Paolo Bacilieri tra Manzoni e Scerbanenco

18 Giugno 2023

Era la più classica delle estati bolognesi, afosa e gialla, e una cappa di calore e smog aleggiava sotto i portici di una strettissima via San Felice. Per fortuna la sede della casa editrice era all’ultimo piano, non aveva l’aria condizionata ma almeno c’era una terrazza. Davanti a me, giovane, inesperto e accaldato stagista di redazione, c’erano le tavole originali di un fumetto, dispiegate sulla scrivania: tra le vignette si muoveva uno zombie di nome Loris, professione pavimentista, barcollante tra strade di provincia: “Wild Veneto”, diceva una didascalia. Mi sembrava che corrispondesse perfettamente ai racconti di alcuni miei amici che erano fuggiti dal Veneto per rifugiarsi e studiare a Bologna. L’autore delle tavole mi era stato introdotto come “il miglior disegnatore italiano”, e ora stava chiedendo a me, giovane, inesperto e sempre più accaldato stagista, un consiglio: era meglio tenere o eliminare quella sequenza? È stato così che ho conosciuto Paolo Bacilieri.

Di Paolo mi colpì subito la gentilezza, la cura per i dettagli e l’evidente passione per il fumetto in ogni sua forma. Già allora era uno dei pochi autori a lavorare contemporaneamente per il fumetto cosiddetto popolare, da edicola – dal 1999 disegnava per la Sergio Bonelli Editore le storie di Napoleone, personaggio creato da Carlo Ambrosini – e su progetti personali, “d’autore” o sperimentali. Questo nostro primo incontro, che lui non potrà ricordare, si svolgeva a metà degli anni 2000, quando Bologna era davvero la capitale del fumetto e le principali case editrici che lavoravano nel nascente formato del graphic novel avevano sede sotto le Due Torri. Noi eravamo appunto nella redazione di Kappa Edizioni, e le tavole su cui ragionavamo avrebbero presto visto la luce in Zenoporno (ora pubblicato insieme al suo seguito, La magnifica desolazione, da Coconino Press).

A tanti anni di distanza la versatilità di Paolo Bacilieri non è cambiata. Basta osservare la sua produzione dell’ultimo periodo. Pochi mesi fa ha pubblicato Venere privata (Oblomov edizioni), adattamento dell’omonimo romanzo di Giorgio Scerbanenco, mentre ad aprile è uscita Il diavolo in paradiso, una storia di Dylan Dog disegnata su testi di Alessandro Russo e inserita nella collana Old Boy, per cui Bacilieri cura anche le copertine insieme agli storici disegnatori della testata, Montanari e Grassani. Nel frattempo la casa editrice Diabolo Edizioni gli ha dedicato il terzo volume dell’antologia Materia degenere, in cui cinque giovani fumettiste hanno creato storie originali partendo dal suo immaginario. Quando lo sento per fargli qualche domanda per questo pezzo, Paolo è già al lavoro su un nuovo progetto: una biografia del pittore Piero Manzoni, di prossima pubblicazione per Coconino Press.

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Dylan Dog disegnato da Paolo Bacilieri.

 

Fare fumetti

Parlare di fumetti con Paolo Bacilieri è come ascoltare un fratello maggiore, che più o meno le ha viste tutte e però sa fare da ponte con chi è meno esperto. I suoi primi lavori risalgono in effetti agli anni ’80, quando i fumetti si pubblicavano ancora a puntate sulle riviste e l’espressione graphic novel era ben lontana da diventare di uso comune. Mi affascina capire come Bacilieri riesca a tenere insieme tutte le sue anime, e credo che la risposta sia nel percorso che ha fatto fin qui, così gli chiedo di spiegarmi come è cambiato nel tempo, secondo lui, il suo modo di disegnare. “Io ho cominciato molto giovane a fare fumetti”, risponde, "e quindi sono cambiato parecchio nel corso degli anni, credo che sia un processo naturale. Anche Charles Schulz cambia, anche se ha fatto solo Peanuts per 50 anni. Figuriamoci chi come me ha fatto cose diverse in contesti diversi: sono cambiato tantissimo sotto ogni punto di vista, non solo nel disegno. Credo che nel mio caso ci sia anche una forma di reazione, che mi spinge a cambiare rispetto a quello che sto facendo”.

