Speciale

Campioni # 12. Massimo Gezzi

2 Ottobre 2015

Resistono negli occhi, oppure nella mente,

le lamelle di luce che stamattina

incidevano losanghe sul pavimento della camera.

Sopra il letto gli ammennicoli di sempre:

valigia, vestito, zaino, per un percorso

che ricomincia tutti i giorni,

a ogni svolta di corridoio. Ma dopo,

quando nell’atrio qualcuno ti incrocia

o ti fa cenno, ancora confidi

che i colori più accesi del mattino

o il fondale di una finestra

sappiano stringerti le spalle, a te e ai tuoi compagni

innominati di viaggio: «Perde il lavoro

e si getta dal cavalcavia»,

avete letto poco fa sul giornale

che uno compitava a pagine spiegate,

sbadigliando per il sonno.

Rimandi uno sguardo al paesaggio,

alla luce del primo giugno, alle stazioni.

La vostra dimenticanza è gentile:

non lo fa di proposito a lasciare

ogni cosa com’è.

Il suicida risale sul ponte col rewind.

Adesso lui ha girato, è già alla pagina di sport.

 

(da Il numero dei vivi, p. 65)

Massimo Gezzi, ph. Daniele Maurizi

 

Dimenticanze fa parte di Il numero dei vivi, la terza raccolta di poesie di Massimo Gezzi. A sei anni dal libro precedente, L’attimo dopo (Sossella 2009), e a undici dall’esordio, Il mare a destra (Edizioni Atelier 2004), l’ultima opera presenta sia elementi di continuità sia elementi di rottura con il passato.

 

Nei due libri precedenti Gezzi si comporta sempre da poeta lirico. Usa la prima persona, descrive un percorso di crescita individuale e la scoperta di un destino. Anche nel Numero dei vivi viene usata la prima persona singolare, ed emergono particolari biografici del personaggio che dice io: la professione di insegnante (Traccia n. 4); la vita in Svizzera, nel Ticino (Due ritrattazioni, Strillo); la recente paternità (Tre per una figlia). Infine, tre poesie contengono destinatari (o dedicatari) espliciti: Fabio Pusterla, Adelelmo Ruggieri, Franco Buffoni. L’allocuzione e i riferimenti biografici contribuiscono a rendere l’io concreto, lo riconducono a una esperienza empirica credibile; inoltre creano una forma di colloquio con il lettore.

 

Nelle dichiarazioni di poetica (ad esempio in una Apologia della lirica del 2008) Gezzi ha rivendicato una idea di poesia lirica fuori dagli stereotipi: non strumento di effusione sentimentale, bensì genere in grado di trasporre il pensiero, esprimere la presenza dell’altro, confrontarsi con il tempo storico. La poesia, dunque, ha una funzione comunicativa. In un intervento più recente ribadisce la necessità di diseroicizzare il personaggio che prende la parola, per contrapporsi a una idea intimista e suicentrica della lirica e per sottrarsi all’immagine stereotipata del poeta vate, depositario di un privilegio. Ma come fare, per rendere la prima persona un punto di vista non privilegiato? Le strategie principali adottate nel Numero dei vivi sono due. Per evidenziarle, può essere utile considerare un testo dalla raccolta. Torniamo dunque a Dimenticanze.

 

L’ordine naturale del discorso vorrebbe un soggetto seguito da un verbo, ma il primo verso di questa poesia vede il predicato in primo piano. «Resistono» è la prima parola del testo; il soggetto logico, «le lamelle di luce», è dislocato al secondo verso. L’incipit introduce il lettore nel qui e ora di Dimenticanze, mentre i versi dal secondo al settimo creano una intersezione con un secondo piano temporale, stavolta al passato: ciò che resiste negli occhi è la luce di un mattino appena trascorso, metonimia del viaggio attraverso la quotidianità dell’esistenza. Il secondo periodo (vv. 4-5) è costruito attraverso un elenco, formula già tipica dei testi dell’Attimo dopo; si profila un interno domestico, simile ad altri descritti in questo libro (Discorso, Ipotesi per una casa, Unisci i puntini). Da un punto di vista semantico, gli oggetti elencati rimandano ancora alla dimensione del viaggio («valigia, vestiti, zaino per un percorso / che ricomincia tutti i giorni»). Il settimo verso termina con una avversativa seguita da una congiunzione temporale («Ma dopo»), che introduce l’azione centrale della poesia, di nuovo al presente: l’incontro con altre persone, «compagni / innominati di viaggio». In questo punto del testo è da notare l’iperbato, che crea una nuova inversione dell’ordine sintattico naturale, stavolta riguardante sostantivo e complemento di specificazione. Insieme agli sconosciuti compagni di viaggio, il “tu” compie un gesto in apparenza privo di importanza: sbircia fra le pagine di un giornale aperto da un’altra persona; vi legge del suicidio di un uomo dopo la perdita del lavoro. La notizia produce turbamento per un istante, quindi l’attenzione passa alle pagine sportive, che il proprietario del giornale sta sfogliando.

