Andare a fondo non è affondare

20 Marzo 2024

Quando si pensa e si scrive dalla prospettiva di una professione d’aiuto che è innanzitutto una vocazione si deve superare la paura, ma anche lo snobismo intellettuale, che vuole evitare lo sforzo comunicativo del parlare la lingua dei molti, senza cedere però alla tentazione della semplificazione, etica prima ancora che concettuale, del risibile “pensare positivo” che consola a buon mercato, sfuggendo alle tremende difficoltà del vivere, alle sue inevitabili, contundenti oscurità. Gli scritti di Laura Campanello e in particolare il suo ultimo libro Ritrovare l’anima. Esercizi filosofici per trovare la propria via alla felicità, uscito per BUR Rizzoli, sono un esempio riuscito di questa tensione tra ciò che sembra inaccettabile nella nostra esperienza e una capacità, indomita, di rilanciare una ricerca di senso che scavi nell’esperienza per cercarne un filo che ci conduca fuori dalla palude dell’insignificanza e dell’abbattimento deluso. Tanto da usare parole di cui quasi ci si vergogna per l’uso e l’abuso che ne è stato fatto, come “anima”, o per l’oblio che le ha sepolte come l’appello alla “filosofia come esercizio”, capace di ricostruire, dalle macerie delle innumerevoli delusioni dell’esperienza quotidiana dei valori e delle relazioni, una via di serenità. 

Una scelta che fa davvero sintesi ed esprime con intensità efficace il movimento continuo della scrittura tra la necessità di prendere atto dei baratri del nostro vivere senza perdere la speranza e, all’opposto di questa dinamica, il desiderio intenso di mettersi in cerca di una felicità possibile che ospiti una rinnovata “leggerezza”. Sì, la leggerezza (alla quale l’autrice ha dedicato il libro precedente, Leggerezza. Esercizi filosofici per togliere peso e vivere in pace, anch’esso edito da BUR Rizzoli) che non è l’illusoria isola del “tutto bene”, buono solo a nasconderci nelle finzioni consuetudinarie, ma è una conquista “stoica”: più volte tra queste pagine si incontra la distinzione di Epitteto nel suo Manuale (un testo fondamentale per Leopardi, tanto da darcene una sua traduzione) tra ciò che accade e i nostri modi di sentire e di pensare: da come accostiamo e giudichiamo gli eventi nascono i nostri turbamenti. Dunque nessuna proposta di leggerezza e di felicità a buon mercato: la via suggerita è quella di ciascuno, va cercata e trovata, ma appunto di ciascuno è la possibilità e l’impegno a prendersi cura, a volte per nulla facile, delle parti oscure, delle ferite dell’esistenza. Campanello cita allora un altro stoico, Seneca, e ne cita una massima che, se presa sul serio, rovescia in poche parole la facciata ipocritamente sdolcinata delle abitudini relazionali quotidiane: “Per tutta la vita si deve imparare a vivere ma, questo ti stupirà di più, per tutta la vita si deve imparare a morire”. Anche Epicuro aveva messo al centro la meditazione del morire dicendo che “una e la medesima è la meditazione del ben vivere e del ben morire”. Aveva insomma ragione Hadot – altra figura essenziale nella proposta di rinnovamento della filosofia come modo di vivere di questo libro – quando sosteneva che l’esercizio della morte è l’essenza stessa della filosofia antica. E niente affatto come lugubre compiacimento dell’annientamento, al contrario: l’esercizio della morte è essenziale perché capace di relativizzare l’accadere, di soppesare l’evento nel suo orizzonte intrascendibile, di curare le presunzioni autocentrate dell’io, di illuminare la preziosità incomparabile dell’istante presente. 

L’autrice appartiene a una specie rara: la sua scrittura, i suoi libri, non nascono solo dallo studio, non sono libri fatti di altri libri. Al contrario: Laura Campanello scrive dopo aver fatto esperienza sul campo, e non solo su di sé, di ciò che scrive. C’è un cenno nel testo, solo un cenno (a conferma dello stile schivo dell’autrice quando parla di sé): “Dolore, malattia, lutto sono le esperienze principali che obbligano l’essere umano a chiedersi: che senso ha tutto questo? […] Come dare valore al tempo del vivere? Come fare i conti con la paura della morte? Cos’è la felicità? Non sono domande messe a caso: le ho sentite pronunciare a persone ormai prossime alla morte che facevano un bilancio della loro vita.” Campanello le ha sentite pronunciare spesso – dice con un elegante understatement – perché ha lavorato per anni all’Hospice dell’Istituto dei Tumori di Milano, dove, con l’appoggio di Augusto Caraceni e di Cinzia Martini, è stata pioniera dell’assistenza spirituale laica nelle cure palliative.