“Ho cominciato facendo fumetti ligne claire [tecnica tipica del fumetto francofono, come Tin Tin, per intenderci], molto puliti, su storie non scritte da me, ma comunque con una linea chiara molto grottesca, leggera, e poi per reazione ho fatto Barokko, che era tutto meno che linea chiara, anzi era un ammasso di tecniche, le più varie e diverse, collage, scarabocchi… gli originali erano praticamente dei bassorilievi”. Barokko, pubblicato a partire dal 1988 sulla rivista francese À suivre e in Italia su Comic Art, raccontava le avventure di uno scalcinatissimo investigatore, Mario Barokko, appunto, ma era in realtà lo specchio di un’Italia cinica e violenta. La struttura delle tavole era comunque tradizionale: la classica griglia del fumetto francofono. “Un’altra reazione è avvenuta più tardi, stavolta contro le quattro strisce regolari. In Durasagra (1994) ho usato una gabbia libera e ho sfruttato quanto più potevo il fatto di lavorare su una tavola invece che su di una striscia, anche lì sentivo una costrizione che non mi andava più bene, a cui volevo rinunciare. Poi via via ci sono state molte altre ‘reazioni allergiche’ che mi hanno portato al modo in cui lavoro oggi, che è senz’altro più stabile rispetto agli anni giovanili”. Credo di capire. Dopo aver sperimentato in tutti i formati e in tutte le tecniche, ora Bacilieri ha una quantità di esperienze da cui attingere, e a questo punto lo stile passa in secondo piano, si tratta invece di mettere la propria matita al servizio di una storia. “Credo che il primo lavoro in cui col senno di poi posso dire di aver lavorato in una maniera più matura sia Sweet Salgari”. Per raccontare la vita del grande scrittore di avventura (in un volume uscito nel 2012 per Coconino Press), Bacilieri ha lavorato "senza preoccuparmi tanto dello stile quanto del progetto, dell’idea di libro che avevo. Credo che quello sia stato un po’ l’inizio di un lavoro che ancora adesso porto avanti, in cui bene o male lo stile deve essere appropriato al tipo di progetto. A fare quel libro ci ho messo qualcosa come dodici anni”.

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Una tavola da Sweet Salgari (Coconino Press, 2012).

Questo discorso vale a maggior ragione per Giorgio Scerbanenco, uno scrittore che Bacilieri ama moltissimo. Per questo, quando si è messo al lavoro sulla sua versione a fumetti di Venere privata, ha usato un approccio inedito. “Volevo che la voce di Scerbanenco, la sua caratteristica spigolosità verbale, trasparisse dalle mie tavole”, mi spiega. “Così ho lavorato in modo poco ortodosso: sono partito dai baloon, dai dialoghi, ancora prima di fare il découpage delle tavole [anche detto storyboard]: le ho costruite attorno ai baloon. Mi sembrava giusto lavorare così, senza una sceneggiatura ‘normalizzante’. Questo sicuramente è più rischioso però permette di filtrare meno il testo”. La parte testuale di questo fumetto è dunque fatta essenzialmente di baloon e dialoghi, ma sono aboliti quelli “del pensiero”, le classiche nuvolette di fumo. Raramente, e spesso in funzione di flashback, ecco entrare in scena la voce narrante di Scerbanenco, ad esempio nella tavola che introduce il protagonista, Duca Lamberti.

“Nel libro, la voce narrante di Scerbanenco è un ulteriore personaggio. Non è mai una voce dall’alto, una voce off che tutto vede e tutto sa e tutto comprende, una sorta di divinità, invece è come uno dei suoi personaggi, altrettanto incazzoso, spigoloso, alle volte molto poco politically correct. Quella voce, quando fa queste asciutte ed emotive descrizioni, ad esempio di Milano, l’ho tradotta in immagini”. I sassolini che Duca Lamberti si mette a contare mentre aspetta il suo committente, incontro che darà inizio alla vicenda, sono uno dei tanti modi che il protagonista ha inventato per passare il tempo nei tre anni di carcere da cui è appena uscito. Ma quei sassolini sono anche qualcosa che si può disegnare. “Dove Scerbanenco descrive io uso le immagini, faccio il mio lavoro di fumettista”, dice Bacilieri. Una caratteristica del modo di costruire le tavole di Paolo Bacilieri è l’uso di vignette/quadratini piccolissimi: a volte questi fanno da controcampo rispetto a un disegno più grande; in altri casi sono degli zoom, dettagli ravvicinatissimi su particolari e oggetti che hanno una loro importanza; spesso funzionano come una contronarrazione, ad esempio quando Charlie Brown e Lucy “escono” dal numero di Linus che sta leggendo Davide, l’assistito di Duca Lamberti in questa avventura.

Ma più di tutti, a condurre la vicenda di Venere privata, sono i personaggi. “Nei libri di Scerbanenco”, spiega Bacilieri, “i personaggi si autodefiniscono e si definiscono nel rapporto con gli altri proprio attraverso i dialoghi. Mi piace molto questa loro autonomia, questa loro autodeterminazione, per cui non sai mai cosa combineranno. Non c’è un plot che li tiene ingabbiati, anzi sono loro che conducono l’andamento della vicenda, e appunto attraverso quello che dicono noi li conosciamo, sappiamo come sono fatti”. Scegliere le loro facce, come stiamo per vedere, è stato dunque particolarmente importante.

