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… e oltre / Sostegno al lavoro culturale durante Covid-19
Mai come in questi giorni ci stiamo rendendo conto di quanto le nostre vite siano legate a doppio filo al mondo dell’arte e della cultura: quanta musica in più stiamo ascoltando, quanti libri in più leggendo o quanti film in più vedendo? Giornali e riviste stanno registrando numeri sorprendenti: Doppiozero ha toccato gli 89.000 lettori il 9 marzo, proprio il giorno in cui Mariangela Gualtieri ci ha fatto dono di una meravigliosa poesia. Le iniziative di tour virtuali gratuiti nei musei sono molto diffuse e hanno risultati strepitosi; la Pinacoteca di Brera, uno dei primi musei a promuovere la sua attività digitale durante la crisi ha raggiunto picchi di un milione di visitatori; in questi giorni, i prestiti di libri digitali presso le biblioteche sono più che raddoppiati.
L’altra faccia della medaglia, però, ci rivela un quadro molto meno roseo: se alcuni consumi culturali sembrano aumentare, i settori culturali rischiano complessivamente di uscire stremati dal’attuale crisi sanitaria. La totalità degli eventi artistici e culturali live è stata annullata o, quando va bene, riprogrammata; le nuove produzioni cinematografiche e televisive sospese. Inoltre, gli stessi consumi culturali in aumento rischiano di beneficiare grandi piattaforme e catene di distribuzione, lasciando indietro chi effettivamente quel contenuto l’ha creato.
Non si tratta di cifre irrisorie: a livello europeo, ci sono in ballo 7,3 milioni di posti lavoro che afferiscono alla cd occupazione culturale, pari al 3,7% dell’occupazione totale nei 27 paesi dell’Unione europea. Si tratta inoltre di lavoratori spesso privi di un’adeguata rete di protezione. La percentuale di lavoratori autonomi nei 27 paesi UE è infatti notevolmente più elevata nell’occupazione culturale (32%) che nell’occupazione per l’economia totale (14%) e tale differenza è rimasta pressocché stabile nel tempo.
La fragilità dei lavori artistici e culturali è nota. Ma questa crisi ci pone davanti a due binari molto chiari: riconoscere questa fragilità e agire di conseguenza, o ignorarla e perdere quella vitalità culturale per cui paesi e città a lungo si sono battuti nella corsa globale all’attrazione di talenti, abitanti, visitatori, imprese e investimenti – se non per sempre, per un lungo periodo la cui fine è difficile da prevedere. Senza contare che in questi giorni è proprio sulla cultura che si sta facendo leva per rinsaldare il senso di comunità. Sarebbe un errore, oltre che una grande ingiustizia. E una perdita incalcolabile per tutti noi.
Se scegliamo il binario uno, è necessario partire da questa pandemia per agire sue due fronti: da un lato, quello dell’emergenza, adottando misure che tengano in vita questi settori e tutte le professionalità connesse – dall’artista al curatore ai tecnici, alle organizzazioni culturali impegnate sui territori per la diffusione capillare della cultura; dall’altro, quello del post-emergenza, al fine di disegnare sistemi di finanziamento più sostenibili, in virtù del valore che attribuiamo a contenuti artistici e culturali con i nostri comportamenti.
Sul primo fronte, l’Italia in primis si è mossa, istituendo fondi straordinari (tra cui Il Fondo emergenze spettacolo, cinema e audiovisivo di 130 milioni di euro), dilazionando pagamenti di contributi pensionistici o premi di assicurazione, o ancora introducendo indennità per alcune tipologie di lavoratori, tra cui quelli culturali (vedasi decreto “Cura Italia”). A seguire, diversi paesi hanno adottato misure economiche di emergenza istituendo, alcuni, fondi specifici per i lavoratori del comparto culturale, come la Francia (22 milioni di euro da destinare ai vari sotto-settori culturali, dal libro alla musica allo spettacolo alle arti visive); altri, fondi che coprono i lavoratori e / o i settori la cui attività è messa particolarmente in pericolo dalle misure di confinamento, come il Belgio (fondo di 50 milioni di euro), la Svezia (90 milioni di euro in più per i settori della cultura e dello sport) e la Germania (50 miliardi di euro per le piccole imprese e i liberi professionisti, compresi quelli del settore culturale, creativo e dei media, più 10 miliardi di euro destinati all’estensione degli strumenti di protezione sociale, inclusi i sussidi di disoccupazione, ai liberi professionisti tra cui gli artisti, per un periodo di sei mesi). Inoltre, si è aperto un tavolo di lavoro MiBACT-enti locali su iniziativa degli assessori alla cultura di alcune città per coordinare iniziative a livello locale.
E sono parimenti molto rilevanti le iniziative messe in campo dalle collecting societies pe sostenere gli associati e i mandatari in difficoltà; SIAE e la consorella tedesca GEMA da questo punto di vista sono particolarmente attive con misure solidali, di prestito agevolato, di assorbimento dello choc. Per sostenere le librerie indipendenti si è creata una rete di consegna a domicilio finanziata dagli editori.
Ma è sul secondo fronte che occorre mettere pensieri di qualità. In Italia, le prime proposte sono già arrivate: da un fondo nazionale per i risparmiatori italiani a garanzia del patrimonio culturale (Pierluigi Battista) alla controproposta di un Bond per l’arte e la cultura, che preveda nell’arco temporale di 3-5 anni, la restituzione del capitale sotto forma di biglietti o abbonamenti offerti dall’istituzione stessa (Carlo Fuortes). All’interno di specifiche filiere, inoltre, si sono attivate iniziative di ripensamento di alcuni meccanismi di funzionamento.
Di necessità, virtù. Per la cultura, questo significa istituire una strategia di policy di ampio respiro che agisca non solo sul fronte dell’offerta ma anche, in maniera speculare e complementare, su quello della domanda – che c’è, come ci dimostra l’esperienza di questi giorni.
Proponiamo due macro aree di riflessione:
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Occorre approfittare di questo “salto” sul digitale per declinare i profondi legami fra filiere fisiche, esperienze individuali e collettive digitali e live. Che sono tre temi diversi in una prospettiva guidata dall’offerta, ma profondamente interconnessi dal punto di vista della domanda. Se oggi possiamo godere della mostra su Raffaello solo online, come potremo domani integrare la visita virtuale all’esperienza di visita? Come potrà essere aiutato il visitatore ad imparare dallo sforzo di ricerca che c’è dietro alla mostra in tutti i modi possibili?
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Occorre riflettere sulle relazioni fra cultura, educazione e turismo. Ci sono 7 milioni di studenti italiani a casa; chi era in difficoltà ha più probabilità ora di restare indietro, per barriere di contesto; l’alleanza strutturale fra mondo della cultura e mondo della scuola va indubbiamente rinforzata, come ha detto molto bene Alessandro Bollo. E poiché possiamo immaginare che i flussi turistici internazionali tarderanno a ripartire, è necessario pensare, da un lato, a modi sofisticati di promozione del nostro patrimonio all’estero e, dall’altro, a come valorizzare le competenze attualmente non utilizzabili per ripensare i significati possibili del termine prossimità e di arricchirli di servizi, ma anche di contenuti.
Le scelte di allocazione di risorse saranno critiche, i modi contano. Il lavoro culturale è in affanno non solo per il Coronavirus, ma anche per questioni strutturali, per pigrizia e per opportunismo. L’emergenza rende indifferibile la riflessione critica e ci costringe a prendere posizione rispetto ai modi e alle priorità.