Ridiventare Sapiens. Teneri carnivori di Paul Shepard

23 Ottobre 2023

Che musica ascoltava Paul Shepard quando uscì The Tender Carnivore and the Sacred Game? Era il 1973. Fra gli amanti della musica rock è ancora aperta la discussione fra chi sostiene che l’anno più incredibile per uscita di capolavori sia il ’71 o il ’72. Io sono fra quelli che propendono per il ’72: Bowie con Ziggy Stardust, Trilogy degli Emerson Lake & Palmer, Close to the edge degli Yes, Caravanserai di Santana, Transformer di Lou Reed, solo per citarne alcuni e in Italia Darwin del Banco del Mutuo Soccorso. Poco probabile che Shepard, che in quegli anni insegnava in California e si avvicinava ai cinquant’anni, abbia appoggiato sul piatto del suo giradischi Darwin, ma è un fatto che quel disco poneva le stesse domande a cui lui stava lavorando da anni. “…e ora ditemi se la mia genesi fu d'altri uomini o di quadrumani…” cantava Francesco di Giacomo, che per corporatura e aspetto sembrava contenere in sé la risposta. 

Ci sono temi che sembrano arrivare quando sono necessari e ci sono uomini che li avvertono prima, alcuni per le insondabili vie dell’arte, altri per quelle della scienza, vengono chiamati visionari, in realtà sono solo spiriti più attenti degli altri e dalle antenne sopraffine. Paul Shepard era uno di quelli. Più di cinquanta anni fa ha puntato l’attenzione su di una zona della ricerca che oggi si rivela in tutta la sua profondità, attualità e necessità. Le parole chiave sono Pleistocene, paleolitico, primario, tempo profondo, preistoria, l’infinito tempo prima dell’inizio di quanto siamo abituati a definire civiltà, culture altre. Compito immane, ingrato e pericoloso, quello di indicare le vere origini di noi umani in un mondo che corre spensieratamente verso la crescita costante senza mai mettere in dubbio l’unica ideologia rimasta, quella progressista figlia del positivismo di fine Ottocento, proponendo altre visioni per lo stesso mondo. Oggi il panorama è cambiato, le illusioni si sono rivelate tali anche a chi non ha mai voluto vedere il baratro alla fine della corsa, tutto il sistema sta ragionando su sé stesso non certo per ragioni etiche ma per puro spirito di sopravvivenza, le risorse infinite sono finite, le magnifiche sorti e progressive si sono schiantate contro il muro dell’Antropocene. 

Leggere Shepard oggi è un atto politico. È ribadire che non c’è un solo modo di vedere il mondo, ma ne esiste un altro, una visione che abbiamo avuto per la maggior parte della nostra esistenza sulla terra, una visione comune a tutti i popoli cacciatori-raccoglitori, dagli Inuit della Groenlandia agli Aborigeni dell’Australia, dove il mito fondativo non è il nostro biblico “soggiogate la terra”, non regala la terra all’uomo, ma è una visione in cui noi umani siamo una parte di un insieme sempre e costantemente in relazione con tutte le altre parti, dove ogni cosa vive nel senso che esiste e gioca un ruolo in relazione a tutte le altre. E non sto parlando di teoria o di astratte visioni filosofiche lontane dal reale, tutt’altro. Sto parlando di carne e sangue, di quello che resta oggi di tutti i popoli massacrati e annientati dalla nostra cultura dominante occidentale che ha esportato la propria visione in ogni angolo del mondo, azzerando ogni altra cultura esistente per appropriarsi della terra e sfruttare luoghi, tradizioni e arte per continuare a guadagnare denaro, l’unico dio rimasto in Occidente. 

L’uscita in Italia dopo 50 anni del testo di Shepard si può inserire nel cambio di atmosfera che alcuni hanno avvertito da tempo. La direzione delle ricerche più avanzate va nella rivisitazione della nostra storia profonda e fra gli effetti collaterali di questo più ampio movimento di studi c’è il rinnovato interesse verso le culture altre e verso chi è riuscito a sopravvivere. Il problema è che ormai la maggior parte di quei popoli e gruppi fatti da esseri umani reali è scomparsa, si è estinta, per essere più precisi, è stata annientata e quelli che restano sono sempre meno. È un genocidio planetario in corso di realizzazione ora, nel momento in cui leggete queste parole quasi certamente qualcuno viene ucciso e la sua cultura si estingue con lui. 

