Radicati nel bene

15 Ottobre 2024

Si può dare, pensare e proporre una visione del mondo che non sia solo intellettuale ma anche pratica ed esistenziale? È una domanda che ha una sua tradizione e che negli ultimi due secoli ha occupato filosofi e storici. Wilhelm Dilthey, nel saggio del 1911 su I tipi di intuizione del mondo, afferma: “Le intuizioni del mondo non sono prodotti del pensiero; esse non nascono dalla mera volontà di conoscenza. L’apprendimento della realtà è certo un momento importante, ma è soltanto un momento. Esse scaturiscono dall’atteggiamento di vita, dall’esperienza della vita, dalla struttura della nostra totalità psichica”.

È muovendo da qui che In principio. Una Weltanschauung psicoanalitica (Alpes, 2024), Massimo Diana si spinge oltre ciò che affermava Jung: “Se la psicologia analitica non è propriamente una Weltanschauung, è tuttavia qualcosa di significativo per produrne una” (Psicologia analitica e visione del mondo, in O.C.G.J., vol.8, pag. 408). Per tornare agli inizi: quelli della nostra vita individuale e quelli della specie umana. 

Perché, In principio, non c’era il male. In principio c’era una insopprimibile tensione all’esistenza, un conatus essendi di spinoziana memoria, che se non sorretto da una holding efficace può far deviare il desiderio di vivere verso posizioni non autentiche, dando origine in questo modo a una torsione che spiega meglio di qualunque altra teodicea l’origine e la sussistenza del male – nella convinzione che la distruttività e autodistruttività umana siano reattive e non innate.

Già nel suo precedente Unde Malum? L’enigma della distruttività umana (Mimesis, 2022), l’autore si era occupato del tema valutando l’impatto che l’erosione delle tradizioni ha prodotto sulla collettività, ritenendo a buon motivo che la ritualità, in ogni sua forma, religiosa, mitologica, spirituale tout court, abbia sempre svolto sociologicamente e storicamente il ruolo – importantissimo – di contenitore delle angosce.

In questo nuovo testo, compare qualcosa in più, qualcosa che ha a che fare direttamente con chi si occupa e preoccupa di curare l’altro, dopo aver curato se stesso: una Weltanschauung psicoanalitica.

Parliamo di 170 pagine che scorrono limpide su territori inquinati, ovvero su molti faux problèmes superabili grazie alle conoscenze psicoanalitiche – in particolar modo Diana si riferisce a Donald Winnicott e ai suoi studi fondamentali e dirimenti sullo sviluppo emotivo del cucciolo d’uomo – e a quelle antropologiche.

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Perché se il male è un problema che riguarda l’individuo, a maggior ragione non può non riguardare l’intero gruppo umano. Già Freud aveva intuìto che l’ontogenesi può essere considerata come una ripetizione della filogenesi (inPrefazione” alla terza edizione di Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), in O.F.S., vol. 4, p. 448 ) e Jung a sua volta, in Ricordi, sogni, riflessioni, espresse la convinzione che la coscienza fosse in ultima istanza una formazione secondaria: “La coscienza cominciò la sua evoluzione da una condizione simile a quella animale, che per noi è inconscia, e lo stesso processo di differenziazione si ripete in ogni bambino.

Emerge la visione di una “analisi in due movimenti”: il primo si radica nell’ontogenesi, il secondo nella filogenesi. Essi danno luogo a una oscillazione continua – simile alla diastole e alla sistole del battito cardiaco – che si propone da un lato di “liberare la libertà” da tutti i condizionamenti che impediscono a un individuo di mettersi in cammino per la propria avventura e di incarnarsi nella realtà; dall’altro lato di sostenerlo nella ricerca del senso o della direzione verso cui orientare le “ali del desiderio” (p. VII dell’Introduzione).

Questa la tesi che Massimo Diana offre al lettore e alla lettrice del suo ultimo libro, una tesi che scaturisce da una vasta conoscenza sia psicoanalitica sia spirituale e pure religiosa in senso stretto. Massimo Diana è capace di far dialogare i testi sacri di varie tradizioni spirituali e di renderli fruibili in chiave simbolica, così da far cadere sterili contrapposizioni e tendenze all’irrigidimento. Diverse citazioni dei testi sacri appaiono e sono messe in relazione alle questioni psicoanalitiche con una mirabile semplicità, cui si può giungere solo se i contenuti sono stati lentamente digeriti, ruminati oserei dire.

Porrei attenzione, dunque, per restare sul piano delle immagini, alla metafora fondamentale di In principio. Una Weltanschauung psicoanalitica che è quella del movimento del cuore: un ritmo che è insieme fisiologico e simbolico, almeno nella visione ampia dell’autore, e che dal trauma infantile individuale al trauma archetipico della perdita del paradiso, dall’ontogenesi alla filogenesi può essere riparato grazie al sapere psicoanalitico, antropologico e spirituale. Questo sapere complesso ci ha insegnato che all’origine, in principio, l’emergere della coscienza e la trasformazione delle emozioni negative in pensiero poggiano sul minus della frustrazione, sulla limitatezza intrinseca, e sulla capacità squisitamente umana di accettare questa privazione.

