Sorellanze che irrompono
Sorellanze, scritto a quattro mani da Silvia Lippi e Patrice Maniglier (Derive e Approdi, 2024), irrompe nella teoria psicoanalitica come uno squarcio, introducendo una discontinuità anche sotto il profilo culturale, facendo luce su una cultura patriarcale, fallocentrica, gerarchica e competitiva, che permea le nostre relazioni sociali in modo così profondo da essere ormai quasi inconsapevole.
Ma come può un testo essere traumatico? Certo, si tratta di una metafora, possiamo richiuderlo e liberarcene: un testo, ovviamente, non ha la capacità di imporsi alle nostre menti e al nostro equilibrio psichico. Siamo davanti a una scelta: ripristinare le nostre sicurezze o provare a immaginare sotto una nuova luce? Una frase ci guida verso lo spirito della scrittura e del pensiero che permea il testo: “poiché la gioia di pensare è senza dubbio una delle più grandi che ci siano”.
Ciò che gli autori propongono è un sapere simile all’esperienza dell’inconscio. Per dirlo con un termine lacaniano, “tocca il reale”, modificando il nostro modo di vedere le cose, toccando la vita, risvegliandoci. Il tentativo, in queste pagine, è pensare un mondo animato esclusivamente dalla logica della sorellanza: una logica che prevede una solidarietà non competitiva, un legame non gerarchico, che apra lo spazio all’alterità, alla differenza e alla libertà di poter dire e ridere insieme. Si tratta di un’utopia, un miraggio, un pensiero visionario, ma possiamo almeno osare immaginarlo?
A partire da questa visione, gli autori si chiedono se la psicoanalisi abbia contribuito o meno a introdurre nel pensiero, nella cultura, nella società il pensiero femminista. Occorre fare un breve riepilogo del contributo della psicoanalisi freudiana e lacaniana sulla femminilità.
La premessa, per chi non ha familiarità con la psicoanalisi, è che la pulsione sessuale orienta il desiderio e le relazioni interpersonali. Da qui deriva l’equiparazione tra pulsione, desiderio, godimento e configurazioni psichiche del maschile e del femminile.
Freud, ascoltando le donne, ha potuto inventare la psicoanalisi, aprendo uno scenario inedito sulla loro vita amorosa e sessuale. La concezione freudiana della femminilità è fallocentrica, ma Freud portava il marchio della sua epoca, regolando la femminilità sul fallo, simbolo della castrazione. Nell’inconscio, l’essere femminile sarebbe irrimediabilmente segnato da una mancanza. È un punto di vista che nasce dal confronto immaginario tra i corpi maschile e femminile. L’uomo, avendo il fallo, si pensa completo, mentre la donna sarebbe segnata da un’incompletezza irrimediabile, carica di delusione, rivendicazione, avidità e rivalità eterna tra i sessi. L'unico modo per la donna di giungere alla completezza sarebbe avere un figlio, sostituto del fallo.

Il femminismo ha ritrovato dunque, negli scritti di Freud, stereotipi insopportabili che dipingono la donna come un essere privato, segnato da un sentimento di inferiorità. Freud stesso era consapevole dei limiti di questo approccio: alla fine della sua vita dichiarò che l’enigma della femminilità non si risolve nel complesso di castrazione, demandando agli artisti e ai poeti l’arduo compito della sua decifrazione.
Lacan ha apportato un certo avanzamento alla teoria freudiana. Ha formalizzato l’Edipo freudiano separando le funzioni materna e paterna dal sesso biologico di chi le svolge. Si è opposto a una psicoanalisi che riporterebbe la donna alla madre e l’uomo al bambino, o a un suo sostituto. In questo modo, rovesciando la supremazia del padre nella logica patriarcale, Lacan arriva a dire che il padre non è un nome, ma una funzione. Già negli anni Trenta, con grande anticipo, diagnosticò il declino del padre onnipotente.
