Sesso cerca casa
“La sessualità e il sesso evocano molte sensazioni. Pressoché tutti arrossiscono quando si parla di sesso. Alcuni si agitano, altri si eccitano molto, altri si eccitano talmente tanto da sentirsi solamente angosciati, colpevoli o privi di controllo. (…) Proprio lì dove non esiste un linguaggio convenuto incontriamo i silenzi, e questi silenzi appartengono a tutti noi: pazienti e analisti, orientali e occidentali, uomini e donne. (…) Esistono dei modi per riconoscere e ascoltare gli accenti unici del linguaggio del sesso?”
Bugie e camuffamenti, vergogna e desideri struggenti: il sesso rimane un’esperienza fisica solitaria che non ha trovato una dimora durante l’infanzia. Chi ci accudiva spesso preferiva ignorare ciò che potesse evocarlo, al punto da farne una “zona” a sé, dissociata dai legami di attaccamento. “Per questo motivo i sentimenti sessuali rimangono fondamentalmente disregolati in ciascuno di noi”.
In L’enigma del desiderio. Sesso, nostalgia e appartenenza (a cura di Vittorio Lingiardi e Cesare Albasi, Raffello Cortina, 2023) la psicoanalista Galit Atlas espone originali idee teoriche scaturite dalla sua pratica analitica e dagli avvenimenti della sua esistenza. Oggi vive a New York, ma è nata in Israele da genitori che vi arrivano ancora bambini, dall’Iran il padre, dalla Siria la madre.
Dalla conoscenza di più lingue – “la mia madrepatria e la mia lingua madre sono sempre implicitamente presenti nella mia mente e nei miei scritti” –, religioni e culture, e anche da diverse formazioni analitiche, emerge una grande libertà creativa di associazioni e accostamenti. E una capacità di scrittura che rende avvincenti i suoi “racconti terapeutici” (cfr. Laura Porta, Galit Atlas, i traumi sul lettino in doppiozero).
Galit Atlas è una terapeuta che sa che cosa può voler dire sentirsi “straniero”, per questo sottolinea la dimensione empatica e umana dell’incontro tra i due soggetti nella stanza d’analisi in uno scambio che è, insieme, asimmetrico e reciproco. E che a volte, possono vivere una condizione simile. Come le capita quando si trova di fronte una donna incinta proprio come lei!
L’enigma del desiderio è il titolo di un’opera di Salvator Dalì del 1929 che ha come sottotitolo: Mia madre, mia madre, mia madre. Le bizzarrie e le megalomanie, come le ossessioni dell’artista e il suo interesse per la psicoanalisi, derivano dalla sensazione di essere un “doppio” che sta vivendo la vita del fratello, di cui porta il nome, morto nove mesi prima della sua nascita. E i fantasmi e i demoni che avvolgono il corpo della madre, lo spazio psichico che accoglie il neonato, assumono diversi e molteplici significati. Che ognuno di noi ritroverà nella sua sessualità adulta.
Alcuni elementi comunicativi sono più evidenti, pragmatici, altri invece rimangono misteriosi, enigmatici. Quanto è pragmatico in una relazione può essere complesso, nello scambio verbale e non verbale, ma può essere osservato, misurato e valutato. Insomma, è visibile. L’enigmatico è invece qualcosa che possiamo solamente “percepire o ascoltare”, impossibile da descrivere, tocca l’ineffabile. Il pragmatico è il linguaggio della prosa, l’enigmatico quello della poesia. L’integrazione tra conoscenze enigmatiche e conoscenze pragmatiche è un’esplorazione di possibilità nuove e complementari, rilevante non solamente nel campo della sessualità.
Tradizionalmente, afferma Atlas, si pensa che le donne siano più enigmatiche perché i loro organi sessuali non sono visibili, sono interni, mentre gli uomini sono considerati pragmatici, perché i loro genitali sono esterni. Ma se ci allontaniamo dalle differenze biologiche e da quelle prodotte dalle norme culturali eterosessuali, per Atlas i due termini riguardano tanto il maschile che il femminile e producono una tensione dialettica nel gioco delle somiglianze e delle diversità.
Una donna, Ella, si presenta come una neonata angosciata, la madre è rimasta sconosciuta e inaccessibile, oggi essere toccata appaga il desiderio di quel contatto fisico ed emotivo che non è mai avvenuto. Riuscire a regolare la sessualità vuol dire trovare un ritmo relazionale inedito. Per questo lo scambio con l’analista assume tonalità erotiche che, dice Atlas, vanno tollerate e accolte. Intanto si chiede se, a volte, l’uso di un linguaggio teorico non sia un modo per prendere le distanze, raffreddare la sua eccitazione. Faticoso, anche per l’analista, trovare una misura tra i moti del corpo e quelli della mente.
