Agenda per il nuovo governo. Ambiente

19 Settembre 2022

Proviamo a paragonare la situazione dell’ambiente a quella di un corpo malato, uno dei nostri corpi, quelli che quando si ammalano, per esempio di una forma lieve di diabete, li portiamo dal medico e lui senza neppure degnarlo, o degnarci, di un’occhiata, ci chiede i dati anagrafici, li cerca sul computer, inizia a spingere tasti sulla tastiera, fa qualche domanda, trascrive nella sua lingua ciò che rispondiamo, continua a ticchettare in silenzio sulla tastiera e dopo un po’ spinge un tasto definitivo, la stampante fa il suo dovere e lui, o lei, ci passa una serie di foglietti coi quali possiamo andare in farmacia a prendere i farmaci preposti a guarire. Diciamo che il proprietario del corpo vuole saperne di più e chiede se, oltre ai farmaci, per caso c’è qualcosa che può fare. Forse a quel punto il medico, assolto il suo dovere tecnico, alzerà gli occhi e spiegherà che, naturalmente, lo stile di vita è fondamentale, dirà le parole magiche “dieta” ed “esercizio fisico” come sapesse già che è inutile evocarle perché entrambe presuppongono una consapevolezza che va al di là del motivo specifico della visita, qualcosa che ha a che fare con lo stile di vita più generale, dove è importante prevenire i problemi piuttosto che trovare sistemi di cura dopo che si sono presentati. 

Ecco è tutto qui. Siamo in un momento in cui la questione ambientale è affrontata esattamente come la medicina affronta la malattia. È un sistema che già Ivan Illic aveva analizzato nella sua Nemesi Medica nel ’76 e giusto per capirci subito, non sto proponendo nulla che abbia a che fare con medicine più o meno alternative, solo voglio spostare il punto di vista dai tentativi di guarigione alle possibilità di salute e lo faccio qui e ora perché questo non è un articolo qualsiasi ma, almeno nelle intenzioni della redazione, è rivolto a chi si troverà ad affrontare il problema a livello di governo della nostra nazione. Ed è proprio questo il livello in cui prendere una direzione piuttosto che un'altra ha le maggiori conseguenze. Esattamente come il nostro medico iniziale quando parla di “dieta” ed “esercizio fisico”, tra tutti i discorsi che si sentono e che girano intorno alla questione ambientale, si sente sempre evocare, fra un rimedio e un altro, la questione sociale. I problemi legati all’ambiente non sono separabili dalle questioni sociali. Poi spesso il discorso finisce lì, come dire io l’ho detto, vedete voi. 

Bene, vediamo meglio allora. Cosa vuol dire questione sociale per esempio se si parla di sviluppo delle città? Vuol dire, anche, che ha a che fare soprattutto con l’educazione, la scuola, la conoscenza, la formazione di una coscienza. Vuol dire che “nessuno di salva da solo” e la cura, il prendersi carico dello spazio della città, della qualità di vita, dell’ambiente nella sua accezione più concreta e reale, cioè quello che ora io vedo dalla mia finestra mentre scrivo e voi alzando gli occhi da quanto state leggendo, sì, proprio quello che avete di fronte esattamente ora, quello è l’ambiente, gli orsi polari non c’entrano nulla, quelli li evoca chi vuole sviare il discorso, quello che vedete davanti agli occhi è il vostro ambiente e sì, è quello che si può, si deve, è il caso di curare, modificare, amare.

Senza aspettare che lo faccia qualcun altro al vostro posto. Come? Organizzandosi, parlandone con gli altri, o anche semplicemente agendo. L’organizzazione centrale dovrebbe cercare di favorire questo tipo di cura del territorio che parte di chi lo abita. Non calare dall’alto progettisti ignari e gonfi di preconcetti, ma sfruttare la sapienza di chi vive nei luoghi per svilupparli al meglio. La rigenerazione urbana non si fa abbattendo vecchi muri per costruirne di nuovi, ma favorendo l’organizzazione sociale (appunto) di chi vive in quei luoghi. 

