Nella mente di un’ape
Generalmente, al netto di altri fattori, tendiamo a dare un giudizio di valore alle cose animate e inanimate basandoci sulla loro grandezza o sulla loro bellezza. Ecco, dunque, che nella migliore delle ipotesi gli insetti vengono ignorati dalla maggior parte delle persone, o più spesso, vengono disprezzati e considerati piccoli esseri disgustosi che conducono la loro semplice vita intorno a noi. Fanno forse eccezione le farfalle, che a causa della nostra spiccata propensione ad apprezzare le cose colorate, vengono considerate quantomeno belle. In ogni caso, belli o meno, gli insetti sono stati sempre considerati, anche dalla maggior parte degli scienziati, come “automi robotici essenzialmente inflessibili nel loro comportamento programmato in maniera innata”, oppure, per utilizzare le parole del filosofo Daniel Dennett, animali caratterizzati da “un’ottusa meccanicità del comportamento”. A ben vedere, invece, gli insetti sono organismi affascinanti e, se osservati attraverso una lente di ingrandimento, si rivelano veri capolavori di ingegneria biologica. Non solo, la complessità anatomica e comportamentale degli insetti non ha certamente nulla da invidiare agli animali più grandi, uomo incluso.
Questa evidenza scientifica costituisce il filo conduttore che emerge in ogni singola pagina dell'ultimo entusiasmante libro di Lars Chittka, intitolato Nella mente di un'ape (Carocci Editore, 2023). Questo libro ci guida in un viaggio illuminante nel complesso mondo delle api, svelando i segreti dietro il loro comportamento e la loro straordinaria intelligenza. Nella mente di un'ape si distingue per la sua capacità di tradurre concetti scientifici complessi in una prosa accessibile a tutti i lettori, sia agli "addetti ai lavori" desiderosi di approfondire l'argomento, sia ai lettori "neofiti" che vogliono avvicinarsi per la prima volta al mondo delle api, senza mai perdere di vista il rigore scientifico.
Lars Chittka, uno tra i più brillanti studiosi di cognizione animale degli ultimi anni, si pone un preciso obiettivo che, per dirlo con le sue parole, è quello di “convincervi del fatto che le api possiedano abilità fondamentali che siamo soliti attribuire a organismi dotati di una mente: mostrano un certo grado di consapevolezza del modo circostante e delle proprio conoscenze, compresa la capacità di avere ricordi autobiografici; sono in grado di valutare le conseguenze delle proprie azioni e sono altresì capaci di provare emozioni e mettere in atto comportamenti intelligenti. Poi continua “proverò a mostrare che queste menti abitano cervelli incredibilmente complessi. […] questi cervelli elegantemente miniaturizzati sono molto più che dispositivi di input-output: sono macchine biologiche predittive, capaci di valutare diverse possibilità, e spontaneamente attive anche in assenza di stimoli, ad esempio durante la notte”.
Chittka non è stato certamente il primo a sostenere queste idee, poiché prima di lui vi sono stati grandissimi pionieri come Charles Darwin, John Lubbock e Charles Henry Turner, che hanno sostenuto la tesi degli insetti intelligenti, dotati di personalità ed emotività. Tuttavia, in quel periodo, si trattava di intuizioni controcorrente basate su osservazioni acute, ma pur sempre aneddotiche e speculative. Oggi, i tempi sono più maturi. Chittka ha potuto avvalersi di una crescente mole di evidenze scientifiche,
alle quali ha contribuito attraverso la sua attività di ricerca svolta prima presso la Freien Universität di Berlino, nel team del suo mentore Randolf Menzel (allievo di Martin Lindauer e a sua volta allievo del premio Nobel Karl von Frisch), e successivamente presso l'Universität Würzburg, la Broker University di New York e infine la Queen Mary University of London, dove ha fondato il "Research Centre for Psychology". Queste nuove evidenze scientifiche sugli insetti hanno finalmente permesso la nascita di un libro che, forse per la prima volta, applica un atteggiamento di antropomorfismo critico allo studio del comportamento animale, superando la visione antropocentrica e la concezione dell’antropomorfismo come "errore categoriale" (antropodiniego).
Il libro si apre con una panoramica su cosa significhi essere un'ape e sulle sfide che deve affrontare ogni giorno per bottinare e ritornare al proprio alveare, cercando di evitare i predatori e allo stesso tempo massimizzando l'efficienza energetica e il tempo impiegato. L'autore è consapevole che per comprendere appieno la mente dell'ape, è necessario mettersi nei suoi panni e capire cosa sia rilevante per questo animale, nonché comprendere come esso interagisca con il mondo esterno. Per tale motivo, Chittka intraprende un interessante viaggio attraverso i sensi delle api, esplorando la loro vista, l’orientamento, l’olfatto, e altri sensi peculiari come la magnetocezione. È un viaggio nel corpo prima che nella mente dell’ape, che ci insegna che “il mondo sensoriale delle api non è solamente completamente diverso, ma probabilmente anche molto più ricco di quello umano”. Questo per Chittka è un passaggio fondamentale: comprendere che le api hanno un modo unico di percepire il mondo attraverso i loro sistemi sensoriali ci permetterà di evitare di attribuire caratteristiche umane ai loro comportamenti e di spiegare le azioni degli animali basandoci sui concetti della psicologia umana.
