Speciale
Scarabocchi: Sole e gibigianne
La stella che genera l’energia che arriva sulla Terra attivando i moti grandiosi dell’atmosfera e la vita sul pianeta, è lo stesso sole riverito dai bambini con garbo e stupore nelle rappresentazioni figurali della prima infanzia. Viene effigiato con naso, bocca, occhi, capelli, saturo di sostanza animistica, secondo i modi propri del processo mentale infantile, che vuole ogni cosa parlante.
Il tondo del sole, da cui partono per rappresentarlo disegnando, è statico, bonario, ridente, a volte colorissimo, a volte pallido e scarmigliato. È il compagno spesso di una piccola casa con accanto l’alberello, gli uccelletti e i fiorellini. Qualche volta quel tondo scarabocchiato che riflette emozione segrete, lo impiastrano di intonaco di borotalco, ne spalmano le labbra di ketchup, ne tatuano le guance con pennarelli multicolori come la tavolozza di Paul Klee. Quel tondo è la pista dove saltano e fanno capriole i Pulcinella di casa, dove cresce una ziggurat sulla piana riarsa di un parcheggio condominiale o una torre inclinata che proietta l’ombra imbronciata di una metafisica ora del giorno.
Il tondo del sole è un “coso” tra le cose di un intorno, il piccolo universo da dove partono i raggi filanti che vanno per ogni dove ad illuminare i segreti biancori del foglio. Bruno Munari, nel libro “Disegnare il sole”, raccoglie alcuni suoi disegni del sole fatti per i bambini, insieme a litografie, quadri, disegni e affreschi d'artista, in una panoramica che vuole raccontare cos'è il sole, negli infiniti modi in cui può essere visto e interpretato. “Il tramonto e l'alba sono il davanti e il dietro dello stesso fenomeno: mentre noi che stiamo di qua guardiamo il tramonto, quelli che stanno di là vedono l'alba.”
I bambini, “i robivecchi dell’umanità”, come afferma il filosofo, da sempre giocano con gli scarti delle attività degli adulti per trasformarli in giocattolo. Con frammenti di specchio giocano con il sole, quando capita, per catturarne i raggi, farli viaggiare riflessi in cerca di avventure, ispirati dai bagliori di luce dupplicata da piccole o grandi superfici riflettenti: uno specchio d’acqua, una vetrina, la carrozzeria di una macchina. Questo gioco meraviglioso ha il nome di gibigianna.
Frequento la famiglia di Dulco, un bambino di 7 anni. Affacciato alla finestra del secondo piano della sua casa, direziona bagliori di luce solare all’interno della bottega di Walter, un artigiano cartellonista, di là dalla strada. Dulco tiene in mano un vecchio specchietto macchiato di muffe rugginose trovato in un ripostiglio; riflette raggi di sole tracciando bagliori sul muro della bottega, giochi del lampeggiare senza costrutto, ordine funzionale o struttura. Un puro scarabocchiare di lampi senza possibilità di lasciare traccia. Seguitando, ha provato ad insinuare lampi irriverenti fin dentro il bancone di lavoro dell’artigiano, trapassando la vetrata della bottega per indicare, trafiggere, scontornare oggetti, introdursi di soppiatto in angoli nascosti. Ma quando passa una bambina per strada sotto la sua finestra, ha direzionato un raggio sul suo viso e occhi, come a incrociare lo sguardo e ammiccare per procura, per negozio giuridico unilaterale, conferendo ad altro di rappresentarlo.
La voce gibigianna, è registrata dalla lessicografia italiana col valore di “lampo di luce riflessa su una superficie, ecc.” e con quella scherzosa di “donna che sfoggia un'eleganza vistosa”.
Il Porta, poeta dalla vitalità gagliarda e comunicativa, ne dà una bella definizione: ‘'e per fare addosso ai gonzi la gibigianna con quel topazio al dito, largo una spanna'’. Registrata per la prima volta nel Vocabolario milanese-italiano, Francesco Cherubini (1839-1856), così la definisce "Quel riverbero di sole che ordinariamente per giuoco si fa dare addosso altrui, mettendo rimpetto al sole uno specchio".
In senso lato, la gibigianna è un’esca di luce che abbaglia e porta ad abboccare, in quanto molla che spinge in una trappola. Accecare con fallaci gibigiane da parte del fellone di turno, sottintendendo di possedere una fiducia incondizionata nella personale astuzia e nella radicale sfiducia nell’intelligenza altrui.
Nella giungla mondo degli scambi istantanei, dove vige la legge dell’anonimato, gli scambi di lampi farlocchi sono quotidiani. Così che ogni mattina si alzano dal letto cinquanta furbi e cinquanta fessi, ma non tutte le mattine sono gli stessi acchiappati da una qualche gibigianna.
Alessandro Manzoni, la nomina misteriosamente come “onda impura” nelle Poesie giovanili:
"Del sole il puro raggio
rotto dall'onda impura,
sulle vetuste mura
gibigianando va".
Variano i nomi della gibigianna usati nella penisola italiana: palommella; lucciola; fulminello, lampalora, Illuminello, indovinello, fare specchietto, spirito folletto, la spera. In Veneto e in Emilia Romagna curiosamente è detta “vecchia” o “stregagianna” ( da Gianna, un altro nome della dea Diana?), che rafforza l’ipotesi etimologica di un nesso con figure del mito, con fiabe di streghe e fate dal nome accattivante.
Come tutti i giocattoli effimeri, che si fanno quando i bambini si avventurano per il mondo liberi dai condizionamenti e in autonomia, occasionalmente capita tra le loro mani, ché oggi ben altri oggetti offre l’industria dello spasso.
Sole e gibigianne
Laboratorio per bambine e bambini 6-11 anni con Roberto Papetti e Stefano Tedioli
sabato 14 settembre 2024 | ore 11:00
Sottoportico dell'Arengo, via F.lli Rosselli 20, Novara
Leggi qui il programma di Scarabocchi 2024 (Novara 13-15 settembre)