È il 1932 quando Earnest Elmo Calkins, pioniere dell’advertising, pubblica a New York il libro Consumer Engineering. A New Technique for Prosperity in cui sostiene che “le merci si dividono in due classi: quelle che usiamo, come le automobili e i rasoi di sicurezza, e quelle che consumiamo, come il dentifricio e i biscotti. Il consumer engineering deve far sì che si arrivino a consumare le merci che ora ci limitiamo a usare”. Nasce la giustificazione teorica dell’obsolescenza programmata, le merci devono avere in sé la data della propria morte, almeno da allora affidiamo la produzione dei nostri beni a un sistema che li fa nascere già morti. Dopo mezzo secolo di questa ideologia, la conseguenza è la nascita del problema dei rifiuti, nulla più si ripara, tutto si compra e si getta via.

Oggi lo stesso sistema che ha inventato l’obsolescenza programmata inventa un'altra parola magica: economia circolare. Tutto deve tornare in circolo, i rifiuti sono una risorsa, ridateceli. Tutto molto bello e molto utile e, a sentire chi fa la comunicazione, anche il pianeta chissà perché ringrazia. A guardar meglio, comunque, un’altra soluzione ci sarebbe. Anzi, c’è sempre stata. Si chiama cura, riparo. Non serve cercare nuove soluzioni, basta usare quelle che abbiamo sempre usato prima che la rottura di un tacco di una scarpa significasse la morte certa della scarpa. Con il lento prevalere dell’ideologia del consumo sono scomparsi tutti i mestieri che servivano a prendersi cura delle cose, non è una questione di nostalgia, ma di economia. L’economia circolare potrebbe circolare anche nelle tasche di chi fa questi mestieri, non sono in quelle di chi produce merci da riciclare in altre merci da riciclare in altre merci ad libitum.

Un altro mantra che si sente costantemente è l’uso delle “energie rinnovabili”. Ma cosa sono? Nel 2019 l’economista indiano Prem Shankar Jha ha fatto uscire L’alba dell’era solare, (ne abbiamo parlato qui: https://www.doppiozero.com/qualcuno-piace-caldo) in cui sostiene che uno dei noccioli della questione energetica sta nel trovare un’alternativa valida alla benzina, alternativa che è già disponibile da tempo: è il metanolo, un derivato dai rifiuti generici delle città e dalle biomasse, ma che negli Stati Uniti era stato sconfitto dall’etanolo perché non aveva il sostegno di una lobby organizzata. Prem Shankar Jha analizza poi eolico, fotovoltaico, etanolo ed energia solare termodinamica, Concentrating Solar Power, CSP, indicandola come una possibile soluzione valida ma che, come il metanolo, può avere problemi di ordine politico.

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Il 5 febbraio 2016 si è inaugurato a Ouarzazate in Marocco l’impianto a concentrazione solare più grande del mondo. L’azienda è spagnola, la volontà di costruirlo è del governo marocchino. Da quando l’impianto è in funzione la dipendenza energetica del Marocco è passata dal 97% al 58%. In sostanza Prem Shankar Jha rileva una grande resistenza del mondo economico nell’abbandonare i metodi di produzione dell’energia attuali perché garantiscono la continuità della concentrazione del potere dov’è ora. Spostare la produzione dell’energia verso i paesi del sud del mondo significherebbe spostare a sud anche l’asse economico e questo evidentemente è un problema. 

Spesso viene associata all’idea di transizione ecologica quella di digitalizzazione, come se l’apparente smaterializzazione delle tecnologie informatiche sia esa stessa una garanzia di sostenibilità. Basta approfondire un attimo per scoprire che non c’è nulla di immateriale nella digitalizzazione, ma che anche l’azione più quotidiana come mandare una mail ha una precisa impronta materiale. 50 mail producono mezzo chilo di anidride carbonica e questo ci porta direttamente ad uno degli argomenti principali della transizione ecologica: la riduzione della CO2 e dell’inquinamento. In questi anni si è fatto un gran parlare di piante. Ne parlano tutti, specialmente filosofi e architetti.

Chiedete a un architetto di trovare una soluzione per l’inquinamento e vi consegnerà un progetto che prevede di impiantare un bosco nella piazza principale della città. Si parla di forestazione urbana come fosse una soluzione e in effetti l’aumento dell’elemento vegetale nelle città, a terra o fuori suolo con verde pensile e verticale, è una delle soluzioni più efficaci, durature e economicamente convenienti. C’è solo un dettaglio, che purtroppo continua ad essere sottovalutato mentre è il punto centrale, e ha sempre a che fare con l’idea di cura di cui parlavamo prima e in questo caso, tecnicamente, si chiama manutenzione. Piantare alberi non è sufficiente, le piante sono esseri viventi che hanno bisogno di cura, di manutenzione costante, di attenzioni.

