Traverso: non sono d’accordo
Quando un testo è disturbante – che sia un libro, o un articolo, o un film, oppure una pièce teatrale – significa di regola che vale. Si tratta del ruolo critico dell’intellettuale, quello vero, non la persona semplicemente colta, bensì colui o colei che con il suo sapere mostra le vie della verità e infastidisce il potere. Mi avvicino di conseguenza con rispetto all’ultimo prodotto di Enzo Traverso, Gaza davanti alla storia (Laterza 2024), che dichiaratamente intende dare fastidio. Avevo già letto l’articolo pubblicato su “Il Manifesto” da cui è tratto il cuore del volumetto, e mi attendevo un’elaborazione argomentata di posizioni che sulla stampa quotidiana sono di necessità apodittiche e semplificatrici. Il mondo della comunicazione e i suoi spazi forzatamente ristretti non consentono quasi mai di inoltrarsi in elaborazioni che si giovino di riscontri e riferimenti culturali. D’altra parte, la stima per il Traverso studioso e per la sua capacità di analizzare con sguardo scientifico e attento le dinamiche storiche della Shoah rappresentano in questo una garanzia. Se non fosse che aprendo il libro mi sono trovato di fronte a macerie fumanti.
Il breve saggio è articolato in otto capitoli e una premessa, che contiene in poche righe elementi che avrebbero potuto suggerire all’Autore di desistere da subito. Scrivere un libro su Gaza dichiarando esplicitamente di non essere uno studioso del Medio Oriente e della Palestina è già un azzardo. Ma fondare poi tale libro su una premessa errata e distorta della realtà non può che condurre a esiti non positivi e fuorvianti. La base dichiarata del testo è questa: i paesi del Sud Globale guardano con indignazione alla distruzione di Gaza, mentre le élites di governo dei paesi dell’Occidente la appoggiano e finanziano, distaccandosi dall’opinione pubblica che la pensa diversamente. Dopo aver dichiarato il nocciolo duro della sua tesi, Traverso si auto colloca “fuori dal coro” occidentale presentandosi come alfiere dell’orientalismo di cui è stato maestro l’intellettuale palestinese/americano Edward Said. Una volta enunciato il tema, si procede quindi allo svolgimento. Che si riduce all’inanellarsi di argomenti auto confirmatori che tengono assai poco da conto l’enorme groviglio che caratterizza il conflitto mediorientale, riportandolo di continuo a formule utili a convalidare le premesse. Che sono distorte, va detto. Innanzitutto, perché tentano di raggruppare in schieramenti collettivi e compatti governi, popoli e interi stati, dividendo il mondo in maniera manichea in cattivi (l’Occidente e Israele) e buoni (i popoli oppressi, gli stati del Sud Globale, le opinioni pubbliche occidentali non allineate ai governi). Solo che il mondo non è così, e il conflitto di Gaza – che è quello che interessa all’anima inquieta dell’intellettuale occidentale che si sente in colpa, in quanto occidentale – non deriva unicamente dalle caratteristiche che gli vengono attribuite nel volume. Che – intendiamoci – non sono scorrette. Traverso ci dice giustamente che il 7 ottobre (esplicitamente condannato come inaccettabile) non accade all’improvviso, ma è il frutto di lunghi decenni di ingiustizie, di occupazioni e di oppressioni. Tuttavia, la giusta reprimenda verso gli atti che numerosi governi israeliani ben prima di Netanyahu hanno condotto nel comprimere sia i diritti dei palestinesi nei territori occupati sia di quelli legittimamente ascritti alla cittadinanza israeliana, non si accompagna in alcun modo a uno sguardo altrettanto critico nei confronti di altri poteri politici, di altri regimi mediorientali (e non solo) che hanno contribuito non poco a predisporre le basi del conflitto.
Cosicché l’“orientalismo” a cui Traverso dichiaratamente si ispira, si materializza in maniera plastica nello sguardo dello studioso occidentale che fonda il suo sapere nella cultura occidentale (di cui, va detto, è sottile interprete) attribuendo sempre e solo a quell’Occidente la responsabilità inquietante del disastro. L’Oriente idealizzato che ne deriva appare nelle pagine del saggio di Traverso come un indistinto mondo di vittime, che con la guerra in corso assomigliano sempre di più agli ebrei disperati perseguitati e uccisi nella Shoah. Una sorta di colonialismo intellettuale, in cui il sapiente occidentale guarda con paternalismo all’indistinta massa di poveracci travolti loro malgrado dalle mire espansionistiche dell’Occidente che hanno eletto nello Stato di Israele il loro baluardo militare implacabile e indistintamente freddo e amorale.
Chi ci perde in questa analisi, che non regge? Abbiamo molti candidati. Innanzitutto i palestinesi, che non vengono riconosciuti per quel che sono o potrebbero essere. Rappresentati quasi solo come profughi (cosa che sono solo in parte, poiché non si può essere profughi di generazione in generazione, come vorrebbe l’attuale dirigenza ONU e solo per i palestinesi), non traspare alcun interesse nei confronti della loro articolazione religiosa, politica, sociale e culturale. Ritratti come vittime che legittimamente – come i nostri “partigiani” – combattono per la loro libertà, non hanno alcuna responsabilità né viene loro riconosciuta alcuna progettualità politica. Nulla, in puro stile colonialista. Poi ci perdono gli israeliani, che il testo descrive divisi in buoni (gli intellettuali anti-Netanyahu, meglio se emigrati) e i cattivi (tutti gli altri). Solo che Israele è una società complessa, fatta di ebrei, arabi, drusi, immigrati e chi più ne ha più ne metta. E che se ci limitiamo agli ebrei, questi sono a loro volta sionisti e antisionisti, religiosi, secolarizzati o tradizionalisti, e poi etnicamente complicati (europei, nordafricani, mediorientali, russi, americani ecc.). Di tutto ciò non c’è se non labile traccia, perché ogni complicazione del quadro presuppone una negazione della premessa distorcente (e addolorata) imposta dall’Autore. Ci perde anche una conoscenza anche solo abbozzata sulle connessioni che il conflitto a Gaza ha con il più ampio scontro di potenze nel Medio Oriente e nel mondo. Non c’è traccia di analisi sul peso del fondamentalismo islamista (mentre si censura giustamente quello ebraico, poiché non c’è fondamentalismo che non meriti la gogna) e dei suoi sponsor, dall’Iran degli ayatollah che massacrano le loro donne per un velo messo male, all’Arabia Saudita che impone al mondo la potenza dei petrodollari. Ci perde anche una necessaria pietà umana che non si limiti al compatimento e alla rabbia per i civili morti sotto i bombardamenti israeliani a Gaza, ma si estenda a tutte le vittime civili degli innumerevoli conflitti che caratterizzano il nostro presente, ivi compresi i civili caduti in Israele e quelli costretti ad abbandonale le proprie case e i campi e le fabbriche in fiamme. Tutto questo non lo troverete nel libro di Traverso. Mentre ci sono spunti che trovo del tutto inappropriati, che esplicitamente tendono a sminuire il tema dell’antisemitismo (che è al contrario un problema enorme e una vera minaccia alle nostre democrazie), e altri che stabiliscono paralleli storicamente privi di ogni fondamento tra le dinamiche dello sterminio degli ebrei in Europa e l’attuale doloroso conflitto mediorientale. In definitiva, a mio parere un libro sbagliato, nelle cui pagine al lettore non vengono offerti elementi utili a comprendere la complessità del dramma in corso a Gaza e in Medio Oriente.
Gadi Luzzatto Voghera è il Direttore della Fondazione CDEC.