Così, passaggi intrinsecamente traumatici – sia per l’individuo sia per il gruppo umano – possono riconquistare una funzione evolutivamente costruttiva, e la cura psicoanalitica diviene snodo indispensabile per riappropriarsi di una vita autentica attraverso il doppio movimento diastolico e sistolico, in cerca di orientamento (individuale, sì, ma sostenuto da una mitologia personalissima) e significato. 

E perché non rivolgersi semplicemente alle tradizioni spirituali? Massimo Diana fornisce una risposta molto convincente: “Più radicalmente ancora, questo passaggio (la de-istituzionalizzazione del religioso) consentirebbe di superare il pericolo del cosiddetto Spiritual Bypassing, ovvero della ‘scorciatoia della spiritualità’ per evitare, con una battuta, di andare dallo psicoanalista. Il bypass spirituale consiste infatti nell’utilizzare, fino ad aggrapparvisi, idee e pratiche spirituali per evitare di affrontare problemi emotivi e ferite psicologiche irrisolte. Il bypass spirituale permette infatti lo sviluppo dell’illusoria convinzione che, eseguendo determinate pratiche oppure affidandosi a sedicenti guru o maestri spirituali, sia possibile superare le problematiche emotive che ci tormentano, senza doverle apertamente affrontare in una psicoterapia” (p. 59).

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In omaggio alla professione di analista biografico ad orientamento filosofico, che si impernia sul mettere al centro non le proprie teorie, ma la propria vita, ho apprezzato moltissimo una nota che riporto integralmente: “Confesso che questa esperienza l’ho vissuta (e continuo a viverla anche ora, seppur in modo diverso) fin da quando ero bambino. La preghiera era per me un rifugio compensativo rispetto alla realtà di genitori non proprio capaci di sintonizzazione sui miei bisogni di bambino. Ma solo pochi anni fa ho compreso realmente tutto il valore di questa esperienza. Avevo da poco iniziato la mia terza analisi, con Mauro Manica. Sdraiato sul lettino, avevo iniziato a parlare quando, improvvisamente, mi accorsi che il mio analista, alle mie spalle, si era addormentato. Smisi di parlare e rimasi in silenzio, aspettando che si svegliasse. Quando si svegliò, venti minuti dopo, non osai dire nulla di quello che era accaduto, tanto rimasi male. Trovai il coraggio e la forza di raccontare quell’episodio solo un paio di anni dopo, verso la fine del percorso analitico. Ma ora, quando ci ripenso, provo una profonda commozione: ora ho capito cosa vuol dire essere ‘come un bimbo svezzato in braccio a sua madre’, a una madre che, stanca, si abbandona al sonno, accanto al suo piccolo. L’esperienza spirituale si è verificata, incarnata, è ora divenuta realtà” (p. 58).

La trasformazione del negativo è un’operazione complessa che nell’ottica dell’autore non si potrebbe svolgere se in principio non esistesse un’originaria tendenza alla vita, su questa linea Diana si confronta con il testo La legge della parola di Massimo Recalcati 

Nell’ultimo capitolo, infine, parlando di eredità emotive, coazioni a ripetere ed esperienza in stanza di analisi, sia come analizzante sia come analista, Diana ci offre la metafora del movimento del cuore, dove il punto centrale del battito diastolico è trascendere ogni possibile interpretazione per giungere al contenimento che permette di digerire le esperienze emotive, e il punto centrale del movimento sistolico è il bisogno di senso da ricercare in modo del tutto personale per riuscire a sopportare la sofferenza che la vita ci consegna inevitabilmente.

Citando Romano Màdera: “La psicologia, senza trascendenza spirituale, non esce dal labirinto autoreferenziale, e perciò nevrotico; la spiritualità, senza interiorità psicologica, non esce dal suo mitologismo” (in La carta del senso. Psicologia del profondo e vita filosofica, Raffaello Cortina, p. 293).

La gratitudine che l’autore esprime nei confronti dei suoi ultimi due percorsi di analisi e nei confronti dei relativi analisti, arricchita da un elenco dettagliato degli insegnamenti ricevuti, trasmette a chi legge un’impressione soave e profonda: quella di trovarsi al cospetto di un esercizio autentico, filosofico, di accoglimento e rielaborazione dell’esperienza in senso trasformativo e costruttivo. Non poco, anzi molto e più che sufficiente per consentirgli di parlare mitobiograficamente di una nuova visione del mondo.

In copertina, opera di Gino De Dominicis.

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