Gilda Policastro. Sotto

24 Settembre 2013

Dopo vari libri di critica e di poesia e a tre anni dal romanzo Il farmaco, che ha suscitato molti consensi e qualche polemica, arriva la seconda prova narrativa di Gilda Policastro: Sotto.

 

Già il titolo, asciutto, è un buon indizio del mondo e del modo della narrazione. L'ambiente è quello del precariato intellettuale che si muove nei meandri, se non nelle cloache dell'università di massa, alla ricerca di un posto di lavoro: borsisti, ricercatori, ex, attuali o aspiranti; professori che gestiscono il loro micropotere locale come arbitri interessati di destini vacillanti e che per questo si credono dei; galoppini di lungo corso; studentesse disposte, all'occorrenza, con la massima disinvoltura, a concessioni in passato ritenuti infamanti, per ottenere l’obolo di un voto da vecchi bavosi e dai loro servidorame, e le rispettive famiglie disfatte o in rapida dissoluzione, tenute insieme, finché è possibile, dal sesso o da qualche interesse, e più ancora da sentimenti ambivalenti in cui però prevale l'odio, o quanto meno una forte miscela di rancore e recriminazioni, specie tra madre e figlia. Qualche traccia di sentimenti famigliari positivi la evocano soltanto lontane memorie, o tradizionalissime nonne, peraltro morte o moribonde. I maschi lasciamoli perdere: qualità apprezzabili non ne hanno, e se qualcuna sembra affiorare ogni tanto, è solo di facciata: sotto non c’è niente; esattamente quello che meritano, del resto.

 

 

 

Sotto, è la dimensione che regna: sotto nelle gerarchie: la sottomissione, i rapporti di potere, il sottosopra del ribaltamento dei ruoli; e poi sotto le regole delle convenienze e gli abiti (in ogni senso), sotto i sentimenti, sotto le parole, in un mondo che è un sottomondo e tale resta in perpetuo, senza mai raggiungere la dignità dell'inferno, anche se chi lo abita a volte si compiace di credere che tale sia.
In quello che una volta si sarebbe chiamato il dominio dello spirito, si accampa incontrastata la dittatura del corpo, con le complicazioni psicologiche e emotive che gli fanno corona. Gli oggetti delle ricerche che dovrebbero essere il fulcro della vita dei protagonisti sono al massimo nominati di passaggio.

 

A parte un’eccezione, che non a caso riguarda uno scarto dal tracciato accademico che pure tutti denigrano, quello verso la scrittura narrativa di una delle due protagoniste, Alba (l'altra è la sua amica-avversaria-confidente-spregiatrice-ammiratrice Camilla), non si intravede passione che non sia legata a una remota possibilità di carriera, peraltro piuttosto miserabile date le condizioni anche economiche dell'istruzione nel nostro paese; mentre invece la carne e le sue esigenze, i suoi ricatti e le sue deficienze sono indagati in ogni possibile sfumatura: in particolare il sesso come sfogo, evasione, ripicca, noia, paura e gioia pronta a tramutarsi in breve in violenza o ricatto. Solo ogni tanto, una passione asimmetrica, che si finge soltanto carnale, porta sprazzi di appagamento.

 

Sono gli imperativi della carne in ogni sua occorrenza e manifestazione, i veri protagonisti: il cibo e il suo rifiuto, l’eccesso di magrezza e l’esuberanza delle forme, e poi umori, odori, fetori, alitosi, secrezioni e escrementi, defaillances e defezioni, rifiuti, resistenze e cedimenti (e quasi mai abbandoni, se non quelli dolorosi di mariti e amanti), decadenze, prodromi di disfacimento ancora in vita, malattie e morte, circoscrivono, e anzi costituiscono l’universo in cui tutto si radica. Anche le temporanee parvenze di amicizia con le sue incomprensioni e tenerezze, i sentimenti occasionalmente solidali ma sempre bacati da rivalità e competizioni, sembrano ruotare attorno alle ambizioni di indipendenza e di carriera e invece proprio nel corpo e dal corpo prendono avvio.

 

E' la malattia che si nutre della sanità, il deterioramento preconizzato, appena avvertito o presente: l'incapacità di crescere e di invecchiare. Soprattutto la vecchiaia è oggetto di uno sguardo a volte struggente (la nonna di Alba), ma più sovente spietato: delle sue brutture non una è risparmiata o attenuata, ma vengono al contrario sciorinate con minuzioso spregio quando si tratta di Ludwig, il baronetto universitario, o grande studioso che dir si voglia, ammirato in parte ma fisicamente repellente, che tiene le fila dei concorsi e pensa di poter gestire, almeno per un po', le giovani vite di candidate e studentesse, e ne è invece spesso in balia in ragione del rischio sempre incipiente del rifiuto umiliante, in un ribaltamento dei ruoli che sembra una delle costanti di ogni rapporto (chi lascia è lasciato, chi si sottrae cerca, chi rifiuta supplica...).

 

Non si invecchia bene, in Sotto, ammesso e non concesso che sia possibile. Ma non si sa nemmeno maturare bene. I bambini e i ragazzi, con sporadici momenti di respiro, sono carognette, pesi, bestioline fastidiose; gli adulti, bestie quasi sempre rivoltanti, assoggettate alle loro fregole di possesso e di umiliazioni date e subite; la maturazione impossibile: faticosa quando è in arrivo, subito deplorevole una volta che ci si accorge che non è mai arrivata a un compimento ed è invece subito trapassata in decadimento.

 

Gilda Policastro narra le storie di questi personaggi, le loro relazioni, i loro pensieri, adottando prospettive multiple e mutevoli. A volte dall'interno, altre dall'esterno; a volte come monologo anonimo o di ardua attribuzione, altre alternando riflessioni di Alba e Camilla; a volte attraverso dialoghi e narrazioni piane, altre mediante ellissi e scorci.

 

La costruzione è scandita in frammenti che vanno a incastrarsi in forme volutamente incompiute, lacerate come i personaggi e le loro esistenze, attraverso un linguaggio che si muove su registri differenti, di leggibilità nel complesso immediata, ma stratificato, con sottotesti che a volte vengono suggeriti in nota con brevi citazioni seguite dalle sigle degli autori in genere facilmente identificabili (prevalgono Proust e Gadda): rimandi che servono meno a dotare di una patente culturale la narrazione, che a farle da eco, illustrazione e controcanto non di rado ironico, e soprattutto a suggerire che anche le descrizioni più crude e le storie più aderenti, in apparenza, alla realtà, più ancora che necessariamente filtrate dalla letteratura, o dal linguaggio e dalle sue forme se si preferisce, vi trovano insieme l’occasione e l’origine.

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