Utopia a Milano
Alcuni avranno forse letto, nel giorno della Befana, sul "Corriere della sera", l'intervista a Lucio Morawetz nella quale annunciava che la Libreria Utopia, di via Moscova, chiuderà e riaprirà, dopo un paio di mesi, in via Vallazze, a Città Studi. La notizia segue di pochi giorni quella della cassa integrazione, già in atto, per circa 60 librai della storica libreria Hoepli (fondata a Milano nel 1870), che ha sede a due passi da piazza Duomo ed è una delle più belle e fornite librerie d’Europa. Sempre in centro, cambia sede (e si sposta in via Cesare Cesariano) anche la curiosa Libreria del Mondo Offeso e ha da poco chiuso la Libreria di Brera, come pure la Libreria antiquaria Rovello, punto di riferimento per gli amanti dei testi antichi.
Questa è veramente una grande ferita per la città. La chiusura della Libreria Utopia è non solo una ferita culturale, perché sparisce dal centro una delle migliori librerie di Milano (dove era possibile trovare e scoprire titoli di piccolissimi editori dei quali spesso non si era a conoscenza), ma anche un luogo di ritrovo intelligente e l'occasione di incontri e dibattiti mai scontati o banali.
In questo modo, Largo La Foppa rimarrà soltanto un presidio per bar e aperitivi che sono anch'essi assai utili alla nostra vita, ma che non possono essere l’unica categoria merceologica che, assieme ai negozi di moda, monopolizza il paesaggio del centro della città.
La Libreria Utopia chiude, e si trasferisce in periferia (con tutto il rispetto per Città Studi), perché, come le altre librerie, a causa della crisi e il calo delle vendite non ce la fa più a pagare l’affitto di un locale in centro.
Il libraio Lucio Morawetz è stato molto dignitoso (categoria sempre più rara) nel non chiedere fino ad oggi aiuto e nel non rivendicare per sè un “trattamento di favore”. E’ cosciente del valore anche civile del suo lavoro (nel quale si è speso, con i suoi dipendenti e collaboratori, ben oltre le normali otto ore e senza badare ai giorni festivi), ma non ha preteso nulla per questo.
L’Amministrazione di Milano e l’Assessorato alla cultura però non possono oggi limitarsi a esprimere un amaro rammarico, ma debbono intervenire tempestivamente per fermare questo scempio culturale e umano.
La chiusura di una libreria come Utopia, e come le altre, è infatti un problema civile e sociale, che riguarda tutta la città. La questione era gia venuta fuori lo scorso anno con il ventilato aumento delle tariffe per l’ ”occupazione del suolo pubblico” che rischiava (e rischia) di uccidere i piccoli chioschi di libri usati sparsi per la città.
Sarebbe neceessaria una maggiore sensibilità concreta verso i problemi delle rivendite dei libri. Non si ha evidentemente abbastanza chiaro che le librerie sono dei presidi della cultura e della democrazia. Sono dei luoghi pubblici dove le persone si incontrano, parlano, si fanno delle idee, giudicano. Le librerie fanno parte del panorama culturale e sociale di Milano, come la Scala, il Piccolo Teatro, i musei. Tutte istituzioni che, quando sono in crisi, ricevono giustamente dei finanziamenti dall’ Amministrazione, perché sarebbe impensabile la città senza di loro. Se è inimagginabile una Milano senza la Scala, lo è altrettanto senza le sue librerie.
C’è un’idea di paesaggio per la quale si batte con forza da anni Salvatore Settis che sostiene che esso è un insieme di tante cose, di stratificazioni storiche e di costumi, che non possono essere cancellati (come non si possono abbattere gli alberi o spianare le colline) senza correre il rischio che la qualità della nostra vita, e delle culture e delle memorie che ci tengono assieme, ne risultino per sempre compromesse.
Quando i bouquiniste di Parigi hanno iniziato a risentire, alcuni anni fa, della crisi, l’Amministrazione della città li ha agevolati in tutti i modi, con la riduzione delle tasse e sovvenzioni. “La nostra città –sostenne il funzionario responsabile- non potrebbe nemmeno immaginare che sparissero i bouquiniste. I turisti che arrivano sul Lungo Senna cosa direbbero se al loro posto vi trovassero dei venditori di souvenir o distributori di hot-dog?!”
E cosa diranno i visitatori di Milano quando nel centro della città non troveranno nemmeno una libreria e, salendo su dal Metrò Moscova, si guarderanno attorno in una piazza circondata da soli bar? E noi milanesi ci rassegneremo a comprare i libri soltanto su internet (perché, a quel punto, è comunque meno frustrante, e si perde meno tempo, che farlo in un megastore).
I luoghi sono Storia e storie. E allora non si può pensare di risolvere il problema con “affitti di altri immobili a prezzi agevolati”. Perché spostando un luogo si uccide la sua identità: la libreria Utopia è una vicenda che dura lì da 36 anni. Altrove sarà un’altra cosa, e tutti perderemo qualcosa di importante.
Che cosa si può concretamente fare?
1) il Comune di Milano ripensi alla categoria assai civile della “destinazione d’uso”, ampiamente ignorata dalle amministrazioni “liberiste” precedenti: si vincolino, per ragioni storiche e paesaggistiche, alcune attività al proprio luogo, almeno per quanto riguarda l’affitto (dove c’era una libreria non potrà esserci un esercizio commerciale differente; dove c’era una galleria d’arte non potrà esserci un negozio di scarpe, ma un’altra galleria ecc.: se il proprietario, legittimamente, vuole cambiare la destinazione d’uso di un locale in centro, allora deve venderlo);
2) il Comune di Milano possiede centinaia di immobili sfitti: proponga ai proprietari lo scambio con un altro immobile di eguale valore e si consideri garante e proprietario del luogo e dell’attività che si vuole tutelare;
3) il Comune di Milano, e il suo Assessorato alla cultura, si facciano promotori di una rete di librai indipendenti e tradizionalmenti legati a dei luoghi storici e preveda delle forme di agevolazioni per le loro attività;
4) il Comune di Milano favorisca e incentivi forme di attività commerciali plurime che, mantenendo l’identità del luogo, permettano al gestore di integrare i guadagni con la vendita di altri prodotti (la Liberia Utopia aveva offerto una piccola parte del suo locale alla rivendita di vini di qualità, ma lo spazio era troppo angusto e insufficiente a realizzare un esercizio redditizio);
5) nel caso risultasse impossibile mantenere la libreria là dove era, allora sì che il Comune dovrebbe offrire dei suoi spazi a prezzi agevolati, ma a 2 condizioni:
a) che lo spazio sia nel centro della città;
b) che sia più ampio del vecchio, in modo da permettere altre attività (come, ad esempio, incontri e smercio di alimentari e bibite di qualità) che incrementino il fatturato e rendano autosufficiente economicamente il gestore.
Il centro di una città senza le vetrine delle librerie è triste e squallido: un luogo senza libri, diceva Cicerone, è come un corpo senza anima.