Silvana Gandolfi. Giochi pericolosi

6 Giugno 2015

Sul potere ambiguo e sulla sottile seduzione che esercitano i romanzi sulle lettrici sì è scritto tanto a cominciare da Flaubert per finire nel saggio di Francesca Serra Le brave ragazze non leggono romanzi (Bollati Boringhieri 2001), dove la carrellata dei classici dell’Ottocento è analizzata attraverso la lente delle ripercussioni morali che la loro lettura compulsiva ha causato nelle schiere delle ingenue lettrici. Il romanzo di Silvana Gandolfi (I più deserti luoghi, Ponte alle Grazie, Milano 2015), in modo del tutto imprevisto e imprevedibile, modula questo tema sempre assai discusso e ricchissimo di implicazioni sociologiche, antropologiche e di genere. Da grande raccontatrice di storie per ragazzi, qui si cimenta con il romanzo “tout court”, imbastendo una vicenda dolente che via via acquista l’orrore del noir, proprio per cercare di capire quanto la lettura in una condizione di isolamento emotivo possa produrre mondi non sempre così abitabili.
 

Olga è una donna estremamente solitaria che è stata costretta ad abbandonare ogni possibilità di costruirsi una vita indipendente perché ha sempre dovuto badare al fratello. Leandro infatti ha gravissimi handicap derivati da un lungo coma, seguito da un risveglio che lo ha lasciato cieco, privo di funzionalità e totalmente dipendente dalla sorella. La madre muore a causa di una depressione dalla quale non riesce ad uscire e il padre li abbandona nella vecchia casa per una nuova donna. Olga sembra non lamentarsi del suo ménage con il fratello, una vita priva di qualsiasi relazione con l’esterno, accanto a una sorta di “mostro” che prima di parlare emette un sinistro grugnito. Sembra dunque accettare il suo destino e ogni mattina non dimentica di profumarsi con una colonia alla violetta. Ma, in verità, i due fratelli hanno messo in piedi da sempre, a iniziare dal coma, un Gioco a due che prevede, grazie allo straordinario talento di Leandro, di ricostruire le atmosfere, i colori, persino il clima dei grandi romanzi che Olga ha letto al fratello. E ci sono tutti, Anna Karenina, I Demoni, Passaggio in India, Il mago di Oz e tanti altri ancora nei quali i due entrano, attraverso la grande Camera Gialla (e qui come non pensare a Gaston Leroux e ai suoi misteri?) come se passeggiassero per quei palazzi, quei castelli, quei boschi, quelle grotte asfittiche.

 

A Leandro però il gioco costa fatica ma Olga gli impedisce di smettere perché le fughe letterarie sono il suo unico piacere, la sua morbosa, pericolosissima possibilità di vivere un’altra vita. Queste sono le informazioni che il lettore raccoglie dal diario di Olga che all’inizio la donna decide di tenere per darsi una regola, per trovare un luogo dove la cronaca dei suoi giorni possa avere un valore di pausa. E questo è quello che crede il lettore, anche quando il gioco assume i connotati di un rapimento e poi di un doppio crimine.

 

Questo è, in fondo, l’alibi di Olga che solo alla fine scopriamo essere molto diversa da come lei si descrive. Ogni rapporto prende una piega inaspettata e assai più dolorosa che qui non riveleremo, naturalmente. Ciò che davvero conta, è lo sguardo esperto e fuori dal canone di Silvana Gandolfi. Una scrittrice che ha il coraggio di mettere in scena un dramma e di farlo svoltare in una profonda fascinazione, tutta autistica, per la lettura. Lettura che non solo non apre a nuovi mondi ma che succhia le energie dei suoi adepti, al punto da farli entrare in una rete di follia. Lettura come scelta obbligata quando ciò che la vita offre ti è negato. Lettura come scelta assoluta e folle che ribalta le teorie di Henry James. Anzi, James quasi verrebbe da citarlo per il suo Giro di vite dove tutto è frutto, forse, dell’immaginazione o forse no. La scrittura assai scorrevole è anche molto attenta a non cadere mai nelle trappole dell’io, anzi il distacco che Olga riesce a prendere dai fatti narrati è direttamente proporzionale all’inquietudine che assale il lettore a un certo punto del romanzo, quando vira in un registro macabro.

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