Riguardo alle donne, Lacan le ha descritte a partire dal loro godimento, concepito come supplementare ed eccedente rispetto agli uomini: un godimento “al di là del fallo”. Ma cosa significa? Smarcandosi dal sesso biologico, parlando di “la parte chiamata donna” e “la parte chiamata uomo” per sottolineare che anche un maschio può essere nella posizione femminile, ha mostrato come l’uomo sia vincolato a un tipo di godimento legato al fallo, limitato a questa zona erogena, mentre la donna può godere del piacere fallico, ma anche di un godimento supplementare, non localizzato, esteso in tutto il corpo, indicibile. Un godimento che, per lo psicoanalista francese, avvicinerebbe il femminile alla mistica. Il godimento femminile è senza forma né ragione. Il fallo dunque, in questa prospettiva, può essere un ingombro, può inebetirlo, renderlo idiota. A questo proposito Lacan chiama il godimento fallico anche godimento dell'idiota: “Idiota da intendere qui nel senso del greco idiòtes, particolare, proprio a sé”; il godimento femminile diventa così una predisposizione alla trascendenza. Lacan ha utilizzato questo godimento come metafora dell’identità femminile.
Se per l’uomo è più facile costruire un’identità ben definita, ma limitante perché omologante, per le donne è impossibile generalizzare un’identità. La “parte chiamata donna” è “non-tutta”: non-tutta presa nella dimensione fallica, non risponde ad alcun universale. Non esistono le donne, ma la donna, una per una.
Tuttavia, secondo gli autori – e qui inizia la loro critica alla teoria lacaniana – il fatto che il godimento femminile vada al di là del fallo implica che essa non possa esistere al di fuori del principio fallico. Gli autori cercano di dimostrare che le donne possono esistere altrimenti. La dichiarazione lacaniana che “la donna non esiste” (nel 1973, in Television), ma che esistono le donne, una per una, condannerebbe le donne a non potersi organizzare come gruppo, movimento di pensiero e di azione. Nel sistema lacaniano, la donna è rappresentata dall’infinito, dal non-tutto e il suo godimento non dà alcuna possibilità di ancoraggio a un’identificazione.
E qui Silvia Lippi e Patrice Maniglier sollevano una questione: non è forse questo un modo per isolare le donne, escludendole dalla possibilità di associarsi? Anche questa teoria lacaniana non fa forse passare la donna sempre e comunque dal principio del fallo? Come è possibile che le donne non possano emanciparsi da questo principio? Per superare queste lacune nel pensiero psicoanalitico, Lippi e Maniglier propongono un altro tipo di solidarietà tra donne, quella che nasce dal trauma: “abbiamo una brutta notizia per gli psicoanalisti lacaniani: la donna esiste. Non da sola, ma istantaneamente nel momento in cui entra in relazione con altre donne, e lo fa senza passare attraverso la figura maschile, insomma, appena diventa sorella e trasforma le altre in sorelle”. Ma che cos’è la sorellanza?
Gli autori si rifanno a Freud e al concetto di sintomo da lui indicato nel testo Psicologia delle masse a analisi dell’Io, osservando che, nel meccanismo di formazione del sintomo, l’identificazione non dipende dal rapporto oggettuale con la persona copiata, ma dal vissuto psichico della stessa situazione. Nel testo in questione ci troviamo in un collegio e una ragazza riceve una lettera da un giovane che ama segretamente che la fa ingelosire, alla quale reagisce con un attacco isterico; alcune delle sue amiche, al corrente della vicenda della ragazza, contraggono l’attacco isterico per via di ciò che Freud definisce “contagio psichico”. Si tratta di un meccanismo di identificazione indotto dal trauma condiviso. Questa solidarietà non si basa sull’empatia, non si tratta cioè di una identificazione immaginaria allo stesso sintomo, ma su una connessione inconscia che permette di condividere un trauma e trasformarlo in un legame sociale. La “sorellanza”, quindi, diventa una modalità di “guarigione” attraverso la condivisione di un sintomo comune, di una trasformazione da elemento di sofferenza a “sintomo felice”. Gli autori suggeriscono che diventare femministi non sia solo una scelta ideologica, ma una risposta vitale a traumi profondi. Secondo gli autori non è in gioco, qui, un trauma derivante dall’inconscio collettivo di Jung, di che trauma si tratta, dunque? Tale teoria del trauma come possibile base del legame sociale femminile è un’intuizione interessante, che andrebbe però argomentata con osservazioni cliniche specifiche, come sempre avviene quando si tenta di introdurre del nuovo in psicoanalisi.