 

Dimenticanze non è un testo sperimentale dal punto di vista della forma. La poesia di Gezzi è solitamente caratterizzata da una sintassi piana, all’interno della quale le parole hanno un significato referenziale e mai opaco: la diseroicizzazione dell’io lirico passa innanzitutto attraverso la creazione di una lingua comunicabile, priva di oscurità. Ciò non vuol dire che la forma non conti e che il linguaggio sia appiattito: al contrario, il lavoro di innovazione continua sia attraverso il confronto con la tradizione precedente e contemporanea (soprattutto con Sereni, Montale, Fortini; ma anche con Pusterla, Anedda, Mazzoni); sia attraverso un rinnovamento che nel Numero dei vivi conosce punte inedite rispetto ai libri precedenti.

 

In alcuni testi la sperimentazione riguarda il modo in cui sono disposti i versi nello spazio tipografico (Sette raccomandazioni alle foglie cadenti, Otto fotografie su una bacheca) o la rinuncia al verso (con le prose di Corpi e di Nove cose che capitano). In altri – ed è senz’altro più interessante – la novità è la scomposizione del soggetto. Veniamo, dunque, alla seconda strada intrapresa dall’autore per rinnovare la prima persona poetica.

 

Se guardiamo alla voce che prende la parola, il primo aspetto sperimentale è la struttura della raccolta. Il numero dei vivi si compone di quattro sezioni: la prima, Zero, comprende un unico testo d’apertura (e, in un certo senso, di poetica); segue Uno, costituita da dieci poesie, ciascuna contenente un numero nel titolo in ordine progressivo; quindi Più gli altri, con tredici componimenti nei quali non è mai usata la prima persona singolare; infine Il numero dei vivi, dove compare il maggior numero di riferimenti all’io biografico. Nei testi delle due sezioni centrali talvolta compare una voce impersonale, che può ricordare Senza paragone di Gherardo Bortolotti e molte poesie di Umberto Fiori: è il caso di Nove cose che capitano, formata da nove prose con lo stesso incipit, «Uno», seguito da un verbo al presente alla terza persona singolare. In altre poesie l’io assume più esplicitamente la voce di persone diverse dall’autore: è quanto accade in Corpi, dove il punto di vista varia da una prosa all’altra, con una escursione che va dal cadavere di un immigrato clandestino («Incrostato di feci, sudore, urina, miei e di altri. / Divorato dalla diarrea, debilitato dal digiuno. / Infine già a picco, fradicio come un’alga in mezzo ad altri cinquanta / cadaveri clandestini») al corpo di una donna sconosciuta («Da ragazza mi piaceva masturbarmi con le matite. / Mi sedevo sulle canne mozze, sulle radici più nodose»).

 

Ma torniamo al testo di partenza. In Dimenticanze c’è un terzo tipo di voce che prende la parola. Chi parla è un personaggio anonimo, che si rivolge a un destinatario altrettanto imprecisato, usando la seconda persona singolare («ti incrocia», «ti fa cenno», «confidi», «stringerti», «rimandi»). È a se stesso che parla? Ai propri lettori? Molti testi del Numero dei vivi hanno una struttura enunciativa di questo tipo; e non è una novità, dal momento che buona parte delle poesie dell’Attimo dopo è costruita allo stesso modo. Tuttavia, mentre nel libro del 2009 il tu può quasi sempre essere identificato con il soggetto stesso, che a sua volta coincide con l’autore, ciò non accade nel Numero dei vivi, dove l’io e il tu rimangono molto più sfumati. Un esempio paradigmatico è Colloquio con l’ombra: qui viene rappresentata una persona in una camera da letto, alla quale il soggetto dei verbi si rivolge usando la seconda persona singolare; ma non sappiamo neanche se si tratti di un uomo o di una donna («Ti siedi. Sei un uomo o una donna»). L’impersonalità di chi parla e del destinatario sembra suggerirne l’intercambiabilità. Non importa individuarne l’identità biografica; e ancora meno importante è identificarla o meno con l’autore. Va accettata, invece, la dimensione creata dal soggetto di enunciazione: nel Numero dei vivi l’autore è in mezzo agli altri, la loro esperienza è anche la sua. Gezzi vuole descrivere situazioni comuni  e, testimoniandole, rinnovare una funzione etica della poesia. Dimenticanze descrive con un linguaggio medio una vicenda tragica, ma anche banale: persone semi-sconosciute condividono per caso la notizia di un suicidio (e la fonte è una pagina di giornale, come già in una poesia molto bella di Umana gloria di Mario Benedetti); la tragicità dell’evento passa presto in secondo piano, quasi inosservata («Il suicida risale sul ponte col rewind. / Adesso lui ha girato, è già alla pagina di sport»). Il rapido oblio crea un effetto di straniamento; tuttavia chi scrive non ha un tono di denuncia. La dimenticanza è «gentile: / non lo fa di proposito a lasciare / ogni cosa com’è», dove «gentile» sembra quasi ricalcare l’odio «cortese» di Traducendo Brecht di Fortini, ma con un tono del tutto diverso.

