Nella colonia penale
La voce che si sente, immersi nel buio della sala, è suadente come se l’aspetta chi lo conosce, Ermanno Cavazzoni («la fata coi baffi», l’ha ribattezzato una volta Silvia Ballestra). Eppure stavolta c’è una punta di asciuttezza in più: un tono insieme di compatimento sottile e neutralità, come dire, nosografica: «L’umanità ha incominciato a andare al mare verso la metà del Novecento. Fino ad allora a nessuno era venuto in mente di andarci. All’inizio sembrava una moda passeggera… per convalescenti…».
La quiete di Vacanze al mare, con questo titolo anodino da cinepanettone di seconda scelta e il suo tono pacato e sorvegliato, in realtà ci si rivolge come si insegna a fare ai matti. Ci asseconda. Illustrando un nostro comportamento che pare, alla voce fuori campo, fra i segni più inequivocabili dell’universale follia dell’homo sapiens. O homo litoralis – come viene ribattezzata quella sottospecie che ogni anno «dopo il solstizio d’estate […] migra in massa sui litorali marini, per un impulso genetico, e si addensa sulla sottile striscia di sabbia tra la terraferma e il mare».
Meno comprensibile ancora dei lemming, che in mare almeno cercano scampo alla loro insoddisfacente esistenza, l’homo litoralis nella sua «deportazione volontaria» si sottopone alle torture più efferate: si sdraia su sabbie appiccicose o scomodo pietrisco, si espone alla trafittura dei raggi ultravioletti che ustionano la pelle, impavido affronta temperature da padella, sciaguatta in pochi centimetri di acque torbide tra «vapori umidi» nell’«aria tremolante», in una riviera che ricorda quella trista d’Acheronte di dantesca memoria. Davvero è un inferno, la spiaggia: ma per avervi accesso, l’homo, s’incolonna si pigia si scalmana.
L’anonimo scienziato che illustra i comportamenti bizzarri dell’homo litoralis – come un etnografo futuro che tenti di dar conto di costumi incomprensibili di genti estinte, o uno zoologo che illustri il comportamento di specie rare e misteriose – si vale di una ricca documentazione: centinaia di film di famiglia – i classici “filmini” che i parenti delle barzellette mai mancano d’infliggere agli ospiti sventurati – risalenti a un periodo compreso fra gli anni Trenta e i tardi Settanta, e conservati dall’archivio bolognese Home Movies (una sorta di equivalente audiovisivo dell’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano).
Insieme ad Antonio Bigini, e col montaggio di Lamberto Borsetti, Ermanno Cavazzoni si è tuffato – è il caso di dire – tra i flutti solarizzati e decolorati di questo found footage polveroso e graffiato (come già aveva fatto, l’anno scorso, nel cortometraggio Il mare d’inverno, inserito nel progetto collettivo Formato ridotto): in maniera simile a quella con cui, tanto tempo fa ormai – proseguendo in forma sistematica, e a sua volta quietamente folle, una vecchia intuizione celatiana –, s’era aggirato negli archivi e nelle biblioteche dei manicomi (giacimento precipitato in quelli che sono ormai piccoli classici come Vite brevi di idioti o Gli scrittori inutili). E l’ha commentate con l’acribia e lo zelo incongrui, e alla lunga esilaranti, con cui sono compilate le fortunate classificazioni più recenti: la Storia naturale dei giganti e la Guida agli animali fantastici pubblicate da Guanda.
Impagabili per esempio i passaggi che illustrano il comportamento dei vitelloni, i «maschi da spiaggia» che adescano le turiste straniere, commentati come si farebbe con specie di volatili dagli astrusi riti d’accoppiamento (attributo indispensabile, per esempio, la «radiolina»: che il maschio da spiaggia «tiene a medio volume, in modo che si senta in giro, per richiamare la femmina; come fa anche ad esempio il fagiano maschio col suo rauco grido»).
C’è un tratto deliziosamente obsoleto, eppure eterno e immedicabile, in questo maschio italico anni Settanta – la sigaretta sempre fra le labbra «perché si capisca che è una faccenda da maschi», il costume da bagno con rigonfiamento sospetto di artificialità (alla primo Verdone), la capigliatura «studiata per fare impressione» – che fa pensare alle osservazioni parimenti antropologiche del Celati studioso del maschio italiano sulla scorta del più prestigioso, ma non meno istruttivo, giacimento culturale rappresentato dai film di Fellini (il quale fu il primo, com’è noto, a intuire il potenziale visivo della scrittura di Cavazzoni).
