Su Visti&Scritti di Ferdinando Scianna
Chi si confronta con l’atto del ritrarre o dell’essere ritratto è assalito da dilemmi, suggestioni e esitazioni che coinvolgono alcuni dei temi fondamentali del nostro esistere: io-l’altro-identità-somiglianza-sguardo-presenza-ricordo-tempo-spazio-luce-vissuto e così via (quasi fino all’infinito). Allo scopo, forse, di fare che il soggetto-oggetto ri-Tratto (lei, lui, loro) torni a sé, ricompaia in sé, e possa toccare con mano la propria realtà, la propria verità. Perché (dicono) nel ritrarre si trova (forse) l’essenza più remota, misteriosa e meno conosciuta dell’arte. Il ritratto, da sempre dipinto, immaginato e scritto è divenuto da meno di due secoli terreno fertile anche della fotografia e, da poco, dei nuovi media. Per avere sempre presente l’Altro, anche se di un autoritratto si tratta. Sembrerebbe fatto, il ritratto, allo scopo di eternizzare un istante.
Di fronte all’immagine ri-Prodotta, la domanda scatta da sé (come un click): premere l’otturatore di un apparecchio, fotografare il soggetto, riprodurre l’oggetto (lui, lei, loro) è davvero ri-Trarlo? Chiunque faccia click con la macchina, la cinepresa, la video camera e, da poco, con l’iPhone, ri-trae. Cioè, fa ritratti. E, così facendo, diventa prima ritrattista e poi artista. Quindi, se riprodurre-raffigurare-rappresentare-doppiare un soggetto su un foglio di carta o in un video fosse davvero fare un ritratto, il mezzo busto del telegiornale che trasmettono a Melbourne e che vedo a casa sarebbe un ritratto.
Meglio ancora: il servizio di questa sera sulla Palestina martoriata da Israele e dalla brutale pax statunitense, sarebbe un ritratto dell’orrore. Cosa dire allora dell’immagine dell’ormai improponibile performer che a Palazzo Reale si introietta nella propria angoscia di un auto-video a circuito chiuso. Chiuso in sé stesso, sarebbe un autoritratto? Se così fosse, le immagini da copertina di politici corrotti, comici e mafiosi, reginette e pornostar, sarebbero, anch’esse, ritratti.
Tra Innocenzo V, ritratto da Velázquez, e Mao Tse Tung, serigrafato da Warhol, non c’è differenza alcuna (sia chiaro che resto con Velázquez e non con il gringo contraffatto). E tra lo stesso Papa, ricreato da Bacon e la foto che ho scattato ieri a mia figlia Costanza non c’è nemmeno scarto, perché… fa niente: Velázquez, Warhol, Bacon ed Io, abbiamo ri-tratto. E se dico che è arte, lo è, e lo si deve accettare: Duchamp inventore del ‘ready made’ dixit. Ma se è vero quel che dicono, che solo gli artisti sono in grado di eseguire ritratti (e, così via, quasi fino all’infinito), questi sono i quesiti, le suggestioni, i dilemmi, di chi prova ad addentrarsi nell’universo dell’arte e del ritratto.
Come poter leggere e vedere, quindi, Visti&Scritti, l’ultimo degli oltre quaranta libri di Ferdinando Scianna che raccoglie immagini da lui scattate e scritte tra il 1964 e il 2014. Difficile dirlo, se lui stesso, che è da tempo riconosciuto come Maestro&Fotografo, va in giro per il mondo da vero siciliano – ma soprattutto come uno di Bagheria – con il verbo scintillante e lo sguardo all’erta, polemizzando, argomentando e urlando a squarciagola che la fotografia non è Arte.
Che la fotografia, ribadisce sempre Ferdinando, ha soltanto un valore testimoniale e di registro per la memoria. E, vi assicuro, diventa incandescente – garbato ed elegante quale vero cavaliere del Sud dell’Italia e del Mondo – quando sbraita a Tokyo o a Madrid, a Buenos Aires o a New York, che è ora che i fotografi la smettano di raccontarsi favolette e assumano il loro lavoro come abilità e fatica d’artigiani. Senza sofisticazioni, insiste il Maestro, rifiutando di credere che con una macchina in mano il Foto (dal greco, luce) Grafo (dal greco, disegno) abbia ricevuto dagli dèi poteri taumaturgici sui mortali che FotoGrafa e non sarà mai un deicida, come blatera da una vita il gallego Vargas Llosa.
Da quando, grazie al poeta messicano Federico Campbell, nel 1976 ho iniziato a vedere e leggere immagini e segni di Ferdinando, nelle pagine dell’Europeo, ero certo di poterlo ri-conoscere solo al di fuori delle categorie tradizionali della fotografia e dell’arte di regime in Occidente. Lo incontrai nel 1988, all’inaugurazione di Kami, suo furente, incazzato, commovente ritratto, non della divinità scintoista, ma di un’etnia depredata, senza voce e marginale che a malapena respira, asserragliata nelle miniere sulle cime della cordigliera boliviana.