 

La superficialità verso il dolore a noi estraneo in quanto lontano – tema caro ad altri autori, ad esempio Antonella Anedda, nonché a poeti più distanti da Gezzi, come Alessandro Broggi – è un elemento della vita contemporanea. «Voglio provare a dire la verità del tempo in cui vivo, scrutandone le intersezioni con la mia esperienza, con la mia Erlebnis» ha scritto Gezzi. Questo intento si concretizza, da un lato, in testi nei quali la storia entra in modo esplicito, con riferimenti a eventi collettivi (La notte di Natale, Cinque finestre); dall’altro in poesie come Dimenticanze, nelle quali si parte da una esperienza privata, dalla lettura distratta di un giornale.

 

«Rimandi uno sguardo al paesaggio, / alla luce del primo giugno, alle stazioni»: se una componente di oblio e di indifferenza è inevitabile per una sopravvivenza non schizofrenica, la scrittura poetica – sembra suggerire Gezzi – può costituire una forma di accettazione non passiva. In una delle più famose poesie del secondo Novecento incentrata su un suicidio, T. S. di Milo De Angelis, si legge che «gli occhi non resistono». In Dimenticanze Gezzi crea quasi un controcanto  (non importa se consapevole o frutto di memoria letteraria) all’immagine del perdente o del tentato suicida che costella le poesie di De Angelis: nonostante la tragicità di un suicidio e la anche maggiore tragicità del suo oblio, «Resistono, negli occhi, oppure nella mente / le lamelle di luce». Questo incipit richiama la conclusione del primo testo del Numero dei vivi: «Difendi questa luce, se sei un nulla / come tutti. Difendi questo nulla / che non smetti di essere. Smetti tu di tirare / righe scure, di cancellare. Tocca il tavolo, la carta. / Impara un’altra volta a far di conto: / non sottrarre allo zero, aggiungi uno».

 

Il numero dei vivi è una raccolta di poesie nella quale viene usata anche la prima persona. Allo stesso tempo, è un libro che cerca di raccontare l’esistenza umana, e lo fa adottando punti di vista molteplici. Costituisce, per questo, un nuovo tassello dell’ambizioso progetto di una lirica del quotidiano, sul quale Massimo Gezzi concentra il lavoro di questi anni.

 

 

Il libro: Massimo Gezzi, Il numero dei vivi, Donzelli, marzo 2015, pp. 104, € 17.

 

Ascolta:

Massimo Gezzi, Dimenticanze

 

 

Massimo Gezzi (Sant’Elpidio a Mare, 1976) ha pubblicato i libri di poesia Il mare a destra (Atelier 2004), L’attimo dopo (Sossella 2009, Premi Metauro e Marazza Giovani) e Il numero dei vivi (Donzelli 2015, Premio Carducci) più la plaquette trilingue In altre forme/En d’autres formes/In andere Formen, con traduzioni in francese di Mathilde Vischer e in tedesco di Jacqueline Aerne (Transeuropa 2011). Ha curato (con Thomast Stein) L’autocommento nella poesia del Novecento: Italia e Svizzera italiana (Pacini 2010); l’edizione commentata del Diario del ’71 e del ’72 di Montale (Mondadori 2010) e l’Oscar Poesie 1975-2012 di Franco Buffoni (Mondadori 2012). In Tra le pagine e il mondo (Italic Pequod 2015) ha raccolto dieci anni di interviste ai poeti e recensioni a libri di poesia. Vive a Lugano, dove insegna italiano presso il Liceo 1.

 

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