Lingiardi, tra notte e giorno
Siamo fatti della materia dei sogni, ripetiamo con il poeta, ma siamo sempre alla ricerca di prove della consistenza del “mondo infero”. Dai tempi antichi l’uomo ha coltivato l’arte divinatoria per afferrare immagini che alla luce del giorno evaporano e svaniscono. Il sogno equilibra il punto di vista della dimensione diurna, mette in contatto e in comunicazione con il nostro Straniero, l’Altro che incontriamo di notte. L’attività onirica testimonia la creatività psichica del sognatore di cui il sogno è una traccia, un’oggettivazione con un proprio stile – capita di trovarsi in un giallo, oppure avvolti in atmosfere fantasy o chissà dove.
Nei sogni attraversiamo tempi, ci muoviamo nello spazio, possiamo cadere negli abissi, volare, parlare con i morti, ritrovare ricordi infantili, una folla di visi noti e sconosciuti. A volte ne abbiamo terrore, spesso ci sforziamo di acchiappare i loro lacerti che si dissolvono al far del giorno. Soli o in compagnia cerchiamo di capire il loro messaggio, la loro grammatica generativa.
L’interpretazione dei sogni (1900), che Freud fa coincidere con l’inizio del Novecento, descrive la potenza dell’inconscio e annuncia la nascita di quell’Io senza garanzie che ogni notte affronta l’Io del sognatore.
“Anche nei sogni meglio interpretati è spesso necessario lasciare un punto all’oscuro, perché nel corso dell’interpretazione si nota che in quel punto ha inizio un groviglio di pensieri onirici che non si lascia sbrogliare, ma che non ha nemmeno fornito altri contributi al contenuto del sogno. Questo è allora l’ombelico del sogno, il punto in cui esso affonda nell’ignoto. I pensieri onirici che s’incontrano nell’interpretazione sono anzi in generale costretti a rimanere inconclusi e a sfociare da ogni lato nell’intricato groviglio del nostro mondo intellettuale. Da un punto più fitto di quest’intreccio si leva poi, come il fungo dal suo micelio, il desiderio onirico”.
Già nel titolo L’ombelico del sogno. Un viaggio onirico (Einaudi, 2023), Vittorio Lingiardi sottolinea la dimensione ignota, l’esplorazione interminabile di un’esperienza universale e quotidiana. Tante domande – perché sogniamo, a che cosa serve il sogno, siamo responsabili del nostro materiale onirico? – che non approderanno mai a una risposta definitiva, nemmeno a una sistematizzazione teorica. Anche il terapeuta, che durante la sua pratica clinica ha ascoltato un numero infinito di sogni, non ha mai un’interpretazione sola. Perché le possibilità di associazioni, letture, amplificazioni di un sogno possono continuare per tutto l’arco della nostra vita.
“Ho scelto di scrivere un libro sul sogno, dice Lingiardi, perché mi sembra l’ultimo luogo dove possiamo rimanere con noi stessi e la compagnia che ci abita. I sogni sono nostri, l’ultimo spazio di vita privata, forse di libertà”.
L’ombelico del sogno è diviso in tre parti. Divinazioni ripercorre la mitologia greca e la filosofia antica, le diverse tradizioni religiose, Il libro dei sogni di Artemidoro, “diario terapeutico-religioso” che incuriosisce Freud. Entrambi hanno un pubblico a cui vogliono trasmettere un metodo: Artemidoro prende le distanze dall’astrologia e dà indicazioni sulla formazione degli oniromanti, ma “il duello tra materialismo razionalista e suggestioni divinatorie, che spesso è una sfida tra sé e sé, continuerà nei secoli fino ai giorni nostri”.
Il secondo capitolo, Interpretazioni, è dedicato alla riflessione psicoanalitica. Come oggi non convince più la sua metapsicologia, così appare superata la rappresentazione di Freud di un sogno da smascherare, dove le immagini manifeste hanno un contenuto latente (e prevalentemente sessuale). Lingiardi riparte dalla bella definizione di Freud di “una forma particolare di pensiero resa possibile dalle condizioni dello stato di sonno”, per approdare a una rappresentazione del sogno “come una narrazione involontaria della notte che può portare associazioni nel dormiveglia”. Ancora pochi decenni fa si era un po’ tutti “freudiani” nello stipare ogni interpretazione onirica, anche nel caso di sogni traumatici, in un unico cassetto, quello della soddisfazione di un desiderio legato a pulsioni e avvenimenti del passato. Oggi invece siamo, forse, un po’ tutti “junghiani” nell’attenzione agli effetti di compensazione che l’attività onirica produce rispetto a quanto avviene alla luce del sole, in quel botta e risposta tra giorno e notte che amplifica il dialogo tra le parti del nostro parlamento interiore. E non ci si occupa principalmente di qualcosa che non c’è più, il nostro passato, ma intuiamo piuttosto una funzione prospettica che guarda al futuro.
