Paolo Aite: l’analisi e il gioco della sabbia

8 Ottobre 2024

Paolo Aite, neuropsichiatra e psicoanalista, fondatore del Laboratorio Analitico delle Immagini che raccoglie analisti che utilizzano il Gioco della Sabbia in analisi, tanto degli adulti quanto dei bambini, già presidente dell’AIPA ( associazione junghiana ), tra i primi allievi di Ernst Bernhard – il medico tedesco che portò il pensiero e la pratica junghiana in Italia prima della guerra – è morto il 30 di Agosto a Roma: con lui se ne va non solo un punto di riferimento della psicologia analitica e una figura simbolo della sua storia, ma un innovatore la cui discrezione (non amava e non faceva alcuno sforzo per favorire il suo spazio di notorietà) non deve oscurare l’importanza della sua figura. 

Ecco come raccontava il suo primo incontro con Ernst Bernhard nel convegno di Roma organizzato da Liberiana Pavone, Robert Mercurio e Giuseppe Vadalà per l’ AIPA e il CIPA nel cinquantesimo anniversario della morte del suo maestro:

“Mi chiese la data di nascita e, consultando un libro, guardò con attenzione il mio quadro astrale. Dove ero capitato? Credevo di incontrare un analista famoso e invece mi trovavo davanti a un astrologo? La sorpresa diventò disorientamento quando, come fa un chirologo, mi chiese di fargli esaminare le palme delle mie mani. Con grande disagio pensai di avere sbagliato indirizzo. Alla fine dell’incontro mi chiese e raccontai un mio sogno della notte precedente. A quel punto cambiò l’atmosfera tra noi. Mi colpì soprattutto la sua attenzione ai particolari delle immagini. Non erano messi in evidenza solo i personaggi che animavano la vicenda onirica, ma la scena stessa, la sua atmosfera, direi il clima emotivo di quel mondo notturno in cui apparivano particolari significativi da me poco notati. I commenti alla loro forma, colore, tono emotivo, aprivano alla domanda, a ricordi, a stati d’animo che mi sorprendevano. Mi colpì il suo rapporto col sogno e credo che questa impressione mi abbia fatto superare il disagio iniziale e tentare altri incontri. Penso sia stato proprio il suo modo di avvicinare le immagini, di coglierne i particolari, di amplificarli, che mi trattenne dall’impulso iniziale al forte rifiuto che si era destato in me di fronte al palesare in modo diretto quello in cui credeva. Solo nel corso degli anni ho capito che non era importante per Bernhard rivestire un ruolo, compiacere il suo interlocutore.” 

Sì, Bernhard era una persona che aveva avuto una vita difficile non solo perché era un ebreo di sinistra che viveva a Berlino, ma perché non intendeva nascondere se stesso per conformarsi alle aspettative di ruolo: quando fu costretto a cercare un paese che lo ospitasse e lo salvasse dalla persecuzione nazista gli venne rifiutato l’ingresso in Gran Bretagna perché, appunto, l’interesse per l’astrologia e la chirologia lo rendeva sospetto. Venne in Italia, dove fu imprigionato nel campo di Ferramonti in Calabria sempre per il suo essere ebreo.   

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Del suo maestro Bernhard, Paolo Aite ricordava spesso – ed era evidente il sottotesto, dato che parlava a noi, che eravamo stati suoi analizzanti e poi suoi allievi come analisti – che Bernhard diceva di guardarsi sempre, come analisti, dalla tentazione di formare dei cloni. E non solo Bernhard non voleva cloni, ma era sconfortato, scandalizzato, dalla divisione, spesso concorrenziale, degli analisti, in particolare quella tra freudiani e junghiani. Probabilmente il motivo era che lui stesso aveva fatto due analisi freudiane, con Otto Fenichel e Sàndor Radò, prima di passare all’analisi junghiana e a Jung in persona, ma anche perché in Italia era molto amico di Edoardo Weiss – la moglie di Weiss, Vanda

Shrenger, andò in analisi da lui e la prima conferenza sul sogno tenuta a Roma da Bernhard fu organizzata da Weiss nella sede dell’associazione freudiana. Questo lascito di Bernhard era vivo in Aite che non aveva nessuna compiacenza per atteggiamenti settari o, comunque, “concorrenziali”. Questa sua postura ha influenzato molti di noi, suoi allievi, tanto che, per esemplificare, Angelo Malinconico, psichiatra e psicoanalista dell’ AIPA (una delle associazioni junghiane) e del LAI (il Laboratorio Analitico delle Immagini che raccoglie gli analisti che praticano il gioco della sabbia seguendo l’impostazione di Aite) ha scritto al presidente della SPI, Sarantis Thanopoulos per informarlo della scomparsa di Aite, e Thanopoulos ha subito inviato ai soci della Spi il messaggio di Malinconico, con le sue “sentite condoglianze ai colleghi junghiani che hanno perso un maestro” . Ecco il messaggio di Malinconico che sintetizza in poche righe l’importanza della figura di Aite:

“È venuto a mancare Paolo Aite, co-fondatore dell’AIPA, della Rivista di Psicologia Analitica (di cui è stato a lungo direttore), del LAI (il Laboratorio Analitico delle Immagini), formatore e mentore di generazioni di psicologi analisti, maestro di pluralismo, portatore di un pensiero mai arroccato in una presunta “ortodossia junghiana”.

Innovatore, riconosciuto a livello internazionale, nell’ambito del Gioco della Sabbia. 

Ha sicuramente incarnato l’archetipo del Vecchio Saggio, senza spocchia, riferendosi convintamente ai pazienti come “compagni di viaggio” e al nostro lavoro fatto di ‘tentativi analitici’. 

