Il Gesù di Recalcati

24 Dicembre 2024

La legge del desiderio di Massimo Recalcati (Einaudi 2024) è la seconda parte di un imponente lavoro saggistico che l’autore ha riservato negli ultimi anni al testo biblico. C’è da dire immediatamente che l’intento di Recalcati non è teologico, né, allo stesso tempo, semplicemente psicoanalitico. Egli trova nella frequentazione del testo biblico uno straordinario aiuto a ripensare la vita stessa e la pratica della psicanalisi come pratica che riconsegna la vita alla vita stessa, e la vicenda testimoniale di Gesù come la traccia viva di come la vita effettivamente può riprendere il suo splendore a partire da uno sguardo altro su di essa.

Questo secondo volume – il primo, La legge della parola (Einaudi 2022), era dedicato soprattutto alla narrazione dell’Antico Testamento – è incentrato sulla predicazione di Gesù. In fondo il Nuovo Testamento narra la sua vita e consente, in un certo senso, di accostarsi al suo messaggio. La tesi di fondo di Recalcati è che per troppo tempo il messaggio di Gesù è stato costretto in una casella di religiosità che ne ha pervertito la tesi di fondo. Gesù, sostiene Recalcati, non è il difensore della semplice legge giudaica bensì il suo retto interprete, colui che rende possibile il suo compimento. La differenza è sostanziale: se la legge di Mosé è la legge del “non desiderare”, declinata in tutte le circostanze della vita, e quindi è la legge contrapposta al desiderio, la legge di Gesù è la legge del desiderio stesso, la legge di ciò che spalanca la vita alla vita stessa, conduce la vita ad essere vita viva. Non siamo quindi più nell’ottica sacrificale, nella rinuncia della vita, ma nell’ottica del compimento della vita. È questo il punto iniziale della riflessione di Recalcati. La legge mosaica del “non desiderare” non deve essere letta come un imperativo categorico che castra la vita nella sua radice più vera. Basta leggere il racconto della Genesi in cui si parla della condizione di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre per rendersi subito conto che essi possono godere di tutto ciò che c’è nel giardino, ma Dio pone un limite al loro desiderare (l’albero proibito) per incendiare di più il loro desiderio, non per guastarlo. Giustamente, nota Recalcati, c’è una grande differenza tra godere di tutto, e godere del tutto. Quest’ultimo godimento è riservato solo a Dio, e quando il desiderio umano non trova un argine cade in un delirio di onnipotenza che lo porta all’autodistruzione. La psicanalisi parlerebbe di un desiderio incestuoso che diventerebbe un impedimento alla vita stessa, alla gioia. Quest’argine, quindi, non cancella la vita, bensì la salva e la rende più attrattiva. Gesù sa bene che il cuore della Torah si trova codificato in un’unica forma di peccato: voler diventare come Dio, sostituirsi a Lui. Volere, cioè, cancellare quell’argine al godimento che impedirebbe allo stesso godimento di raggiungere il suo vero scopo; impedirebbe cioè al desiderio di compiere davvero la vita. Tra la necessità di questo argine, e la trasformazione di esso in una gabbia, il passo è molto breve, e molta narrazione teologica e religiosa si è arenata esattamente su questo aspetto: il “non desiderare tutto” si è trasformato nel “non desiderare nulla”. La paura dell’eccesso di vita si è trasformato nella sua privazione. Ma, dice Recalcati, il contributo originale di Gesù è esattamente nell’aver portato fino alle estreme conseguenze il ragionamento mosaico: non più la contrapposizione della legge (argine) al desiderio, ma bensì la legge come legge del desiderio stesso.