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Nell’arrivare in Italia, Shepard ha avuto la fortuna di avere nella curatela di Matteo Meschiari un supporto impareggiabile. In ogni passaggio e scelta di termini, nelle brevi note che accompagnano il testo, si avverte sempre il rispetto e la precisione, l’attenzione e la cura con cui l’autore viene trattato, ma sempre con impietosa imparzialità. Dice Meschiari nella nota introduttiva: “Per Shepard il fatto di riconoscere il presente profondo dell’uomo moderno significa cogliere le cause più remote delle sue disfunzioni psicologiche e sociali: se siamo nati come specie nel Pleistocene, se siamo un prodotto evolutivo e ambientale perfettamente adattato a grandi spazi, a un’esposizione permanente al mondo selvatico e al potere demiurgico della caccia, ne consegue che l’oggi urbano, industriale e consumistico è una trappola devastante e autodistruttiva. Se allora vogliamo uscirne, se vogliamo salvarci, la soluzione è solo una: riprendere contatto con il nostro io cinegetico, ridiventare Sapiens prima che sia troppo tardi.”

Shepard fa dell’uomo cinegetico un modello. La parola, di derivazione greca, contiene il significato di arte della caccia, e in particolare della caccia con i cani. Vengono in mente i Nemadi, la popolazione nomade fra la Mauritania e il Sahara Occidentale che Chatwin descrive in Le vie dei canti. Nemadi significa “padrone di cani” e, come facevano migliaia di anni prima i loro antenati, li usano per la caccia. Parlare di “caccia” nel contemporaneo significa avere la certezza di essere fraintesi se non si ha tempo e modo di approfondire quello che non è un’attività ma un modo di essere, in Shepard imprescindibile.

In L’orso di Faulkner sembra di riconoscere la stessa tensione, la stessa presenza della caccia come filo conduttore dell’esistenza, il rispetto e la paura, l’eccitazione e la crescita. Old Ben si aggira fra i paesaggi che Shepard evoca e invoca e fa da modello per la visione del selvatico fino a ricomparire anche nel Borne di Jeff VanderMeer. In L’orso, Ike incarna a meraviglia l’adolescente su cui Shepard punta l’attenzione, individuando nella scomparsa dei riti di iniziazione una delle peggiori perdite della nostra società. La sparizione dei passaggi da adolescente a uomo, elemento fondamentale per la maggior parte dei popoli cacciatori, ci lascia in un limbo sospeso fra infanzia e maturità mai risolto, in una posizione ideale per assumere con gratitudine la posizione di consumatore che il sistema industriale ci ha preparato e di cui ha bisogno. Riti di iniziazione sopravvivono in chi da questa società è fuori, letteralmente fra i fuorilegge.

Teneri carnivori” non è un testo che va inserito in un contesto storico per essere compreso. Chi lo fa non ha capito la reale portata del suo messaggio o peggio, l’ha intuita e la vuole sminuire. Non c’è nessun contesto per Shepard, semplicemente ribalta la concezione che abbiamo di società e lo fa usando la biologia, dispiegando argomentazioni che alcuni di noi hanno intuito nel corso degli anni. “Quando gli uomini coltivano piante e addomesticano animali, la loro attenzione è rivolta alla consanguineità. La diversità e l’unità non sono più viste come fini armoniosi in un’unica totalità. L’unità che si manifesta nella purezza della linea assume un valore a spese della diversità e viene protetta dall’intrusione dell’inquinamento genetico esterno. Il sistema di allevamento, le cui forme sono alla base del pensiero moderno, esclude la natura selvaggia come caotica, altra e malvagia. Alla base delle tragedie moderne come l’omicidio di massa e il biocidio, la sostituzione della religione con l’ideologia, il disorientamento dell’esperienza individuale, ci sono gli ideali dell’allevamento e la perdita dei modelli totemici.” 

Parlando dell’uso dello spazio Shepard cita solo due architetti, entrambi fuori dagli schemi, visionari e in anticipo di decenni sulla cultura ufficiale. Uno è Costantinos Dioxiadis, con la sua idea di città in cui ognuno “si trovi ad abitare a più di dieci minuti a piedi dal centro”, un’idea negli ultimi anni sbandierata come nuova e inedita dalle nostre amministrazioni e Paolo Soleri, fautore dell’idea di Arcology, una unione fra architettura ed ecologia, costruttore della città utopica di Arcosanti nel deserto dell’Arizona. 

Al di là delle innumerevoli informazioni e idee che Teneri carnivori contiene e che lo fanno assomigliare a una piccola astronave carica di nutrimento che attraversa il tempo e lo spazio e che ora sta passando finalmente anche dall’Italia, basterebbe a renderlo fondante per chiunque abbia a cuore la propria salute fisica e mentale la considerazione che fa Meschiari in apertura parlando del contributo di Shepard “più alto e al tempo stesso più dimenticato: il nostro problema percettivo è che continuiamo a definire cos’è l’umano usando come modello l’uomo civilizzato, trascurando così un milione di anni di vita pre-industriale, pre-agricola e pre-Sapiens in cui la coevoluzione di geni e cultura ci ha resi ciò che siamo. Il tempo profondo è stato ignorato, addirittura negato, come se fossimo ancora fermi ai cinquemila anni di Storia che sorreggono la mitologia del Creazionista e del Capitalista.”

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