Bobi Bazlen: psicoanalisi e disegni
Figurine che sembrano fantasmini si arrampicano, cavalcano strani animali, ridono e piangono, si abbracciano e si disperano. Personaggi di un film muto non hanno volti definiti, un tratto ricorda la bocca, a volte il naso, ricorre una figura con i baffi, si esprimono con un gesto e con il movimento. C'è un uomo che si ritrova a pescare in situazioni assurde, ecco un teatro di marionette, poi un prestigiatore, un diavolo in salotto, processioni che vorrebbero unire mondi diversi, mostri minacciosi e la crocifissione nel quotidiano. L'ironia che avvolge il tutto non riesce a celare il dramma dei conflitti personali e delle tragedie collettive.
Una sequenza di immagini, disegni a matita, a china, acquarelli, mandala ha accompagnato l'analisi di Bobi Bazlen con Ernst Bernhard dal 1944 al 1950. Voleva affrontare i “gravi disturbi nevrotici” per i quali a Trieste era già stato in cura da Edoardo Weiss. “Andava da Bernhard tutti i giorni e faceva sedute lunghissime” ricordava Luciano Foà (cit. in Augusto Romano, Bobi Bazlen e Jung, in Jung e Ivrea, L’ombra, Moretti&Vitali, 2018).
Si può ipotizzare che l'analista lo abbia invitato a disegnare i suoi sogni, lo dice il carattere bizzarro di molte scenette, a esprimere la sua creatività rivolgendosi in modo attivo alle immagini emerse. Per dare spazio a dimensioni per lui più lontane dall’abitudine alla parola scritta, per alleggerire il peso di quella pigna di libri che, in un suo disegno, un tipo intellettuale gli mette sulla testa.
Avventurarsi nell'interpretazione è rischioso, non abbiamo la voce del soggetto che li ha composti – il diario analitico delle sedute non è mai stato trovato –, ma siamo catturati da uno stile, scopriamo la grammatica del mondo infero di una personalità caleidoscopica come quella di Bobi Bazlen.
106 disegni scelti tra i moltissimi realizzati – esposti un anno fa al Palazzo Esposizioni di Roma durante il convegno “Jung in Italia” – sono ora raccolti in un libro raffinato e prezioso, I disegni di Bobi Bazlen (a cura di Anna Foà, Acquario Edizioni). Insieme ai disegni il lettore trova una serie di cartoncini, della grandezza di una cartolina, qualche schizzo e alcune poesie tradotte dal tedesco – lingua paterna, intima, di Bobi Bazlen –, da Luciano Foà con la consulenza di Giorgio Voghera. C’è anche una pagina dei taccuini di consultazione dell'I Ching, Il libro dei mutamenti che tanto Bernhard quanto Bazlen si portavano sempre appresso. Il tutto è accompagnato da testi di ispirazione diversa di psicoanalisti (Romano, Zoja, Defilippi) e studiosi (La Ferla, Belpoliti, Battocletti) che hanno inseguito, a volte per anni, le tracce dell’incontro tra un triestino, geniale e inafferrabile – scopritore di libri e talenti – e un terapeuta berlinese ebreo, pediatra e astrologo.
L'analisi inizia in un periodo storico cruciale, Roma è stata liberata da poco, lo studio di via Gregoriana accoglierà, nei due decenni successivi, personalità note e meno note segnate dai traumi della guerra e dalle persecuzioni razziali. Nel 1961 Bernhard fonderà, insieme a un gruppo di allievi, la prima Associazione di Psicologia Analitica in Italia ispirata al pensiero di Jung. Nel 1935, dopo aver fatto molta anticamera, Ernst Bernhard era riuscito a incontrarlo per poche sedute. La loro relazione, inizialmente intensa e promettente, non ebbe ulteriori sviluppi. Bernhard chiamerà la sua una “psicologia del processo di individuazione”, dizione un po’ diversa di quella di “psicologia analitica” del maestro.