Ben teme ogni accenno a uno stato emotivo, potrebbe diventare immediatamente qualcosa di “troppo”, qualcosa che ricorda alla terapeuta la sua personale lotta, durante l’infanzia e l’adolescenza, per cercare di non essere sempre “troppo”, nella gioia come nel dolore.
Leo è fissato con la sessualità, altrimenti non sarebbe “un vero uomo”, ha fantasie violente, ha bisogno di molto tempo prima di riuscire a esprimere l’umiliazione e la vergogna provate quando la madre lo allontanava fisicamente e affettivamente.
Ben e Leo temono di essere sedotti e abbandonati, come si sono sentiti abbandonati, tanto disregolati quanto sovrastimolati, da una madre che li ha lasciati soli. Per questo, in un teatro relazionale adulto, ogni scena di seduzione si carica tremendamente, produce eccedenze di significati: ogni eccitamento diventa pericoloso (cfr. Eccitazione la logica segreta delle fantasie sessuali in doppiozero). Momenti imprescindibili nel corso dell’esistenza di ognuno, che procede tra pause e interruzioni della continuità, sono per Atlas le rotture nell’unità. È quanto capita al corpo femminile che muta e si trasforma affinché un bambino possa nascere. “Quando si tratta della maternità ho la sensazione che le rotture nell’unità siano ignorate o inquadrate erroneamente all’interno di una cornice patologica anziché percepite come una componente esistenziale normale, ancorché dolorosa di quel processo”. A partire dal pensiero di Simone de Beauvoir, Nancy Chodorow, Julia Kristeva, Luce Irigaray e Jessica Benjamin, Galit Atlas riflette sul momento della nascita come una cesura non soltanto per il neonato, ma anche per la madre. In quel periodo i confini tra il me e il non me, il noto e lo sconosciuto sono sfumati, il perturbante diventa familiare. Il parto è una rottura esistenziale, segna una cesura nascosta delle donne. Per dare voce a tutto questo Atlas si trova a usare parole, simboli, esempi, una struttura pragmatica per provare ad avvicinarsi a una conoscenza enigmatica.
Il titolo di un capitolo è Galit. Sesso, bugie e psicoanalisi, dove racconta la sua fuga dalla casa di Tel Aviv poco prima del diciottesimo compleanno, la guerra del Golfo vissuta come soldatessa dell’esercito israeliano – nelle cucine dell’esercito ritrova le enormi pentole della cucina di sua nonna iraniana. Ricorda la vergogna e il senso d’inferiorità che ha accompagnato i suoi genitori, venuti da Oriente, nello sforzo di ambientarsi in una nazione “razzista” come Israele. Il senso di incertezza e di inquietudine che le hanno trasmesso.
“Negli ultimi anni ho iniziato a esplorare e studiare la percezione della sessualità nel mondo arabo e persiano. È un’esplorazione di molte delle mie identità, fatta di attrazione e repulsione, idealizzazione e svalutazione. Un’indagine che parla di immigrazione e di come questa influenza tutti gli aspetti della vita. Sono figlia di immigrati, io stessa sono emigrata da Israele negli Stati Uniti. Molti dei miei pazienti sono migranti provenienti da paesi diversi”.
Nella casa della nonna di Teheran, che profumava di gelsomino, c’era una grande cucina condivisa dalla famiglia allargata, a cui solo le donne avevano accesso. Il sesso era mascherato da battute e allusioni, la cucina era capace di evocare un desiderio proibito.
Silenzi, travestimenti, sogni sfrenati. “Il sesso non è mai soltanto sesso, giacché è fortemente in contatto con l’Alterità, la perdita, il dolore dissonante e l’eccitazione che emoziona; con le grandi e piccole nostalgie di una casa, forse di qualcosa che potremmo non avere mai avuto”.
“La mente si esercita e fa delle prove: anticipa, prepara, dà forma, costruisce”. Nella stanza d’analisi “paziente e analista entrano ciascuno nel mondo interiore dell’altro, scoprendosi partecipanti della vita psichica dell’altro”.
Galit Atlas si riconosce in un modello esistenziale che mette insieme la funzione prospettica di Jung, la memoria del futuro di Bion e la pulsione del destino di Bollas, in cui gli esseri umani hanno la potenzialità di trasformare il fato in destino: “diventare soggetti laddove prima eravamo stati solo oggetti”.