Ne è un esempio chiaro quanto sta succedendo a Milano, città che ha fatto della forestazione urbana un cavallo di battaglia. La situazione è ben spiegata qui da Giovanna Zoboli: in sostanza, è avvenuto quello che nei paesi anglosassoni si chiama Plant it and walk away,  piantalo e vattene, come spiega Francesco Ferrini, uno dei maggiori studiosi internazionali di alberi. La soluzione è considerare nella progettazione iniziale non solo l’impianto, ma la costante manutenzione e anche qui, la partecipazione di chi ci passa accanto ogni giorno può diventare una risorsa, come è avvenuto a Milano. È necessario un cambio di passo, una mutazione nell’abitudine che abbiamo, specialmente in Italia, nel considerare ciò che ci circonda. Per questo parlo di educazione, di coscienza, di scuola. 

La cura dell’ambiente parte dalla scuola, dalla capacità di ognuno di sviluppare una propria consapevolezza che permetta di agire, di avvertire come non c’è divisione fra uomo e natura, questo è il nodo base da sciogliere. Fino a quando ci pensiamo come diversi dalla natura non riusciremo a fare il salto necessario. In altri termini, fino a quando resteremo nell’area di pensiero ebraico-cristiana dove il dio dice all’uomo che è lui il padrone del mondo, che la natura è al suo servizio, (Genesi) non riusciremo a considerarci parte integrante di un processo unico dove siamo una parte del tutto.

Parlare di ambiente in Italia vuol dire considerare il luogo fisico che contiene la maggior concentrazione delle opere d’arte del pianeta. Non considerare questo dato oggettivo è come avere un tesoro quando si ha fame e continuare a mangiare pane secco. Anche questo tema ha a che fare con la scuola, è da lì che è necessario parta la consapevolezza di vivere in un luogo speciale. A partire dalle scuole elementari e per tutto il percorso scolastico obbligatorio, andrebbe potenziata, aumentata, valorizzata, non solo la presenza della storia dell’arte, che invece ora è svilita e quasi abbandonata, ma anche quella delle scienze naturali, perché pochi sanno che l’Italia è il luogo con la maggiore biodiversità al mondo, è un dato oggettivo sul quale costruire una politica di tutela, conservazione e soprattutto sviluppo e coscienza che sarebbe da stupidi non sfruttare.

Arte e biodiversità sono i punti di forza dell’ambiente Italia. Se ogni italiano crescesse lavorando, pensando e sviluppando questa consapevolezza probabilmente la situazione dell’ambiente Italia sarebbe differente. Ambiente, scuola, società sono indissolubili. È questo l’auspicio e la direzione in cui va prodotto il maggior sforzo. 

Una ultima considerazione la merita la questione energetica in generale. Non si tratta di produrre energia pulita. Si tratta di non aver bisogno di produrre energia. Nelle abitudini quotidiane di ognuno, si tratta di sviluppare azioni che non necessitino di energia. Non si tratta di comprare un’auto elettrica se per produrre elettricità si usano le centrali che funzionano a combustibili fossili. Si tratta di ricominciare a camminare, che è l’azione più naturale che può fare un essere umano. Questo va incentivato, ma non come sport, come semplice pratica di vita.

Va considerato il fatto oggettivo che abbiamo un corpo paleolitico in un presente antropocenico, siamo fatti per camminare e per stare all’aperto, insistere sull’efficienza energetica degli edifici è utile solo a chi produce i sistemi isolanti di materiali plastici che stanno ricoprendo i nostri edifici e distoglie l’attenzione dalla vera soluzione che è molto più semplice, cioè usare materiali e metodi più naturali per costruire.

E se volessimo davvero avere un cambio di passo, l’azione che dovremmo riconsiderare per trovare soluzioni alternative ed efficaci riguarda ciò che è alla base del sistema industriale nel quale ci muoviamo tutti: comprare. Proviamo a lavorare su azioni alternative al comprare. Difficile? Impossibile? Cominciano ad esserci esempi pratici in tutto il mondo contemporaneo, e dando un’occhiata al tempo, oltre che alla geografia, ci si può rendere conto di quanti problemi cambierebbero alla radice, rifiuti, energia, salute. Ci vuole tempo, certo, ma è proprio il tempo il nocciolo della questione. 

L'illustrazione di copertina è di Ilya Milstein.

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