Nel corso dei capitoli, Chittka trascina il lettore in modo avvincente nel mondo delle api, descrivendo il loro ricchissimo repertorio comportamentale innato, ma anche la loro sorprendente flessibilità comportamentale resa possibile grazie alle loro avanzatissime capacità di apprendimento e memoria. Affronta le ragioni evolutive dell'intelligenza delle api, spiegando proprio come “l’abitudine di visitare fiori abbia portato le api ad essere colossi di intelligenze tra gli insetti: andando oltre il bisogno fondamentale di memorizzare posizioni, colori e profumi dei fiori, infatti, imparano anche regole e concetti che le aiutano a sfruttare le risorse floreali in modo efficiente”.
L'autore esplora poi in dettaglio l'intelligenza delle api e la loro straordinaria capacità di astrazione e risoluzione dei problemi. Ci mostra come le api siano in grado di padroneggiare concetti spaziali come destra/sinistra, sopra/sotto, o concetti categoriali come uguale/diverso, nonché come riescano ad affrontare concetti complessi legati alla numerosità, come l'addizione, l'ordinamento sequenziale dei numeri o persino il concetto di zero. Le api dimostrano di poter risolvere puzzle complessi, utilizzare strumenti, trovare soluzioni innovative, imparare copiando i loro compagni, e adattarsi in modo vincente a nuove situazioni, anche quelle che non incontreranno mai in natura, perché gli sono state presentate in laboratorio da uno sperimentatore curioso e “dispettoso”.
Uno dei punti salienti del libro di Chittka è il modo in cui egli sfida la tradizionale concezione umana di intelligenza e coscienza. Le api hanno esperienze soggettive? Sono in grado di provare sentimenti come la dimensione soggettiva del dolore? Possiedono una metacognizione che consente loro di sapere quello che sanno? Sono consapevoli della propria esistenza? A tutte queste domande, Chittka cerca di rispondere nel capitolo finale del libro, invitandoci a riconsiderare la nostra definizione di intelligenza e aprendo la possibilità che essa possa esistere anche in forme di vita molto diverse dalla nostra. Le api, afferma Chittka, con le loro abilità cognitive e comportamentali complesse, ci sfidano a superare i nostri pregiudizi e ad apprezzare la diversità delle forme di intelligenza presenti nel mondo naturale.
Un terreno, quello della psicologia delle api, arduo e insidioso, ancora al centro di un acceso dibattito tra scienziati, in cui i rischi di cadere nell’antropocentrismo o di commettere l’errore opposto (antropodiniego) sono sempre presenti, ma su cui Chittka si muove sapientemente e con dovuta cautela: “i lettori critici potrebbero obiettare che ogni singolo fenomeno psicologico, ogni comportamento intelligente descritto in queste pagine potrebbe essere in qualche modo replicato da un algoritmo di calcolo o da un robot, e quindi potrebbe essere realizzato, in teoria, senza alcuna forma di consapevolezza cosciente”. Lars sottolinea che tali lettori critici avrebbero ragione, perché “non è mai stata fornita una prova formale della coscienza in alcun animale e in questo libro non l’ho fornita nemmeno per le api”. Ma, aggiunge, “[…] se voleste costruire un automa in grado di fare […] le decine di comportamenti “innati”, appresi e innovativi – dovreste dotarlo di un elemento lunghissimo di istruzioni dettagliate, e la vostra macchina sarebbe comunque in grado di affrontare solo ciò per cui l’avete programmata. Sarebbe impotente di fronte a qualsiasi sfida nuova, per la quale non avete scritto alcun codice”.
Ben consapevole del fatto che non sia possibile studiare direttamente la mente o lo stato d'animo di un'ape, poiché, come tutti gli animali, esse non sono in grado di fornire un resoconto verbale, non rimane dunque che fare affidamento su prove indirette e misurare tutti i cambiamenti nelle risposte comportamentali che possono essere indicativi di stati emotivi. Più osserviamo e studiamo il comportamento, la psicologia e la neurofisiologia delle api, più la nostra comprensione di questi fenomeni diventa completa, e gradualmente ci rendiamo conto che queste creature hanno effettivamente stati emotivi. La conclusione per Chittka è quindi che “Le api hanno stati mentali che, per gli stessi criteri applicati agli animali domestici e selvatici, possono essere serenamente essere considerati “stati emotivi””. Alea iacta est: se non accettiamo queste conclusioni per gli insetti, allora non siamo autorizzati ad assumere lo stesso per nessun animale incapace di fornire un resoconto verbale, incluso neonati umani.
Eppure, nessuno mette in dubbio che gli infanti possano provare emozioni o siano coscienti solo perché non sono in grado di esprimere le proprie emozioni attraverso il linguaggio verbale. Allo stesso modo non consideriamo privi di coscienza o emozioni pazienti afflitti dalla cosiddetta “vista cieca”, ovvero persone che hanno una regione del campo visivo cieca dovute a traumi in regioni specifiche della corteccia visiva primaria e che non sono consapevoli di percepire gli oggetti, ma possono ancora descrivere alcune caratteristiche degli stimoli visivi senza esserne consapevoli.