Calvino, lo scrittore dei libri impossibili
Anche se il concetto era già emerso nei suoi studi sull’Arcadia di Sannazaro, Maria Corti inventò la categoria di «macrotesto» nel 1975 a proposito di Marcovaldo. E in effetti Calvino, ristrutturando in più occasioni i suoi libri in forme diverse, si presta molto ad essere esaminato dal punto di vista delle trasformazioni di senso che i suoi testi pubblicati prima singolarmente prendono una volta inseriti in un insieme coeso, che poi diventa un altro insieme ancora diverso. A questo proposito, in Calvino fa la conchiglia. La costruzione di uno scrittore (Hoepli, Milano 2023, pp. XVI-830) Domenico Scarpa analizza le varie configurazioni delle raccolte di racconti fino all’edizione del 1958; stesso discorso per le Cosmicomiche. Ma se parliamo di macrotesto non è solo per un omaggio a Maria Corti, che comunque un suo allievo fa sempre molto volentieri. È perché Calvino fa la conchiglia è un perfetto macrotesto. Il libro, almeno apparentemente, è costituito da una serie di capitoli-annali, in cui si svolge cronologicamente il percorso biografico e letterario di Calvino, alternati a capitoli-saggio, che approfondiscono alcuni testi o situazioni o rapporti con altri scrittori in relazione al periodo preso in esame nell’annale contiguo. Questi saggi, a differenza dei capitoli-annali, sono apparsi singolarmente nel corso degli anni in varie sedi e sono qui incastonati in un organismo più ampio, modificati, interrelati a quanto viene detto, o non detto, nell’annale precedente e, più in generale, con l’insieme del volume. Più si va avanti nel libro e più si capisce che il gioco dei capitoli alternati è irregolare. Ci sono annali che hanno approfondimenti saggistici su alcune opere e saggi che entrano nella cronologia evenemenziale. Due esempi per tutti: Se una notte di inverno un viaggiatore, che Scarpa giustamente ritiene uno dei momenti fondamentali del percorso letterario di Calvino, non ha un capitolo-saggio che lo riguardi, ma ha molte pagine dedicate (di fatto, un vero e proprio saggio) nella parte annalistica. E il saggio Dall’alto degli anni sul paesaggio in Calvino, del 2005, viene diviso in tre tronconi e disseminato in tre punti diversi del volume seguendo il filo conduttore della parte annalistica. L’insieme del libro è calibrato nelle sue ramificazioni, nelle sue digressioni, nei suoi continui rimandi ed è veramente un volume che non ha niente a che fare con la classica raccolta di saggi già pubblicati.
Calvino fa la conchiglia è una summa: non solo per le sue 800 e passa pagine, ma perché è volutamente il libro completo su Calvino, che prende in esame tutto quel che riguarda lo scrittore (e anche un po’ di più). Ma nello stesso tempo è un libro che sviluppa una precisa interpretazione di Calvino e della sua opera in continuo divenire. Non a caso Scarpa ha scelto un titolo per niente anodino, ripreso da un saggio del libro. Guardando la copertina, chi non abbia già letto il saggio Autobiografia di una conchiglia, uscito sul fascicolo di «Riga» dedicato a Calvino nel 1995, non capirà che cosa significhi un titolo così strano. Ma poi leggendo il capitolo nel volume, e ancor di più leggendo tutto il libro, comprende perfettamente quello che è il filo conduttore dell’interpretazione di Scarpa. Come Qfwfq in forma di mollusco primordiale nel racconto La spirale delle Cosmicomiche costruisce con secrezioni successive il proprio guscio spiraliforme, la propria splendida conchiglia che lo protegge dal mondo esterno, così Calvino «ha costruito se stesso secondo una legge di sviluppo interno della quale ha cercato di prendere sempre maggiore coscienza per arrivare a governarla, indirizzarla».