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Una tavola da Venere privata (Oblomov, 2022).

 

Facce

“A Milano le persone sono belle”. Paolo mi disse questa frase diversi anni fa, doveva essere il 2012, mentre in macchina gli davo un passaggio da Ravenna a Bologna. Un’ora di strada in cui mi stava illustrando una sua particolare teoria su Milano. Eravamo di ritorno dal festival Komikazen, organizzato in quegli anni da Gianluca Costantini ed Elettra Stamboulis: era stata un’edizione dedicata alla storia d’Italia, declinata attraverso le biografie a fumetti di italiani illustri. Paolo aveva portato il suo graphic novel su Emilio Salgari (Sweet Salgari, Coconino Press), mentre io mi ero presentato senza ancor aver finito il mio su Primo Levi. In ogni caso avevamo fatto un incontro insieme, e si era parlato di quanto nella scelta di un personaggio contasse anche il fatto che fosse interessante da disegnare. “Bello”, per un fumettista, significa più che altro questo.

“Non ho cambiato idea”, mi conferma adesso Paolo. “I soldi dell’affitto di Milano sono ripagati da un semplice viaggio in metro perché ci sono un sacco di facce bellissime che un fumettista può usare. Mi sembra che ci sia effettivamente a Milano una sorta di eleganza intrinseca, o perlomeno c’era… adesso mi capita di lavorare ancora alla Milano degli anni ’60, in questo caso quella di Piero Manzoni, ed effettivamente, se guardi le foto di allora del Bar Giamaica, erano tutti elegantissimi, sarà anche il bianco e nero delle foto”. Il lavoro di casting, cioè la ricerca di riferimenti per i personaggi di un fumetto, risulta pressoché invisibile al lettore, ma è invece fondamentale per chi deve disegnare un personaggio per molte pagine e per molto tempo, tentando di farlo vivere sulla carta. In Venere privata i volti dei personaggi sono particolarmente importanti, e in un punto decisivo della vicenda le tavole non sono altro che enormi primi piani di una delle protagoniste, Livia. “Quel volto non so dove sia saltato fuori, sapevo solo che doveva avere i capelli corti”.

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Livia da Venere privata.

Altri personaggi invece hanno "genitori” più o meno reali. “Per quanto riguarda Duca Lamberti “, spiega Bacilieri, "sono andato sulle tracce di Bruno Crémer, l’attore che lo interpreta nel film Il caso venere privata (1970). In quel film la faccia è giusta, ma è troppo bella, abbronzata… sembra che sia appena tornato da una vacanza in Costa Azzurra, non da tre anni di prigione come Lamberti. Invece ho trovato un altro film, 317° battaglione d’assalto (1964) in cui c’è sempre Crémer, ma con una faccia più adatta. Ha questo bellissimo profilo da uomo d’arme rinascimentale, perfetto per Duca Lamberti che ha già nel nome un’aria di nobiltà decaduta: Scerbanenco era bravissimo nello scegliere i nomi”. L’ispirazione per un personaggio però può essere anche molto più casuale. La faccia del commissario Carrua, ad esempio, viene dallo scultore sardo Constantino Nivola, un carissimo amico di Saul Steinberg, che lo disegnava spesso. “Ho incontrato questa faccia bellissima, italianissima, anni ’50, l’anno scorso alla mostra di Steinberg a Milano”, racconta Bacilieri. Ancora più particolare è il caso di Davide Auseri, attorno a cui ruota tutta la vicenda di Venere privata: in questo caso il riferimento è nient’altro che un disegno, il ritratto di un giovane Tiziano Sclavi, il creatore di Dylan Dog. “Mi è stato riferito delle presunte minacce di querela di Alfredo Castelli [storico sceneggiatore e creatore di Martin Mystère]. Alfredo sosterrebbe che io mi sia ispirato al suo Tiziano Sclavi, è parzialmente vero, ma in realtà il punto di partenza è stato un disegno di Aldo Di Gennaro, sempre del giovane Sclavi”. Sono un po’ stupito da questa ultima scelta, mi chiedo quanto possa essere utile un singolo disegno come riferimento… ma il punto di Bacilieri non è questo. Quello che conta è la relazione quasi affettiva che un disegnatore instaura nei confronti del suo personaggio. “Deve diventare il tuo migliore amico”, mi dice, “come se fosse una persona che frequenti quotidianamente e che conosci bene, che puoi riprodurre sulla carta in qualsiasi momento. Fotografie e video aiutano nella fase iniziale del lavoro, però non sono sufficienti a creare questo grado di intimità, che invece è proprio determinato dalla quantità di tempo che passi disegnando quel personaggio: è come una persona vera che impari a conoscere un po’ alla volta. Più quel processo è automatico e più sei facilitato nel metterlo in scena”.