Fu nella galleria Il Diaframma di Lanfranco Colombo. Subito iniziai, con ammirazione, a chiamarlo Maestro, e a vederlo ogni tanto a casa sua in via Castelfidardo insieme a Paola e alla piccola Eleonora; nella stamperia di un altro maestro, Franco Sciardelli, insieme a Claude Ambroise e ad alcuni degli ‘sciasciani’; infine, nel suo studio di via Giannone. Le bellissime Marpessa e Inés Sastre erano già, grazie a lui, icone nel mio immaginario e capii l’ineluttabilità di doverlo leggere e vedere ricorrendo a un pensiero antico quanto l’uomo, che sono certo lui ami quanto me: “senza vedere non si scrive”. Né senza interiorizzare il vissuto, aggiungo io.
Visti&Scritti è un testo redatto con figure e lemmi che Ferdinando fa convergere in un magma indistinguibile. Tuttavia, stando ai suoi insegnamenti, per evitare tautologie, sillogismi e altre trappole pseudo scientifiche (“plata en mano, culo en tierra”, imparò a dire sulle mie cuspidi colombiane), mi piace rispolverare quell’antico e valido sintagma, Ut Pictura Poësis, rinnovato nei dipinti dal poeta Sun Tung-P’o (Su Shih) nella Pechino Imperiale del 1085 e, a sua volta, poetato dal pittore Leonardo da Vinci nella Milano Ducale del 1485: “La Pittura è una Poesia muta e la Poesia è una Pittura cieca”.
Solo adottando questo codice, senza preclusioni, esitazioni e dilemmi di sorta si può (forse) scoprire la bellezza di questo piccolo grande libro, di questa sfolgorante testimonianza che Ferdinando oggi elargisce a tutti noi, vivamente e riccamente cesellata. Visti&Scritti altro non è che il suo Diario di Bordo di Gabbiere errante, di ladro d’anime qual è da mezzo secolo, da quando va giro per il mondo con i suoi strumenti da fotografo, ri-Traendo tutto e tutti. Con le sue mani, quelle stesse mani consumate ma decise dei minatori, contadini e pescatori che carpisce.
Una digressione: “Alle spalle di ogni bravo narratore c’è sempre un grande poeta” era solito dire García Márquez. Pensando il libro di Ferdinando intravedo il grande narratore dietro al bravo fotografo, un racconto da guardare e leggere dietro a ciascun ritratto di Visti&Scritti. I quali, letti uno di seguito all’altro, danno forma al Romanzo di Ferdinando Scianna. L’intuizione è confermata non solo dalla storia basilare e dalle elissi che congiungono i suoi elementi, ma anche dall’abbondante presenza di narratori della levatura di Borges, Kundera,Vásquez Montalbán, Follet e Kusniewicz.
Visti&Scritti esce da se stesso. Perché non è solo il libro di chi ha visto (e vede) ma lo è anche di chi ha pensato (e pensa). E, di conseguenza, scrive. La fotografia testimoniale di Ferdinando è un romanzo (una graphic novel, in pieno regime di inCultura postColoniale) segnato da graffi e bruniture; solcato da suoni e sapori; intriso di colori e aromi; sparso di ritmi e melodie. Ed è unico nel suo genere. Ci sono migliaia di Atlanti, Carnet, Diari illustrati, Diari di esplorazioni, è vero. Il mondo è pieno di Taccuini d’artista, zeppi di ricordi, chine e pensieri fugaci. Unici sono la Divina Commedia di Sandro Botticelli (1490); i Piccoli viaggi e i Grandi viaggi di Theodor Bry (1590); i cinque giganteschi volumi del Kosmos (1827-1862) di Alexander von Humboldt e Description de l'Égypte (1809-1829) che vide Gaspard Monge a capo di oltre 160 scienziati, 2000 artisti e tecnici francesi (di cui 400 incisori) impegnati a raffigurare le campagne napoleoniche nel Mashrak. In tutte queste opere, monumentali c’è, però, una netta dualità e una chiara distinzione tra colui che vede e colui che scrive.
Di imprese come Visti&Scritti conosco solo un precedente, realizzato da un unico autore: quello dell’inca Guamán Poma de Ayala, cronista plurilingue (disegnatore, ritrattista e scrittore, ispano, quechua, aymara, muisca e nahúatl parlante) che ha attraversato interamente a piedi il continente americano. Come Ferdinando (disegnatore, ritrattista e scrittore, anglo, italo, franco, ispano e siculo parlante) che ha girato, in Boeing e fuori strada, i cinque continenti. Lo testimoniano, senza la presunzione di auto-proclamarsi artisti, l’amerindio e il suo inimitabile codex del XVI secolo – conservato nella Royal Library di Copenhagen – e il siciliano con questo singolare Visti&Scritti.
