Alessandro Bertante. Estate crudele
Via Crespi a Milano è un taglio, una delle mille strade di una città che non è più Milano, ma piuttosto il crogiuolo di un’inedita comunità di solitari, ognuno avulso dagli altri per lingua, ambizioni e cultura.
E parte dalla strada Alessandro Bertante, dai suoi odori e dai suoi codici misteriosi quanto plateali, per raccontarci di un uomo solo e in perenne combattimento che attraversa le miserie di un inferno dal fuoco spento, senza nemmeno più la compagnia di un passato rimosso e accatastato nel fondo di un’esistenza cinica e malinconicamente battuta e persa.
Estate crudele si apre con un omicidio o meglio una sfida a duello, preludio di un duello permanente fatto di occhi straziati e di stanche legioni di rumorosi e strascicanti miserabili. La solitudine amara e cinica è pur tuttavia il cuore dell’unico sentimento a disposizione, che Bertante usa abilmente come lente rifrangente capace di analizzare e dare corpo a quello che troppo facilmente viene dimenticato essere bene o male un popolo, l’unico vero popolo che abita e vive le metropoli contemporanee.
Milano come slum, magazzino di stoccaggio della disperazione, dove lo sporco, il sudore e l’angoscia si mischiano in un delirio opaco la cui essenza finisce spesso nelle vene degli ultimi. Non c’è compassione nella scrittura di Bertante, ma prognosi, densa e assoluta. L’autore infilza il suo protagonista dentro un territorio quale inesorabile flusso di coscienza, la cui via d’uscita non solo non è contemplata, ma nemmeno mai cercata. Stare nel mezzo, camminare a passo lento, dominare lo sguardo, arrivare a sera: non esiste altro se non nelle paranoie paniche che una bottiglia scolata sa regalare.
Estate crudele è la storia di un passaggio dentro al quale tutti siamo coinvolti e la lucidità non ha parentele con il ricordo, un punto zero dove si è costretti a vivere in una sorta di imprevista immortalità. Il disincanto di una città che è quello di un paese. Una storia priva di riferimenti politici e proprio per questo politica e viva. Bertante tiene il polso di un paese in agonia e lo racconta con la rara sagacia di un antropologo a cavallo di un’epoca ignobile quanto epica. Quello che siamo (e siamo diventati) è per buona parte riportato come in un rapporto di guerra in un romanzo che pare scritto sulla pelle di una città troppo a lungo sfregiata. Estate crudele è un tatuaggio fatto per iniziare a ricordare, da ora in poi.