La richiesta rivolta ai pazienti di disegnare i propri sogni era una parte costitutiva del metodo di Jung che in Scopi della psicoterapia (1929) si chiedeva: “Ma perché mai incoraggio i pazienti giunti a un determinato stadio del loro sviluppo a esprimersi mediante il pennello, la matita о la penna? Ancora una volta, per scatenare in loro un effetto. (…) Inoltre, per dare forma materiale all’immagine da esprimere, saranno costretti a osservarla di continuo in ogni sua parte, ed essa potrà così dispiegare completamente il suo effetto”. L’oggettivazione dell’immagine introduce così un “elemento di realtà”, il che non riduce, anzi aumenta il peso della fantasia.
Nello spazio del foglio i disegni di Bazlen hanno sempre un contorno: la scena è compresa all’interno di una cornice. Anche questo potrebbe derivare da un insegnamento di Jung. Lo psichiatra svizzero era infatti convinto che le scomposizioni cubiste contemporanee esprimessero, e rischiassero di rafforzare, l’instabilità del soggetto. Per questo sorvola sull’esperienza Dada che va in scena a Zurigo a pochi chilometri da casa sua, non apprezza l’arte decostruita che teme possa distruggere l’oggetto e lo spazio dell’esperienza, rendere impossibile l’immedesimazione e l’empatia. Privilegia invece forme come quelle mandaliche per la loro capacità di contenimento e ordinamento – anche se si chiede se la ricorrenza dei mandala nei disegni dei suoi pazienti non sia il frutto di una sua suggestione. Distingue in modo netto un lavoro artistico che ricerca l’effetto estetico e il significato etico di un gesto emerso in analisi dal rapporto tra vita e destino individuale – che cosa si possa definire arte è un interrogativo ancora presente nel dibattito su arte e terapia.
Il materiale di Bazlen è una produzione privata, le mostre dei suoi disegni e ora questo libro lo espongono a un nuovo tipo di sguardo di un’altra epoca. Può così diventare un’opera autonoma dal significato universale: il viandante, l’orientale, il viaggiatore, l’isola, la coppia, il diavolo, la morte, l’isola sono immagini archetipiche, come la simbologia religiosa e della quaternità che dà forma all’intero, i mandala che riducono la sagoma delle figure ascetiche all’essenzialità, come i Buddha seduti nella posizione yoga con il terzo occhio spalancato sulla conoscenza profonda. Sono molti i disegni che condensano una foresta di simboli, tentativi di avvicinare gli opposti, come in un’illustrazione del 1950 senza data: un uomo e una donna si danno la mano e in mezzo a loro c’è qualcosa che fiorisce.
Le poesie che punteggiano i disegni dicono quanto sia difficile per il loro autore mettersi sotto un bell’albero ed essere felice, testimoniano l’inquietudine: un vissuto dove il tempo è sospeso e si sta in attesa dell’esecuzione, nella difficoltà di distinguere l’amore dall’invidia, sentire la consistenza della propria esperienza.
Ma “In qualche luogo, in qualche luogo / C’è una nuova luce – Qualcuno, qualcuno / Mi prende la mano – Qualcosa, qualcosa / È apparso ora – Una volta, una volta / Ci arriverò anch’io”. La sensazione di non essere più solo potrebbe essere il risultato dell’incontro con Bernhard, una personalità originale che conosceva e usava l’astrologia e la chiromanzia – si era formato con Julius Spier, terapeuta e poi amante di Etty Hillesum –, amava lo yoga e conosceva le tradizioni religiose occidentali e orientali. Diventeranno amici e complici – chi interrompeva l’analisi in via Gregoriana poteva finire sul divano delle due stanze in affitto di via Margutta di Bazlen, curioso degli uomini come lo era dei libri –, saranno compagni di avventure in imprese editoriali che avvieranno la traduzione dei testi di Jung, la nascita dell’Adelphi, di cui Bobi Bazlen e Luciano Foà saranno gli iniziatori. Bobi era così legato al suo terapeuta che raccontava che sarebbe morto il mese dopo di lui. E così accadde: Bernhard muore in giugno, Bazlen nel luglio 1965.