La «costruzione» dello scrittore percorre tutto il volume di Scarpa: avviene per continue stasi e rinascite, con continui spostamenti dell’asse dei vari progetti: molteplice e metamorfico, Calvino non ha però mai smesso di inseguire un’idea di unità che tenesse insieme le sue sempre diverse esperienze (la consistency della sesta lezione americana mai scritta?). E in effetti la spirale accomuna un’idea centrifuga e una centripeta: uno slancio a uscire dal cerchio e un ritorno che avvia un nuovo slancio. Ogni libro di Calvino è come se lo scrivesse una persona diversa, ricominciando sempre (quasi sempre) da zero. Ma Scarpa specifica che in queste continue scommesse Calvino non mira a scrivere libri estremi, bensì libri impossibili. «Un libro impossibile, una volta che tu sia riuscito a scriverlo, crea nuove possibilità, apre nuovi spazi per te e per gli altri, laddove il libro estremo – se veramente è degno del nome – è quello con cui tu arrivi a un punto oltre il quale non c’è più nulla, e lì o ti rassegni a tornare indietro, o ci rimani piantato per sempre». Il ragionamento è convincente soprattutto per il secondo Calvino, quello che inizia negli anni Sessanta con le Cosmicomiche e ha le sue vette con Le città invisibili, Se una notte d’inverno un viaggiatore («il libro più impossibile che abbia mai tentato») e Palomar. Ma certamente un libro impossibile è stato per certi versi anche La speculazione edilizia.
Se l’intento di Calvino era di sparire nella propria costruzione letteraria, come il mollusco primordiale, Scarpa ci mostra in tutto il suo libro quali e quanti siano però i riferimenti autobiografici palesi e nascosti disseminati nelle opere dello scrittore. Ma ci dice anche che l’autobiografia in Calvino raramente si presenta come cronistoria dell’io legata a eventi puntuali. Piuttosto è un’autobiografia privata e collettiva nello stesso tempo, che riassume mutamenti impercettibili nella storia di lunga durata o addirittura nelle relazioni geologiche o cosmiche (ancora una volta Qfwfq si presenta come l’alter ego di Calvino più ambizioso).
L’aspetto biografico del libro di Scarpa non viene svolto solo attraverso le decodificazioni delle opere di Calvino, ma con una massa ingente di documenti: lettere, interviste, appunti, testimonianze di altri autori che parlano di Calvino o che scrivono di lui. Un ritratto polifonico che segue Calvino passo passo dall’infanzia alla morte con continui cortocircuiti inattesi, piccole e grandi illuminazioni.
Di certo un punto di forza del libro è la vena narrativa. Sia le parti annalistiche sia quelle saggistiche prendono spesso l’avvio da un evento, una data, un luogo preciso e da lì si procede per sviluppi, analogie, incroci che allargano lo sguardo dal teleobiettivo al grandangolo. Questo modo di procedere deriva probabilmente dalla scuola dell’Atlante della letteratura italiana, pubblicato in tre volumi da Einaudi fra il 2010 e il 2012, diretto da Sergio Luzzatto, Gabriele Pedullà e dallo stesso Scarpa, senza contare che un paio di saggi del libro provengono proprio da lì.
E a proposito di saggi, voglio segnalare quello che forse è il mio preferito e che trova echi in tutto il resto del libro. Si intitola Un’intercapedine in me e parte da un’indagine filologica del Sentiero dei nidi di ragno. La prima redazione del romanzo, presentata al premio Riccione del 1947, aveva un incipit poi caduto nell’edizione Einaudi di poco successiva. Nella frase tagliata il primo sostantivo era intercapedine. Scarpa va a scovare un racconto coevo in cui la stessa parola ricorre più volte, e poi altri testi o documenti in cui la stessa parola, non esplicitata, torna come concetto. Da quella parola cassata Scarpa lavora come uno psicanalista di fronte a una negazione, sonda le ragioni di quella rimozione e a poco a poco capiamo quanto l’«intercapedine» sia stata un’idea fissa che, al di là delle continue metamorfosi, Calvino si è portato dietro tutta la vita. L’intercapedine era per lui quello spazio vuoto tra pensiero e scrittura, o fra scrittura e cose, assolutamente fondamentale per poter procedere nel proprio lavoro letterario. E, autobiograficamente, lo spazio vuoto tra l’infanzia-adolescenza e l’età adulta. La filologia, nelle mani di Scarpa, diventa uno strumento per un’interpretazione complessiva dello scrittore e dell’uomo. Anche se non è strettamente filologia, aggiungo qui che nel volume si dà conto per la prima volta di un racconto giovanile di Calvino, raccolto in un libro collettivo curato da Alessandro Curzi (quello che molti anni dopo sarebbe diventato direttore del Tg3) e pubblicato nel 1949 dalla Fgci, la Federazione Giovanile Comunista, diretta allora da Enrico Berlinguer. Sì, il libro di Scarpa è anche erudizione (fortunatamente) e curiosità, ma non dimentica mai i suoi fili critici e narrativi.
Anche per questo Calvino fa la conchiglia è e resterà a lungo un libro fondamentale su Calvino, ma è nondimeno un libro fondamentale per la «costruzione di un critico», che è sicuramente fra i migliori in Italia.