Nei confronti dell’inconscio Freud ha una posizione difensiva, ci vogliono le dighe per “prosciugare lo Zuiderzee”, Jung, potremmo dire, immersiva. I sogni sono “proprio ciò che rappresentano”, “non ingannano, non mentono, non falsificano, non nascondono nulla, ma enunciano ingenuamente ciò che essi sono e ciò che essi intendono (…) non ricorrono ad artifici per celarci qualcosa, ma dicono ciò che forma il loro contenuto, nel modo per essi più chiaro possibile”. L’inconscio esprime qualcosa che “l’Io non sa e non capisce”. E sono stati proprio i sogni ad allontanare Freud da Jung. Mentre, nel 1909, sono in viaggio per gli Stati Uniti, decidono di raccontarseli. Jung però ha l’impressione che Freud non capisca molto dei suoi, mentre Freud è reticente, non è disposto a svelare contenuti troppo privati. Quando Jung lo incalza, Freud esclama “Non posso mettere a repentaglio la mia autorità!”, così, di fronte a quello che aveva “nominato” suo principe ereditario, la perde proprio in quel momento.
La psicoanalisi continua a studiare e a occuparsi dei sogni immaginando sempre meno steccati tra sonno e veglia, avvertendo la fluidità delle diverse funzioni. Per Bion sognare è l’“elemento strutturante della vita mentale”, l’attività necessaria per “pensare i pensieri”. Un pensiero capace di elaborare e metabolizzare gli stimoli immediati e grezzi che arrivano dal mondo e dal corpo (elementi beta) trasformandoli in elementi alfa capaci di simboleggiare e rappresentare la realtà. “La capacità di sognare dà continuità alla vita mentale: veglia, sonno, fantasia, sogno”. I sogni non sognati di Ogden esprimono il malessere, i diversi disturbi psichici che impediscono di sognare la propria esperienza. Pensiamo a chi soffre d’insonnia, condizione molto diffusa, segnata da ore di ansia e rimuginio senza sogni.
Bromberg capovolge Freud, è il sogno che diventa il guardiano della veglia. Sognare è un diverso stato di coscienza, “la più comune delle attività dissociative della mente”, l’onirico è quel luogo che aiuta a imparare a stare tra gli spazi.
Lingiardi non crede che esista “una corrispondenza specifica tra forme/contenuti onirici e livelli di organizzazione della personalità”, ma una breve disamina delle caratteristiche che possono assumere sogni nevrotici, borderline, psicotici offre un’idea del funzionamento di diversi mondi mentali.
Come è accaduto con molte altre intuizioni analitiche – pensiamo al rapporto madre bambino prima che esistessero gli strumenti diagnostici attuali – le acquisizioni neurobiologiche confermano l’impossibilità di separare mente corpo e cervello, una connessione di cui il sogno è una componente fondamentale.
Il terzo capitolo, Neurovisioni, riprende aspetti del dibattito tra psicoanalisti e neuroscienziati – tanti gli stimoli da approfondire. Da quello sui sogni lucidi – che godono di ottima fama forse per l’idea, un po’ onnipotente, di poter controllare anche il contenuto onirico, ma sono anche oggetti di ricerche recenti che sperimentano la possibilità di comunicare con chi è in una fase di sogno lucido –, alle raccolte di sogni effettuate in passaggi storici cruciali (dal Terzo Reich, al rapimento Moro, all’attentato alle Torri Gemelle). Soffermarsi sul come, in una situazione estrema, il paesaggio esterno impregna la realtà della psiche, permette di individuare le concatenazioni tra le visioni di cui siamo spettatori passivi a quelle che produciamo in proprio. Un significato importante per il singolo può così contribuire a rappresentare l’immaginario collettivo di un’epoca.
La pandemia ha prodotto un materiale enorme sui sogni raccolti in diverse parti del mondo. Lingiardi si sofferma sul campione raccolto dal quotidiano “la Repubblica”, si dice sorpreso della quantità di sogni di maternità. Sappiamo che durante Covid il tasso di natalità invece è sceso. Ma i sogni hanno compensato l’angoscia di morte e dato una forma al desiderio di nascita e rinascita.