Giunto sul crinale dell’esistenza, ha offerto fino alla fine a noi allievi, con estrema lucidità e immutata curiosità, l’insegnamento di guardare ognuno il proprio rizoma, recitandoci come un mantra le parole di Jung: ‘La vita mi ha sempre fatto pensare a una pianta che vive del suo rizoma: la sua vera vita è invisibile, nascosta nel rizoma. Ciò che appare alla superficie della terra dura solo un’estate, e poi appassisce, apparizione effimera. Quando riflettiamo sull’incessante sorgere e decadere della vita e della civiltà, non possiamo sottrarci a un’impressione di assoluta nullità: ma io non ho mai perduto il senso che qualcosa viva e duri oltre l’eterno fluire. Quello che noi vediamo è il fiore che passa: ma il rizoma perdura’.”

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Quanto al setting analitico il contributo specifico di Aite si può forse sintetizzare nel portare il gioco della sabbia – il sand play originariamente inventato da Dora Kalff, un’analista junghiana che aveva introdotto un contenitore con sabbia in una stanza dedicata a questa pratica per far giocare i bambini che potevano manipolarla e disporre miniature di tutti generi per creare scenari e inventare storie – nello stesso setting analitico per gli adulti, nella stessa stanza dell’analisi. Il significato ovviamente va molto al di là della pura disposizione: vuol dire far entrare la materia, il gioco, il corpo in azione dentro il contesto analitico. Non fu un caso che molti colleghi obbiettarono che così si sostituiva l’elaborazione parlata e l’espressione delle percezioni e delle emozioni, con gli “agiti”, con qualcosa cioè che “faceva” invece di elaborare psichicamente attraverso la parola e il silenzio. L’altra innovazione è stata quella della revisione dei quadri di sabbia alla fine o dopo la fine del percorso: attraverso le scene, entrando nelle immagini, collegando il percorso di sabbie alle vicende dell’analisi verbale, ci si immerge in un crocevia di “sensi” possibili. Ma i suoi commenti erano molto parchi, rari accenni che dicevano però di un processo di condensazione della storia della relazione e della ricerca che coglieva i nodi o gli sviluppi possibili per avvicinarsi, per intensificare il contatto con le scene del gioco, non per padroneggiarne il significato.

Aite non amava granché né parlare in pubblico, né scrivere: era un punto di incontro e di coesione per altri, nel lavoro analitico come nel lavoro editoriale della Rivista di Psicologia Analitica della quale è stato anche direttore. Proprio sul tema della revisione del gioco delle sabbie riprendo qui uno scambio con lui dopo un seminario a Milano nella sede di Philo e di SABOF (la società di analisi biografica a orientamento filosofico). 

“Qualche risonanza al nostro incontro sulla " revisione"!

Nei nostri interventi che sto riascoltando nella registrazione, ci sono molti spunti da approfondire e precisare sia in vista del futuro libro LAI sulla revisione, che del numero sul gioco in programma per la Rivista.

Certo la Revisione permette di entrare nel divenire dell’immagine! Apre una prospettiva inedita sulla potenzialità espressiva del "gesto" corporeo di uso dell'oggetto e della materia. L'immagine diventa parlante.

Si apre quel modo di pensare che tu definisci "simbologica". 

Il senso appare nel divenire spazio-temporale della configurazione. (Ecco l'importanza di una attenta relazione dei gesti e delle parole spontanee registrate dall'analista!!)

Nella revisione, nel ripercorrere insieme le scelte e le collocazioni successive, “Eva” [nome fittizio del caso presentato] si è accorta di "essere stata narrata" con meraviglia sua e mia.

Ha visto il proprio temporale da una posizione diversa, dall'alto come affermavi nel tuo intervento. 

Il centro da quel momento non è stato più egoico. Ha potuto vedere in atto un'altra dimensione attiva in lei che la trascendeva. È questo il vero SÉ in atto.

Qualcosa l'ha vissuta sia nella scelta dell'oggetto (atteggiamento estetico!) che nella collocazione (atteggiamento di giudizio).  (Vedi "Funzione trascendente"). 

Nella scelta ha estratto, portato alla luce (secondo un principio di corrispondenza) qualcosa di sé, mentre nella collocazione ha messo in luce il rapporto emotivo per lei possibile in quel momento (secondo un principio che direi di coerenza) col vissuto che stava emergendo.

Si è resa conto che qualcosa agiva nei suoi gesti fino a costruire un pensiero per immagini coerente che ha messo in una relazione sintattica le parti apparse.

Da queste prime osservazioni emerge sempre più in me la convinzione che si sta aprendo una strada nuova per la ricerca analitica o........sto esagerando...?”.

Ecco in una riga lo stile dell’uomo e dell’analista: la ricerca come stile di lavoro, la modestia autoironica come stile di vita.

Ma da fondatore della Rivista di Psicologia Analitica e poi direttore ci ha lasciato comunque una raccolta di scritti (che oggi si possono agevolmente trovare nel sito della rivista) e ha sintetizzato il suo lavoro teorico sul gioco della sabbia in Paesaggi della psiche, il libro pubblicato per Bollati Boringhieri nel 2002. Alla passione di una vita per l’immagine e la pittura – che era la sua forma d’espressione più congeniale – ha dedicato il piccolo, prezioso volumetto Risonanze tra pittura e psiche, edito da Icone nel 2018. Come era nel suo stile considerava tutto questo un invito per continuare a cercare tracce di senso nella inesauribile forza creativa della psiche.    

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