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La tavola di Venere privata in cui entra in scena il personaggio di Davide

 

“Questo Milano”

Quando sono a Milano e ho un po’ di tempo, a volte vado a pranzo con Paolo Bacilieri. Di solito mi porta in una trattoria in zona Navigli, vicina al suo studio. Magari mi consiglia una biblioteca, una via, una zona di Milano che ancora non conosco… e in effetti viene ormai quasi naturale associare Paolo Bacilieri a Milano. La Torre Velasca, inserita in molti suoi lavori, è diventata quasi un suo marchio di fabbrica. Si tende a dimenticare che Bacilieri non è milanese (è nato a Verona), talmente l’ha fatta sua. “Ho cominciato a disegnare sul serio Milano quando sono venuto a viverci”, racconta, “e direi anche non subito: mi ci è voluto un po’ di tempo per assorbirla. Il primo libro dove c’è veramente la Torre Velasca per come la intendo io è La magnifica desolazione (2007) e infatti è il primo libro che ho iniziato e pubblicato mentre già abitavo a Milano”. Poi sono seguiti Fun e More Fun (Coconino Press 2014/2016), Tramezzino (Canicola, 2018), “una storia d’amore all’ombra della Torre Velasca”, per usare la definizione data dall’editore (su “doppiozero” ne abbiamo parlato qui); e Ettore e Fernanda (Coconino Press, 2019), dedicato a due importanti direttore e direttrice della Pinacoteca di Brera.

Anche in Venere privata naturalmente Milano è protagonista: è la Milano degli anni ’60, che Bacilieri ricostruisce con cura certosina. Anche qui seguendo il testo originale: “È Scerbanenco stesso che descrive Milano con questa minuziosità quasi toponomastica”, spiega, “io non ho fatto altro che visualizzare questi posti molto ben caratterizzati nel romanzo”. Poi Paolo mi cita un brano da I promessi sposi. Cosa c’entra Manzoni con Scerbanenco? “La Milano di Scerbanenco è secondo me una Milano raccontata con un certo rancore. È ‘questo Milano’. C’è un bellissimo passo in I promessi sposi, in cui Renzo torna a Milano e incontra un tizio che lo tratta malissimo, lo tiene lontano con un bastone, pensando che sia un untore, e Renzo ha una reazione… ‘mi va sempre male quando vengo in questo Milano’, al maschile”. Il brano è questo:

La principia male, — pensava però: — par che ci sia un pianeta per me, in questo Milano. Per entrare, tutto mi va a seconda; e poi, quando ci son dentro, trovo i dispiaceri lì apparecchiati.

"E ‘questo Milano’ è anche la Milano di Scerbanenco”, continua Bacilieri, “lui la ama in modo viscerale ma non c’è un rapporto pacificato. La Milano di allora doveva essere bellissima e in qualche modo pericolosa… è assolutamente coeva a quella di Luciano Bianciardi, anche lui un prodotto di ‘questo Milano’, dello stesso posto e dello stesso tempo”.

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La copertina disegnata da Paolo Bacilieri per Materia Degenere 3 (Diabolo Edizioni, 2023).

Milano è anche la città dove sono ambientate le storie dell’antologia Materia degenere dedicata a Paolo Bacilieri. Le cinque autrici – Giulia Ratti, Margherita Morotti, Claudia Bumbica, Giorgia Rachel Donnan, Maria Giulia Chistolini – hanno lavorato sul suo immaginario e in particolare sulla città d’adozione del fumettista. “Il vero factotum è l’editor Matteo Contin, che ha assemblato queste ragazze e le ha sguinzagliate sulle mie tracce”. Le autrici hanno attinto ai personaggi o ai temi trattati da Bacilieri nei suoi lavori – ad esempio i cruciverba di Fun (Coconino Press, 2020), come nella storia Giusto X di Claudia Bumbica – e a volte a particolari elementi stilistici, come i baloon con frecce così caratteristici delle tavole di Paolo: Margarita Morotti li ha ripresi e portati all’esasperazione nella storia Ciao.Vado. Ettore. “Mi piace il fatto che non ci sia nessun tipo di reverenza, cosa che mi avrebbe messo in imbarazzo, ma piuttosto un’ipercreatività virulenta declinata nei modi più diversi”. Mi torna in mente l’idea di Paolo come fratello maggiore, sempre in chiave fumettistica, naturalmente: e fratello è molto meglio di padre, termine che porta sempre con sé il rischio di una precoce “imbalsamazione” – e chissà, forse è proprio per sfuggire a questo rischio che i lavori di Bacilieri continuano a essere così diversi l’uno dall’altro, e quindi a essere così vivi. Alla fine mi dice: “Mi trovo ancora molto bene dall’altro lato della barricata, ad essere io quello che insegue e non quello che viene inseguito”.

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