Entrambi in vita hanno pubblicato pochissimo. “A causa della mia nevrosi, affermava Bernhard in Mitobiografia, specialmente la claustrofobia, e poi anche alla difficoltà di apparire in pubblico, di 'pubblicare'. Io non ho pubblicato nulla finora, perché scrivere qualsiasi libro non mi ha mai interessato; io avrei dovuto scrivere un libro mio, ma ho sempre saputo che non sono abbastanza maturo per scrivere un mio libro, non sono capace di scrivere un mio libro. La mia decisione è di raccontare qualcosa di me e farlo scrivere ad altri e aggiungere eventualmente delle parti mie, poesie, sogni. L'opus della mia vita non consiste in un libro, l'opus della mia vita è la realizzazione della mia esistenza individuale, del mio destino individuale”. Il testo, considerato oggi un riferimento fondamentale, raccoglie i suoi scritti dal 1932 al 1965 e quanto aveva dettato, un mese prima di morire, alla sua allieva Hélène Erba-Tissot. Il capitano di lungo corso, il libro che Bazlen sta scrivendo durante l’analisi, rimarrà incompiuto e verrà pubblicato postumo insieme alle miriadi delle sue “note senza testo”.
Paziente e terapeuta hanno in comune l’affinità della Weltanschauung: il concetto di entelechia, che per Berhnard è alla base del processo di individuazione, non è molto distante dal motto di Bazlen, “la meta si forma vivendo”. Entrambi hanno un approccio sincretico nel mischiare cultura occidentale e orientale, le diverse tradizioni religiose, l’antropologia e la mitologia. “Sto formulando la diagnosi della Grande Nevrosi Europea (che, per intendersi, non è un 'mal du siècle' – aveva scritto Bobi Bazlen a Sergio Solmi molti anni prima, nel maggio del 1934 – e salvo, molto nevroticamente, il mio orgoglio addossando tutta la responsabilità della mia confusione alla 'Storia'. Del resto, e per parlar sul serio, la guarigione non può che coincidere con la conoscenza assoluta dei limiti dell'individuo con la 'Storia', e un (sic) analisi della storia diventa identica all'analisi di un qualsiasi nevrotico”.
L’interesse di Bazlen per le autobiografie, le biografie e gli epistolari è legato alla ricerca di libri autentici, capaci di raccontare l’esperienza della vita vissuta, l’urgenza di scrivere la propria irripetibile primavoltità. Da qui l’obiettivo di una “Collezione dell’Io” che, proposta all’Einaudi, diventerà poi una delle linee principali del catalogo Adelphi.
Per una serie di sincronicità di destini personali, atmosfere culturali, storie editoriali le impronte delle vite di Bazlen e di Bernhard stanno tornando a lasciare tracce di sé. Bernhard non è più un maestro eccentrico (cfr. gli atti della Giornata di studio per ricordarlo a 50 anni dalla morte disponibili online), è in corso di pubblicazione per Einaudi il carteggio tra Luciano Foà e Bobi Bazlen, è da poco in libreria Giorgio Manganelli, Il vescovo e il ciarlatano. Inconscio e letteratura: l’incontro con Ernst Bernhard e la regista Catherine McGilvray, che ha già diretto Fellini e l’ombra (2021), sta lavorando a un docufilm sulla vita di Bernhard.
Come scriveva Bazlen: “Espira – inspira – fiorire e sfiorire – Essere creativo – poi ozioso – regalare, e poi prendere – Giù e su, – no e sì – Odiare e perdonare – Sistole – diastole – Vivere – morire – vivere”.