Mogadiscio. Passati dimenticati e futuri lontani
L’International Architecture & Design Showcase propone una serie di manifestazioni a Londra tra giugno e agosto 2012, su iniziativa del British Council. Tra i cinque paesi africani rappresentati, la Somalia fa sentire una voce aspettata e rinascente. Questa partecipazione è l’eco culturale di una risurrezione politica che ha avuto nella conferenza di Londradi febbraio l’elemento fondamentale. La capitale accoglie una parte essenziale della comunità somala in Inghilterra, la più importante di tutta la diaspora. Il suo dinamismo assume un ruolo motore nella costruzione di una nuova identità: tra i suoi esponenti c’era fino al 2010 Mohamed Nur, adesso sindaco di Mogadiscio. In tutto il paese, la popolazione somala comprende, a seconda delle fonti, tra 80.000 e 400.000persone. Durante l’inaugurazione della mostra, ho incontrato qualche esponente della giovane élite laureata. Qualcuno di loro pensa ormai a un possibile ritorno.
34 anni, giacca scura, camicia chiusa senza cravatta, occhialini rotondi con montatura di plastica, Rashid Ali ha la voce chiara e determinata. Lo sento incitaregli impiegati durante gli ultimi preparativi del vernissage: “Fast, please!”. La sua fragile sicurezza è quella di un uome giovane e saggio, che percorre la sua strada verso alte responsabilità.
L’installazione è allestita nel bellissimo cortile interno della biblioteca centrale di Camden, nel nord di Londra. L’architteto del luogo è Sir Basil Spence, un capofila del modernismo inglese, famoso per la ricostruzione della cattedrale di Coventry, città martirizzita della seconda guerra mondiale. Il cubo ventilato e meditativo, che la biblioteca accoglie fino al 5 agosto, è una risposta raffinata alla sua estetica aperta e rassicurante. All’interno, tre serie di immagini si succedono, accompagnate da un canto somalo e da due creazioni contemporanee, anche loro armoniose e pure.
Le immagini provengono dai fonti pubbliche e da collezioni private, soprattutto italiane. Raccontano il destino di una città che, meno prestigiosa della sua rivale Asmara, gioiello eritreo dell’espansione coloniale italiana, ha beneficiato comunque di due piani regolatori. L’Italia è lontana ormai, luogo di transito per una diaspora abituata alle migrazioni secondarie. A Roma i Somali sono sul lastrico, dice Rashid. Gli Italiani ci hanno dimenticati, conferma il suo amico Abdul Elmi, il cui padre parla ancora perfettamente italiano: un ricordo scolastico.
In una città distrutta dalla guerra, gli schemi di sviluppo del colonizzatore formano un precedente mitico che serve a porre domande sul futuro. Nato a Mogadiscio, Rashid Ali ha solo ricordi di infanzia e questo archivio serve anche a nutrire il suo immaginario. Col suo misto di archittetura arabizzante e latina, la capitale era, in questo paese di nomadi, l’unica metropoli e quindi il punto di riferimento per quanto riguarda l’urbanismo. Questo prestigio si è arricchito di alcuni monumenti simbolo, tra cui il Teatro nazionale, devastato da una bomba ad aprile: era riaperto da quindici giorni dopo vent’anni di abbandono. Ahmed, un amico di Rashid, mi spiega che suo padre si trovava a qualche passo della deflagrazione: lui fa parte di quelli che sono tornati, che credono in un possibile ritorno alla calma.
Dei collegamenti aerei regolari sono stati ristabiliti quest’anno con l’Europa. Tutti vogliono tornare nel paese natale, mi spiega Rashid Ali. I voli sono completi fino a settembre. Il suo sogno sarebbe che la sua installazione raggiungesse Mogadiscio l’anno prossimo. Per lui, l’uscità dal caos è fuori di dubbio. La domanda che si fa adesso è quella di sapereche genere di città si può immaginare, e se quello che sussiste permette di mantenere un legame col passato, o se invece bisogna ricostruire tutto daccapo. Per questi “futuri lontani”, il ruolo della diaspora è essenziale: un sapere e dei mezzi.
Mostra: Mogadishu. Forgotten Pasts and Distant Futures
Swiss Cottage Library, 88 Avenue Road, NW3 3HA
5 Luglio–5 Agosto
Dal lunedì al sabato dalle 10 alle 18.
Il testo francese dell’articolo, pubblicato su Slate Afrique.