Memorabile la sequenza del ballo in spiaggia: con l’animale alfa, il «capobranco», che corteggia in maniera ostentata la più attraente delle «femmine» – presenza costante, nelle immagini, quella della donna: animale mitologico, fantastico e fantasticato, a ben vedere vagamente mostruoso coi suoi seni penduli e gli occhi bistrati… a un certo punto rassomigliata a un «ragno velenoso», una mantide omicida, alla «larva del macaone»… Io son dolce sirena: evocato è il Purgatorio colla sua femmina balba… (un Purgatorio era pure l’aldilà di uno dei libri di Cavazzoni meno fortunati ma più ipnotici, Cirenaica: dove è guardando sempre lo stesso vecchio film che si scivola in un’altra dimensione…).
Vacanze al mare è insomma opera quintessenzialmente cavazzoniana: quasi un compendio delle sue maniere più collaudate. Ma nel passaggio dalle parole alle immagini – così come era capitato appunto a Celati, nei suoi primi documentari risalenti ormai a vent’anni fa – si registra un valore aggiunto, e non da poco. Che intanto sono le immagini in quanto tali: quasi struggenti, a tratti, nel loro poeticissimo squallore (sottolineato da una scelta musicale non meno che geniale: lo Stabat mater di Pergolesi arrangiato in maniera “rovinata” – un rock che degrada volentieri verso il “liscio” – da Giorgio Casadei e Vincenzo Vasi… nel commentare il film col pubblico Cavazzoni ha parlato di una musica dolorosa come i corpi crocifissi dei bagnanti… stabat nuda æstas…).
Ma che è poi soprattutto la piegatura sottile data al film mediante l’aggiunta di un solo personaggio, le cui riprese (seppure sottilmente “anticate”) sono state girate per l’occasione. Un personaggio che alla fine prende la parola, come se fosse l’anonimo studioso che abbiamo ascoltato sino a quel momento, lo scettico e disincantato descrittore scientifico che fosse d’improvviso entrato nell’inquadratura. E ci si mostrasse, senza più l’usbergo della sua pretesa neutralità, scorato e «derelitto», «inutile ai fini della procreazione».
Uno che per un attimo s’è illuso di incrociare lo sguardo di rimando di «una ragazzina vestita di rosso»… «un po’ timida… che ha alzato la testa a guardarmi… era bellissima». E che sogna allora il Paradiso (O somma luce che tanto ti levi / da’ concetti mortali… fa la lingua mia tanto possente / ch’una favilla sol de la tua gloria / possa lasciare a la futura gente). E che poi, come un Krapp beckettiano, mesto rimesta quella felicità intravista e perduta per sempre.
Si ripensa allora a certe figure che, nell’ilare commedia umana dei folli di Cavazzoni, se ne stanno al margine dell’inquadratura. Con un sorriso ghiacciato sulla faccia, paralizzati in una dimensione senza vie d’uscita: dove ci si rende conto, all’improvviso, che davvero non c’è granché da ridere. Come l’ultimo idiota delle Vite brevi: un anziano in stato di amnesia che viene portato in un ufficio, dove comincia a cercare la porta d’uscita: «ci passa davanti senza vederla […] e dice: “Questo è un labirinto!”».
Gli chiedono «cosa ha fatto nella vita?». «Lui allora «si china in avanti, colpito. Sembra commosso dalla parola. Gli si ripete la domanda. Chiude gli occhi quasi piangendo. Dice: “Nella vita? – e piange – cosa ho fatto? Ho fatto poco. Lo giuro [...] Non ho avuto tempo. È stato così breve”. Poi ripete: “La vita! è stata così breve la vita”. Piange nominando la vita. [...] Sembra preoccupato e dice rivolto a destra: “Dove andate?”. Si dirige verso l’angolo della stanza e tasta l’angolo. “Non c’è più la maniglia?”, chiede».
Infin che ’l mar fu sovra noi richiuso
Vacanze al mare (ieri in prima assoluta al Festival del Cinema di Roma) verrà proiettato anche oggi alle 14.30 al Cinema Barberini di Roma, nell’ambito della sezione Prospettive Doc Italia.