei Sei di Torino. Di Levi Persico aveva pubblicato su Casabella e citato come fondamentale il saggio Considerazioni sull'architettura nel settembre 1934.
Esattamente un anno dopo questa conferenza Persico viene trovato morto nella sua casa di Milano.
Sia la sua vita che la sua morte contengono molti misteri, su cui si son fatte molte illazioni nella ormai amplissima bibliografia che lo riguarda: la vicenda disordinata della prima parte della sua vita, il suo cattolicesimo, forse un'adesione al movimento fascista napoletano nel 1920, la sua vicinanza a Il Saggiatore di Giovanni Amendola', un suo arresto dopo un tafferuglio seguito a un suo comizio amendoliano, la sua firma all'Appello ai meridionali di Guido Dorso, il suo legame con Gobetti che accetta con molte resistenze la sua collaborazione, il tentativo di creare a Napoli i Gruppi di Rivoluzione Liberale, i molti libri e articoli promessi e mai scritti, i numerosi e misteriosi viaggi forse inventati a Parigi, Londra, Berlino, Mosca e in Jugoslavia: questo è quello che contribuisce all'immagine contraddittoria e incerta che abbiamo di lui fino al suo arrivo a Torino nel 1927. È una vicenda degna di un libro giallo che ha infatti incuriosito e trovato il suo romanziere ideale in Andrea Camilleri.
Camilleri, stimolato dal disordine della documentazione, creata negli anni da esaltatori e detrattori di Persico, ha proposto una lettura molto credibile della vita e della morte di Persico in Dentro al labirinto (Skira, 2012), basata su un attentissimo studio della documentazione esistente prima di concludere con alcuni Appunti per un romanzo: 'Se dovessi disegnare i percorsi fatti non ne verrebbe fuori la pianta di un labirinto ma una serie di ghirigori ora sovrapposti ora a se stanti non destinati ad una necessità geometrica. Allora provo io a fare una mappa possibile. Che ha l'unico merito di intrecciare diversamente, attraverso l'invenzione narrativa, tutti i percorsi sin qui fatti ma tenendoli sempre in filigrana.' La sua ipotesi è che Persico fosse stato, fino al 1924 almeno, un informatore della polizia: il che spiegherebbe i suoi viaggi e i suoi contatti. Ma dopo l'assassinio di Matteotti e la morte di Gobetti si sarebbe ribellato, in particolare con un ritorno improvviso da Mosca, dove era stato inviato. Di qui in poi resta sotto sorveglianza della polizia, con la convocazione a Napoli al momento dell'inaugurazione della mostra dei Sei di Torino nel 1929: la perquisizione della sua casa di Torino e di Napoli che danno un esito negativo. Poi il suo antifascismo si farà progressivamente più evidente e sarà arrestato per vari giorni, nel 1935, e duramente interrogato. Uscito dal carcere la sua salute era, secondo varie testimonianze, molto peggiorata e la sua morte improvvisa e inspiegabile sarebbe stata causata dalle botte avute durante gli interrogatori subiti. Malgrado fosse un personaggio di grande rilievo nella vita culturale milanese, i necrologi saranno pochissimi e la vicenda della sua morte resterà immediatamente avvolta nel silenzio e senza spiegazioni. Dopo la guerra la sua vedova riceverà una pensione assurdamente motivata con la morte del marito come eroe di guerra.
Questa ripubblicazione delle sue opere lascia molte delusioni: nulla della bibliografia pubblicata in questi anni è utilizzata nella poco felice introduzione di 10 pagine di Giuseppe Lupo e nulla è detto della vita dell'autore per tacere di alcune affermazioni gratuite di cui la prefazione è disseminata. Una per tutte: 'Fuggire dalla città o credere nella città: questo è il grande enigma che si nasconde negli scritti di Persico'. Parole in libertà, ma non era questa la libertà a cui Persico aspirava.
Edoardo Persico, Notizie dalla modernità. Tutte le opere, 2 voll., Nino Aragno Editore, Torino, 2016.