Questo libro sembra un primo tentativo teorico-speculativo di produrre una discontinuità, rovesciando l’assunto che la psicoanalisi rifiuti il femminismo. Il desiderio di rottura emerge anche dal fatto che, a ispirazione della loro tesi, venga evocata la figura e il pensiero di Valerie Solanas, una donna schizofrenica e criminale che attentò alla vita di Andy Warhol e concluse i suoi giorni alla deriva, e la cui opera, il Manifesto per l’eliminazione dei maschi (edito in Italia a inizio 2024) è francamente un delirio. Valerie immagina un mondo utopico totalmente nuovo, libero dalla schiavitù del denaro, che si costituisce a partire da relazioni tra sole donne, reso possibile solo attraverso l’eliminazione di tutti gli uomini. La sua idea delirante “come ogni delirio, è portatore di verità, una verità”: la necessità di inventare un nuovo modo del legame sociale. Silvia Lippi, grazie all’esperienza clinica nella cura della malattia psichiatrica e alla sua elaborazione filosofica intorno alla follia, coglie l’intuizione sottesa al delirio di Valerie, indicativa per una trasformazione logica di un sistema: “l'errore sarebbe prendere troppo letteralmente ciò che Valerie dice, cioè come espressione di un'intenzione, di un obiettivo, di uno scopo, di un progetto ancora incompiuto, mentre il suo dire è già un atto. La sovversione delle donne è proprio l’atto del dire”. Questo dire non si ferma mai, è collettivo e continuo, dando alle donne il coraggio di esprimersi diversamente, sia fisicamente che intellettualmente, nei loro rapporti con gli uomini. In effetti, la grande rivoluzione nel concetto di cura introdotta da Freud fu proprio questa: un uomo si mise in ascolto delle donne, tacendo. Ma possiamo equiparare il libero “dire” in analisi, e il particolarissimo ascolto che avviene in seduta, al “dire” di un collettivo femminile rivoluzionario? Possiamo davvero affermare che l’effetto terapeutico sia lo stesso? Che esempi abbiamo? Purtroppo, la storia ci parla anche di colossali fallimenti delle organizzazioni femministe, anche di quelle nate sotto le migliori stelle. Le dinamiche, cioè, si rivelano quelle che si cerca di combattere: gerarchiche e competitive. Essere donna mette veramente al riparo dalla logica maschilista? Solanas afferma che esiste la donna libera dagli uomini e la donna figlia di papà, ma non siamo forse, ognuna di noi, l’una e l’altra?
Un esempio contemporaneo di sorellanza, secondo gli autori, sarebbe la quarta ondata del femminismo, rappresentata dal movimento #MeToo. L’importanza di questo fenomeno non riguarda la veridicità dei fatti, ma la solidarietà tra donne che hanno iniziato a parlare a partire dal trauma condiviso. Questo atto collettivo ha segnato una discontinuità storica, come in tutte le ondate femministe precedenti. I movimenti femministi hanno operato delle rotture in quanto spinte rivoluzionarie, sono stati atti di cambiamento. Aristofane, nella commedia Lisistrata , 411 a.C., narrava di donne che fecero uno sciopero della sessualità contro le continue guerre scatenate dagli uomini; e Virginia Woolf, contemporanea di Freud, nel 1938, nel romanzo Le tre ghinee, scrive: “se insisti sul fatto che andrai a combattere per proteggere me o il nostro paese, chiariamo, in modo composto e razionale tra noi, che stai combattendo per gratificare un istinto sessuale che non posso condividere; per procurare benefici che non ho condiviso e che probabilmente non condividerò mai; certo non lo fai per gratificare i miei istinti o per proteggere me o il mio paese. Perché, dirò da outsider alla cittadinanza quale sono, come donna non ho un paese. Come donna non voglio un paese. Come donna il mio paese è il mondo intero”.
Sorellanze aiuta a rivedere le teorie psicoanalitiche sulla femminilità sotto una nuova luce, tentando l’impresa visionaria di immaginare un mondo liberato dalla logica della fratellanza fratricida e belligerante, dal fallocentrismo autoreferenziale e competitivo. Si tratta, dunque, di un libro clinico, ideologico o politico? Forse un po’ tutte e tre le cose, l’inizio di una produzione clinica e teorica di cui attendiamo con curiosità il seguito.
In copertina, opera di Laura Berger, The steam bath, 2024.
