Qui niente da vedere...

8 Luglio 2013

Qualcuno entrando nella sede di Milano dell’Istituto Svizzero in questi giorni e aspettandosi di vedere una normale mostra avrà reagito dicendo “Nothing to see here…”, trovandosi di fronte a un muro bianco con un caotico collage di immagini apparentemente senza senso da un lato, due schermi con video strampalati che girano in loop dall’altro e in mezzo niente da vedere, appunto.

 

Qualcun altro invece davanti allo stesso muro riconosce le immagini, le trova familiari, le ha già viste centinaia di volte ed è stupito di incontrarle fuori dal loro contesto naturale che è la rete, tra blog, youtube, social network, tumblr. E così ride davanti al “restauro più brutto del mondo” opera della signora Cecilia Gimenez, alle infinite varianti della Gioconda e dell’urlo di Munch, ai lol cats e inviti a “keep calm”, Jim Carrey nei panni di Willy Wonka, Yoda di Guerre Stellari e persone sdraiate a fare planking.

 



In effetti, “Nothing to see here…”, curata da Valentina Tanni e Domenico Quaranta e organizzata in collaborazione al Link Center for the Arts of the Information Age, è molto di più che una mostra, è un’articolata riflessione in due parti che ci catapulta nella “cultura visiva al tempo di Internet” come recita il sottotitolo, ed è un’importante tappa sia per chi si immerge per la prima volta in questo magma di immagini e citazioni e vuole capirci qualcosa, sia per chi naviga abitualmente nelle periferie della rete e di quel magma ne è parte.

 

 

Il percorso è iniziato il 30 maggio, con la presentazione del Wall con oltre un migliaio di immagini provenienti dal web, che presenta memes, immagini virali, tormentoni tipici della cultura sviluppatasi in Internet, in un caos disordinato come la rete, con un grande collage allestito da Canedicoda e due selezioni di video: “Don’t watch if you dislike”, con video amatoriali selezionati da Valentina Tanni in Youtube e “Compiler 04”,  curata da Raffael Dörig che specularmente presenta un gruppo di giovani artisti internazionali che utilizzano materiali trovati nella rete stessa.

 

 

La seconda parte della riflessione si è svolta il 18 giugno, quando lo spazio si è popolato delle opere di Enrico Boccioletti e Adam Cruces, e un talk sui temi del progetto con Valentina Tanni, Domenico Quaranta e Raffael Dörig ha dato la chiave di lettura dell'operazione.

 

Valentina Tanni ha evidenziato come l’intero universo delle immagini sta cambiando, conseguenza diretta della diffusione dei personal computer e dell’accesso di massa ai tools per la creazione e manipolazione di immagini, suoni e video.  I confini tra spettatore e produttore e tra amatore e professionista si sono sfumati e la rete ha massimizzato la possibilità di distribuzione dei contenuti prodotti dando loro grande visibilità. I nuovi amatori si sono trovati, in parte inconsapevolmente e come conseguenza delle dinamiche stesse del digitale, immersi nei linguaggi del remix, dell’appropriazione, del détournement, e alcune pratiche che erano delle avanguardie si sono contaminate con la cultura pop e vernacolare della rete.
Dal rumore di fondo si staccano a volte delle immagini, che diventano popolari per motivi che in buona parte ancora sfuggono, si affermano e circolano in modo autonomo e contagiano l’immaginario di milioni di persone, che a loro volta ne creano varianti e diventano veicolo di distribuzione. In questo flusso ininterrotto si collocano anche gli artisti che devono rinegoziare continuamente il loro ruolo, ha precisato Domenico Quaranta, e il loro rapporto non più unidirezionale nello scambio tra produzioni di professionisti e amatori. Anche Maurizio Cattelan ha attinto a questo patrimonio per alcune sue opere e sul Wall ce ne sono le prove.
“Nothing to see here” offre una panoramica su un movimento sviluppatosi fuori dai circuiti istituzionali, in luoghi della rete dove è più forte il flusso di circolazione di immagini e idee, dove nascono e si diffondono i memes, dove va formandosi una nuova cultura autoctona fuori da quel mainstream che tende a riportare il fenomeno internet su binari prevedibili.

 

 

Oggi sono molti gli artisti che partono dal materiale grezzo fornito dalla rete per generare le loro opere. Tra loro Enrico Boccioletti (1984) e Adam Cruces (1985), che in questa occasione presentano una serie di lavori recenti che si confrontano con l’immaginario e le pratiche della produzione amatoriale in rete. Il concetto chiave è quello di default, che si riflette nelle opere in mostra, cioè la scelta di procedure produttive elementari e standard che utilizzano gli strumenti a disposizione di tutti per rielaborare materiali comuni trovati nella rete e nella produzione di massa.

 

 

La scultura di Adam Cruces con i cestini per la carta dell’Ikea sovrapposti gioca a rifare Brancusi, e i suoi calchi in plastica bianchi e neri di oggetti comuni diventano essi stessi oggetti ridotti al minimo, di default potremmo dire.
Le fette di toast sulle quali Enrico Boccioletti disegna le faccine delle emoticons con il dentifricio al posto della maionese sono abbastanza non sense e facilmente replicabili da poter innescare fenomeni virali e infinite variazioni.  Sono già di tutti, dopo la prima volta che si sono viste, al punto che quasi sembra di averle già viste da qualche parte in rete. Le altre sue opere, provenienti da diverse serie che passano dalla rielaborazione di elementi dell’interfaccia grafica alle produzioni basate sull’uso improprio degli strumenti software, sono stampe incorniciate e appoggiate su dei supporti come si trattasse di tavoli; ben presto durante l’opening si sono realmente trasformate in oggetti d’uso e via via ricoperte di bottiglie di birra vuote.

 

 

Fotografati da Raffael Dörig questi pseudo tavolini sono stati postati in Facebook con il testo “Art Opening? Free Beer!” trasformandosi a loro volta in un meme inserito nel flusso circolare e infinito di riutilizzo che non fa che confermare la tesi dell’intero progetto.

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