8x8. Si sente la voce

11 Settembre 2012

Se vale la massima galileiana del “discorrere come correre”, il romanzo è una gara di fondo con distanze lunghe e spazi dilatati, che esige uno sforzo prolungato e un continuo adattamento a ritmo e resistenza. Il racconto è invece uno scatto, un lavoro anaerobico che nella breve durata concentra velocità e potenza.

È allora fondamentale la partenza, la spinta sui blocchi per ottenere la maggiore propulsione, la lettura d’un fiato; “in ogni caso il racconto è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo” diceva Calvino.

 

Così, nella prefazione all’antologia di racconti Si sente la voce (CartaCanta editore, Forlì, 2012, p. 240, € 14) la celebrazione del genere racconto, un po’ sminuito dalla tradizione, un po’ rispolverato come difficile esercizio di chiarezza e intensità, è trattata nei termini di una tensione alla “breve e sonante densità”, oltre che come campo di prova per autori esordienti o aspiranti tali.

 

L’antologia ne raccoglie quarantadue, selezionati tra vincitori e menzionati speciali delle quattro edizioni del concorso 8x8 ideato da Oblique Studio, con la partecipazione di vari editori italiani (nell’ultima edizione Elliot, Rizzoli, Hacca, Transeuropa, Gaffi e Fandango).

Ottomila battute e tema libero per ovviare all’estemporaneità della scrittura d’occasione: la voce si sente nelle serate di lettura itineranti tra Roma, Milano, Torino e Firenze, durante le quali una giuria popolare e una di qualità scelgono la voce più limpida e convincente e il vincitore si aggiudica qualche libro e la revisione del racconto da parte di un editor professionista.

 

Nelle intenzioni degli organizzatori il concorso si propone come vetrina per gli autori e punto di incontro tra scrittori e professionisti dell’editoria. Il passo successivo riguarda il pubblico e il lettore; qui le voci si riversano sulla pagina, voci diverse, venate di dialetto, asperse di esotismo, voci infantili, voci anziane.

E sfogliando l’antologia le voci si sentono soprattutto quando tacciono; si sente il respiro affannato dell’ultima corsa ciclistica di un campione sulle cime di Ventoux, quello materno, appeso alle lancette di un orologio messicano, quando ogni due minuti scompare un bambino e si sente anche il silenzio al funerale di un padre che è morto troppe volte per gioco e ha sprecato tutte le lacrime che gli erano dovute.

 

Ma nella varietà di timbri e intonazioni stupisce la ricorrenza di temi e suggestioni; la morte incombe, spesso inghiottita nel silenzio delle cose da tacere, e così la famiglia, la violenza e il disagio nelle sue innumerevoli declinazioni.

Si rammenda il lutto con la memoria, con le domande dei bambini, con le bottiglie nascoste in cucina e cercate al buio di notte o con il cibo divorato alla luce gelida del frigorifero. Si riempiono i vuoti confessando le colpe, gridando la propria vendetta o cantando con il cuore in gola la canzone partigiana dell’infanzia, guidando con gli occhi appannati alla ricerca del padre scomparso.

 

Il racconto indaga lo spazio privato e quotidiano e, nei casi migliori, giunge alla cristallizzazione di una vita in un unico, singolo e compiuto momento rivelatore.

Così avviene nel tempo dilatato di una cena in famiglia, quando si è detto troppo, gli equilibri sono incrinati e, nel silenzio, le posate sul piatto, la crosta del pane spezzato e persino il cibo tra i denti fanno un rumore assordante. Oppure quando, ospiti in casa altrui, l’imbarazzo della solitudine si trasforma in astio e livore, riconoscendo nelle saponette del bagno, nelle tende arrotolate con eleganza e nell’ordine parsimonioso la propria bruciante inadeguatezza.

 

Nella prefazione si legge che “i migliori racconti contemporanei vivono dei loro particolari, lasciano intravedere i segni di una frattura, una crepa che avanza, sono quelli che alludono o evocano o materializzano una realtà più sconfinata di quella che descrivono”, e ciò che muove i racconti dell’antologia è spesso un vuoto, una mancanza o un silenzio pesante, a volte insistito e costruito, altre così profondo e riuscito da illuminare tutto il resto.

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