Ora la questione interessante è: perché in genere gli esseri umani hanno paura di un approccio simile? Perché, cioè, gli esseri umani hanno paura di mettere in pratica l’indicazione di Gesù di fare del proprio desiderio la propria legge? Tutto il giudizio finale non sarà basato su un elenco di trasgressioni generiche più o meno importanti, ma avrà come cuore un unico tipo di giudizio: se abbiamo vissuto la nostra vita amando o meno, poiché l’amore è la capacità di moltiplicare la propria vita attraverso il dono di sé. La capacità di amare è la capacità di rischiare, di aprirsi, di mettersi in gioco. L’amore non è semplicemente la preoccupazione di rimanere dentro un argine, ma la capacità di poter portare la vita a fare qualcosa di inedito, ad essere rischiata, impiegata fino in fondo. Ne consegue che il vero peccato è giocare in difesa, rinchiudersi, preservarsi, nascondersi, lasciarsi dominare dalla paura. La tentazione dell’impotenza che costantemente è accovacciata alla porta della vita umana come la più mortale delle malattie. Non a caso, nota Recalcati, i miracoli che Gesù compie molto spesso sono miracoli legati alle paralisi, cioè all’incapacità a muoversi, ad agire. Il paralitico è ostaggio della vita e non riesce a venirne fuori. L’esperienza redentiva è poter rompere il filo spinato di questa schiavitù. Viene quasi spontaneo pensare che questa condizione di liberazione è il più grande desiderio dell’uomo, ma, come giustamente notava Freud, l’essere umano è assetato di obbedienza, percepisce lo spazio della libertà come uno spazio pericoloso e, proprio per questo, ha sempre nostalgia della schiavitù, del confine, della paralisi.

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La nostra impotenza, la nostra paura, e persino la nostra felicità, sono una zona di comfort dentro cui passare la nostra stessa vita: è questo il vero grande peccato che conduce alla morte. Il ruolo di Cristo, come la pretesa della psicanalisi, è rendere possibile una libertà che ci spaventa. Quando il desiderio è in azione dentro di noi, esso, sottolinea Recalcati, ha un potere moltiplicante. Le nostre energie si moltiplicano così come le nostre forze e le nostre capacità. Il nostro niente non solo basta, ma sovrabbonda: questo miracolo di centuplicazione della vita è possibile solo a patto che non si assuma una postura impaurita.

Nella parabola dei talenti, ad esempio, l’unico servo ad essere rimproverato è colui che restituisce il talento al padrone senza aver prodotto nulla. Il suo ragionamento era tutto dettato dalla paura di perdere, e dalla paura del giudizio del padrone, così escogita l’unica via di uscita possibile: nascondere il talento. Il vero peccato non è perdere il talento, ma nasconderlo. L’unica grande trasgressione non riguarda i nostri errori ma le nostre omissioni di vita. È questa la tesi di fondo che Recalcati mutua anche attraverso la riflessione di Jacques Lacan: “hai agito nella tua vita in conformità al desiderio che ti abita?”.

Per questo, forse, l’episodio più paradigmatico è raccontato dal Vangelo di Giovanni: un paralitico bloccato da trentotto anni in una paralisi è incrociato da Gesù nei pressi di una piscina che le credenze popolari immaginavano capace di poteri taumaturgici. L’incontro di Gesù con quest’uomo è l’incontro con una domanda quasi banale, ma che in realtà colpisce il cuore della questione: “vuoi guarire?”. L’operazione che fa Gesù mira a risvegliare in quest’uomo il desiderio di guarire, smettendo di assecondare in lui l’atteggiamento vittimistico e colpevolistico.

Solo se il desiderio è vero ci può essere un miracolo.

In discussione, in questo racconto, non è la capacità di Gesù a compiere un miracolo, ma la possibilità di quest’uomo di volerlo davvero. Solo un desiderio autentico può cambiare radicalmente la situazione. Gesù lo sa bene, e con questo suo gesto sembra anticipare il lavoro psicanalitico.

Anche questo testo di Recalcati è destinato a restare come uno dei saggi su cui si può costruire un rinnovamento teologico, antropologico, psicanalitico, sociale: in gioco c’è una visione dell’uomo, e del mondo, che può essere la base di un cambiamento o restare meteora luminosa di un profeta che grida nel deserto.

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