Michela Dall’Aglio: Dio, la libertà e il male
Ci sono due modi di pensare. Il primo è legato alla sopravvivenza e riguarda la maggior parte degli uomini e delle donne; è la forma di pensiero più diffusa perché è il pensiero che vive-sopra le cose senza mai entrarci dentro. È un modo di pensare che ha sempre bisogno della novità, e appena ha la percezione di possedere qualcosa (vera illusione di questo pensiero) cerca il successivo.
Poi c’è un altro modo di pensare, un altro pensiero questa volta legato alla vita vera. Esso non cerca il nuovo ma scava nello stesso perché è un pensiero che non ama muoversi sulla superficie delle cose ma ama entrarvi dentro, scavando, arrivando fino al cuore oscuro. Michela dall’Aglio è assolutamente una studiosa esperta di questo secondo pensiero. Tra le sue diverse pubblicazioni ci ha donato nel 2022 un saggio dal titolo “Dio, la libertà e il male” (Corsiero editore, 2002, 200 pp.).
Voler riassumere la trama di queste pagine significherebbe scrivere un altro saggio. Ci sono libri, come quello della Dall’Aglio, che possono solo essere letti come l’unica maniera chiara possibile per dire ciò che si vuol dire. Infatti tra i pregi di questo saggio c’è il grande sforzo di rimanere comprensibile anche al pubblico dotto ma non necessariamente esperto di tutto ciò che viene trattato. Vorrei limitarmi a portare una mia riflessione a partire da ciò che personalmente ho sentito risuonare maggiormente dentro di me, specialmente in un contesto culturale come quello contemporaneo in cui aumentano vertiginosamente i sostenitori dell’idea che la libertà non esiste e con essa non esiste neppure Dio (un fondamento ultimo), e il male è solo un incidente di percorso.
Questo riduzionismo trasforma persino la tragedia più terribile in un evento banale, cioè privo di qualunque significato, e di conseguenza, se volessimo portare a nostro favore l’argomento di Hanna Arendt, neppure il male procurato nella shoah potrebbe ricevere giustizia perché i responsabili possono semplicemente giustificare l’orrore con la semplice teoria di aver eseguito gli ordini. Può però un uomo eludere la domanda radicale sulle proprie azioni? Può il male essere banale? O ha anch’esso a che fare con la questione metafisica? Questa estrema forma di strutturalismo che riduce la libertà a mera chimica o a semplice convenzione sociale, non tiene conto del problema radicale che essa porta con sé.
È difficile però porsi domande radicali quando si vuol negare ogni tentativo di metafisica, accontentandosi di una semplice realtà che funzioni senza la pretesa di avere alcun tipo di fondamento. La ricerca di un fondamento è l’unica via ragionevole che rende il pensiero ancora interessante. Diversamente esso, per quanto possa apparire complesso, è solo intrattenimento. Le pagine del saggio della Dall’Aglio riannodano la questione della libertà, del male e di Dio alla sua domanda più radicale
A quale prezzo è possibile la felicità? Michela Dall’Aglio introduce le pagine del suo lavoro con le taglienti parole dell’Inquisitore di I fratelli Karamazov di Dostoevskij: «se vogliamo che l’uomo sia felice dobbiamo eliminare la libertà». Ma è possibile una realtà senza libertà? Essa è una facoltà dell’uomo o un elemento strutturale della realtà stessa? Seguendo il filo di Pareyson, Michela Dall’Aglio è convinta che la libertà è un elemento della realtà stessa che precede l’uomo e senza la quale non sarebbe possibile la stessa realtà. Ma basta formulare una libertà metafisica per risolvere il problema? La libertà è certamente l’elemento in atto che sovrintende l’evoluzione fisica e biologica del mondo, ma qual è il vero motore della libertà? “L’amore potrebbe avere spinto la libertà ad agire – scrive Dall’Aglio –, Dio a uscire da se stesso per dare vita all’Universo e a quanto contiene.
Con le parole di Pareyson, «…forse si potrebbe dire che Dio a tal punto vuole la creazione del mondo che per farla vuole esistere lui stesso»”. Sembra di trovarsi alla fine della Divina Commedia, quando Dante giunge all’apice del suo viaggio con la stessa folgorante intuizione: è «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Paradiso, XXXIII, v. 145). In questo senso l’amore è il grande motivo che spinge la vita a esistere: “Immagino l’amore – continua la Dall’Aglio – come la scienza immagina la forza originaria, ipotizzata e non ancora scoperta, da cui scaturiscono le quattro forze fondamentali della natura: misteriosa, feconda, ragionevolmente possibile; e la immagino anche come la volontà che ha voluto se stessa con un atto di libertà illimitata e inarrestabile; e, infine, perché no?, la immagino anche come quella voce divina che, pronunciata, dà vita al mondo”. Ma come si concilia l’amore e la libertà con l’evidente esperienza del male?
Infatti è proprio il male il grande fatto davanti al quale si arrestano molti ragionamenti. Eppure Michela Dall’Aglio non si scoraggia nel suo indagare e scandaglia anche il fatto del male come l’occasione per affermare ancora più chiaramente che la sua esistenza è un ulteriore argomento a favore della libertà e quindi dell’amore, perché se il bene fosse totalizzante, senza possibilità di poter essere scelto, smetterebbe di essere bene e annullerebbe l’amore: “Imporre il bene, – scrive Dall’Aglio – o interdire il male, il che è lo stesso, significherebbe, dal punto di vista di Dio, negare e contraddire se stesso – giacché egli è libertà. Impedire la libertà all’uomo, qualunque ne siano le conseguenze, vorrebbe dire non permetterne l’esistenza, perché corrisponderebbe a negare o impedire l’essere, scegliere il nulla.
Per questo Dio può soltanto contrastare, con la sua libertà, le conseguenze della libertà umana anche quando questa volge al male. Pertanto, la libertà originaria, divina, che ha scelto in modo irrevocabile il mondo e la vita, si offre alla nostra libertà solo come possibilità di sperare contro l’insignificanza del mondo e il sopravvento del male”.
Chi pensa usando la sola ragione può solo arrampicarsi accettando di fare fatica. Questo tipo di fatica però ha sempre il pregio di fortificare l’umano. Dobbiamo essere grati a Michela Dall’Aglio per averci regalato un’occasione di fatica che ha il pregio di umanizzare la vita soprattutto nelle sue escrescenze più problematiche. Davvero a lei si possono indirizzare le parole di Etty Hillesum che ritroviamo nell’introduzione; «C’è uno spirito irrequieto in me che vuole sottrarre alla vita quanti più misteri possibili». Michela Dall’Aglio non ha risolto il Mistero, ma ne ha certamente un po’ rischiarato il buio.