Ferdinando e Poma de Ayala, non si sono improvvisati ritrattisti né hanno mai rivendicato o sognato di esserlo. Ma è esemplare l’attenzione di entrambi per la specie umana e le sue geografie senza tempo. Prima di pubblicare questo libro, gli amici hanno visto Ferdinando dubitare, sorprendersi ed emozionarsi. E soffrire. Prima di avventurarsi a immaginare questi ritratti, per cinquant’anni Ferdinando si è dedicato a imitare (o fissare o registrare sulla pellicola) attimi di vita vissuta dei suoi interlocutori d’eccezione o di fortuna. Intanto, visitava e rivisitava l’arte di tutti i tempi in libri, cataloghi, musei e collezioni in giro per il mondo. E ri-guardando e ri-leggendo i 335 ritratti di Visti&Scritti, non c’è Raffaello, Rembrandt o Tiziano, Van Gogh, Matisse o Bacon da cui Ferdinando non abbia appreso a illuminare, disegnare e ritrarre sul bromuro e sulla carta. E lo ha fatto, proprio per annientare la banalità degli scatti che io ho fatto ieri a mia figlia, o voi avete fatto oggi ai vostri amori. Per potersi impossessare, Ferdinando, non vi è dubbio, di un sapere che solo i veri poeti forgiano.
Il resto è da specialisti: tonalità e atmosfere, scale e gradazioni, tagli e angolazioni, asa e iso, ortocromatica o tri-x, ieraticità e tenerezza (e così via, quasi fino all’infinito) consentono al mancato filosofo di Bagheria di raccontare, raccontarsi e raccontarci, mettendo a fuoco personaggi che da sempre cerca(va)no autore. Non costrutti per la finzione ma persone in carne e ossa. Tutti nudi, senza indugi né artificio, s-velati, s-coperti, ri-tratti.
Tutti nudi di fronte al grandangolo che spoglia e riveste, adombra e illumina, pronuncia e riscrive: da Pantalone a Colombina, dalla puttana alla modella, dall’inferno al paradiso. In un affresco d’umanità intrisa di arroganza e umiltà, austerità e dolcezza, raccontato con il piglio e il sapere di un virtuoso operaio dell’immagine e, nel contempo, abile carpentiere del verbo. Da Scianna: attore di natura sanguigna, curiosità nomade e saggezza sobria. A Ferdinando: interprete della sensibilità, della solidarietà e della bellezza.
Ritratti Visti&Scritti è il romanzo di un cosmopolita appagato dalle metropoli, assettato di luce, affamato di ludus. È la storia autentica di un siculo senza Sicilia, di un italiano senza Italia, di un europeo senza Europa. È la cronaca verace di un attivista dell’amore, consapevole del principio che lì dove finisce l’estetica inizia l’etica, in una spirale senza fine. Scianna, come Antonello, Goya, Cartier-Bresson, Sciascia e altri suoi maestri, è sempre intento, con disciplina e sapienza, a ri-trarre con dedizione il mondo reale.
Questo regno dell’uomo, impervio e mirifico quanto rigoglioso e violento, Ferdinando lo tratteggia, sgraffignando lampi di vita dall’alchimista di Praga al rom di Berlino; dal decaduto aristocratico di Boston al proletario senza rivoluzione di Calcutta; dal Nobel portoghese allo scienziato pachistano. Ciò legittima il colofone di Visti&Scritti: la breve cronaca che vede protagonista Edoardo Alliprandi, proletario fiero, uno dei custodi della memoria di Ferdinando Scianna di cui, senza bizzarria né paternalismo, dice: “Questo uomo mi ha insegnato molto. Ogni volta che i miei malanni e le mie stanchezze prendono il sopravvento penso a Edoardo, e questo mi aiuta a rimettere le cose nella giusta prospettiva”.
Anelito di fissare il tempo, non fosse che per un istante, più tutto ciò che un occhio stanco non registra è Visti&Scritti: ideogrammi incisi sulla carta, pregni di quesiti, esitazioni e dilemmi. Tale e quale vogliono filosofi e semiologi, pirati e poeti. Ritratti in sé e per sé che materializzano i sogni di Marta, regina di La Cueva, e i canti di Ximena, affabulatrice delle Indie. A ragion veduta Visti&Scritti sono ri-tratti alluminati da Ferdinando Scianna, siciliano di Milano, artefice dello stilema, scalpellino dell’ironia.
Soffermatevi su “Autoritratto davanti a un autoritratto”, Leningrado 1985 e domandatevi se Scianna, fotografo barocco, esageri; se Ferdinando, poeta barocco, menta. Se l’attimo, l’esistenza o l’eternità, gli sfuggano. Se a Ferdinando Scianna umanità e tenerezza, manchino. O impegno e grinta, avanzino. Per questo, chi lo conosce non lo chiama più Maestro. Solo Magister.