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E poi ha continuato a occuparsi di cure palliative in altri istituti accanto al suo lavoro come analista biografica a orientamento filosofico (fino a poco tempo fa è stata anche presidente della associazione SABOF, la Società di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico). E proprio del “tragico quotidiano di tutti” questo libro è capace di parlare, come i suoi precedenti anche quando invitano alla leggerezza. Per toglierlo – il peso – bisogna conoscerlo e affrontarlo, non certo evitarlo, perché finirà per pesare ancora di più (come può accadere per il positive thinking). Ma per avvicinare il “tragico quotidiano” bisogna anche saper parlare un linguaggio che vuole raggiungere l’altro perché lo sa ascoltare. La via è quella di “andare a fondo e integrare l’ombra” come dice il titolo del sesto capitolo: “Una frase che mi ha colpito subito quando l’ho trovata sulla Rivista di Psicologia Analitica (n.90, 2014) è: ‘Andare a fondo è il contrario di affondare’, il titolo di un’opera dell’artista siracusano Luigi Camarilla”. Camarilla, da anni, lavora il legno che prende dalle barche dei migranti, il legno appunto del “tragico quotidiano” che ci accompagna come un’ombra nascosta, come una delle ombre collettive che finiscono nella nostra “ombra” individuale – qui Campanello usa l’immagine-concetto di Jung per dire ciò che non vogliamo vedere e accettare di noi stessi e perciò diventa una sorta di oscura seconda personalità inconscia. Che la sua scrittura sappia parlare e consolare (nel senso profondo della parola: lo stare con chi è solo) anche chi non ha dimestichezza con i saggi filosofici e, in generale, con la saggistica, l’ho potuto constatare di persona parlando con una conoscente che aveva appena perso la madre: in quei giorni si era messa a leggere un altro libro di Laura Campanello, Ricominiciare. Dieci tappe per una nuova vita (pubblicato da Mondadori nel 2020) e mi diceva che ne aveva tratto conforto perché si era riconosciuta in molte pagine e altre le avevano aperto nuove prospettive, “luci nell’oscurità del lutto”.  Bisogna saper accettare il “malessere”, il male che è connaturato all’esistere se si vuole ri-cercare, sempre di nuovo, la felicità possibile, quella condizione che tende all’interezza e ci fa sentire più “reali”, più “veri”… più “vivi”. 

“Ma come fa l’anima a farsi sentire e a indicarci la via da seguire? Come cerca di farci ritrovare più interi, in una vita più rotonda? Per esempio lo fa […] con attacchi di panico, oppure con sogni e soprattutto con incubi notturni, con fantasie terrorizzanti ad occhi aperti, con il malessere e l’inquietudine, o con alcuni sintomi fisici quali ansia quotidiana, stanchezza eccessiva o permanente, disturbi del sonno e dell’appetito, respiro corto e affannato, tachicardia. Spesso l’attacco di panico è un ottimo segnale, un alleato che conduce alla via della verità su noi stessi; se non viene rifiutato, può indirizzarci verso la strada dell’autenticità, che porta alla consapevolezza e alla felicità. Ma bisogna accettare di sedervisi accanto, di vederci in lui, di vedere in quella figura qualcosa di nostro e di potente”. 

Non c’è tuttavia sentiero che non debba attraversare coscientemente le asperità strutturali del nostro mondo, del modo di vivere collettivo improntato al “funzionamento e alla prestazione”. Così si precisa, nell’orientamento filosofico, che il vissuto individuale, con le sue problematiche più specifiche, non può essere ridotto alla psicologia personal-familiare, benché approfondita fino alle sue radici inconsce: la psiche è fatta di mondo, di storia, e la sua cura deve comporre riflessione e apertura allo spiazzamento pulsionale-immaginativo-sentimentale, all’espressione simbolica e mitica: “Serve quindi oltre la ragione scientifica, la ragione poetica: prendendo a prestito le parole di Maria Zambrano una ‘ragione che sostiene un metodo capace di generare spazi inediti di vita e che ha cura del tempo del vivere’”. Rilanciando la bellissima metafora di Guccini nella canzone Cristoforo Colombo (Laura Campanello è una maestra, perché non ne ha paura, della commistione creativa dei generi letterari) noi “mendicanti di senso […] non possiamo fare a meno di filosofare e di praticare un cammino spirituale […] È uno sforzo consapevole e razionale per ridurre il caos dell’esistenza, è un tentativo di penetrarla, di renderla cosciente […] La filosofia agisce nella sua funzione medicinale e terapeutica di balsamo dell’anima, si immerge nella vita come essa è, anche nella sua tragicità, e a volte ne resta ferita e sgomenta, ma trova le strade per uscirci e conviverci”. Si tratta della filosofia come modo di vivere evidentemente, non della filosofia che mette tra parentesi la vita di chi la esercita, una filosofia che è propria di ogni essere umano come diceva Aristotele e come ridice a suo modo Gramsci. Proprio perché è un modo di vivere teso a cambiare la vita irriflessa, schiava inconsapevole dei pregiudizi sociali e familiari, non è riducibile a “discorso”: questa filosofia è esercizio, anzi, si può dire che “l’esercizio è tutto” perché contiene la teoria nella vita che la evoca. E questo libro è anche un libro di esercizi, adatti e quindi possibili nella vita quotidiana, esercizi di scrittura, di meditazione, di immaginazione e disegno, di attenzione ai sogni e alle fantasie: è un vero manuale del lavoro autobiografico e biografico orientato alle pratiche filosofiche come modo di vivere.  

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