Sporcare il White Album

14 Ottobre 2014

Quando nel 1968 l’artista Richard Hamilton propose una copertina interamente bianca per il nuovo album dei Beatles, forse non aveva realizzato quello che in effetti stava facendo: stava dando a milioni di persone, di qualunque estrazione sociale e di ogni parte del mondo, una tela bianca. Quasi 50 anni dopo, un altro artista, Rutherford Chang, si è posto una domanda apparentemente semplice: cosa ne è stato di tutte quelle copertine immacolate? Cosa ne hanno fatto i loro proprietari? È nato così il progetto We Buy White Albums, dove Chang colleziona copie della prima edizione del disco, scegliendo non quelle meglio conservate ma al contrario quelle più “sporcate” dal tempo o dagli ascoltatori.

 

 

Le copie con il numero di serie che indica la prima tiratura sono circa 3 milioni: attualmente Chang ne possiede 1.034: “Ogni copia racconta una storia – ha spiegato in un’intervista a Dust & Grooves –. Ognuna è invecchiata in modo unico nel corso degli ultimi cinquant’anni. Le copertine sono state senza dubbio molto amate/abusate! Le tele bianche sono state personalizzate con qualunque cosa, da nomi scarabocchiati a elaborati dipinti”. Periodicamente Chang espone le sue copie in una mostra (l’ultima si è tenuta a Liverpool lo scorso settembre), allestita come un negozio di dischi dove però non si vende nulla: è l’artista che compra altre copie dell’album.

 

L’idea di una copertina totalmente bianca era nata quasi per scherzo. «Avete mai fatto un album intitolato semplicemente The Beatles?», aveva chiesto un giorno Richard Hamilton a Paul McCartney. Paul controllò, e in effetti un disco con un titolo del genere ancora non c’era. Era sempre The Beatles con qualcos’altro: With The Beatles, Beatles For Sale, eccetera. Hamilton, reclutato da Paul per progettare la copertina dell’album che doveva seguire Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band, cominciò quindi a lavorare in una direzione totalmente opposta all’affollamento psichedelico della copertina di Sgt.Pepper (anche questa concepita da un artista, Peter Blake).

 

 

Venne fuori l’idea di una copertina completamente bianca, con la scritta The Beatles in rilievo e il numero di serie come unico elemento stampato. Era una specie di gioco, come ha spiegato lo stesso Hamilton: dare l’idea di una edizione limitata per un oggetto che in realtà sarebbe stato stampato in milioni di copie. Ma il minimalismo della copertina rifletteva anche il cambiamento stilistico che i Beatles stavano attraversando. Dopo l’orgia di suoni e psichedelia di Sgt.Pepper, il gruppo era stato in ritiro spirituale in India, dove aveva composto la maggior parte del nuovo materiale suonando su chitarre acustiche. Inoltre in quel momento i Beatles non erano più neanche un vero gruppo: la scomparsa del manager Brian Epstein (avvenuta nel 1967 per un’overdose di barbiturici) aveva portato alla luce i conflitti tra i singoli Beatles, e il nuovo album li rifletteva: molte canzoni (I’m So Tired, Blackbird, Long Long Long) le avevano incise ognuno per conto proprio, lavorando contemporaneamente in sale di registrazione diverse. L’essenzialità del White Album restituiva anche i mutamenti del clima sociale: dalla “Summer of love” del 1967 si era passati alle rivolte studentesche del 1968, colte immediatamente da John in Revolution, il singolo che anticipava il nuovo album.

 

 

Per i Beatles il bianco doveva segnare un nuovo corso nella vita del gruppo, ma la purezza della copertina appena stampata pian piano si trasformò in qualcos’altro, sporcata dagli anni trascorsi e dagli “interventi” dei proprietari sulle singole copie. La maggior parte degli esemplari raccolti da Chang sono segnati dal tempo: i bordi della copertina sono ingialliti e si intravede il cerchio del vinile all’interno, oppure ci sono macchie di mille forme diverse (una selezione delle copertine raccolte da Chang si può vedere on line qui). Molti proprietari hanno provato a rimediare all’anonimato della copertina colorando la scritta The Beatles o scrivendo direttamente il nome del gruppo, anche se in alcuni casi qualcuno si è divertito a confondere le carte: il proprietario della copia 9650132 ha aggiunto la scritta PUBLIC IMAGE LTD. (il gruppo di Johnny Rotten dopo i Sex Pistols), e sulla copia A1972406 c’è scritto Magical Mystery Tour (un altro album dei Beatles). In molti altri casi i proprietari hanno scritto invece il proprio nome, marcando così il possesso dell’oggetto.

 

 

Le copie più interessanti però sono quelle dove la copertina è stata usata proprio come un foglio bianco, o una tela bianca: un posto dove scrivere poesie (A1515685), raccogliere le dediche degli amici (A2263653), oppure disegnare fiori (0849462), cuori (0817981), simboli della pace (0481897) o una marea di puntini (A2064084). Alcuni si sono spinti molto oltre, ai limiti dell’arte contemporanea: la copia 1078632 ha un taglio che la rende simile a un’opera di Lucio Fontana, mentre il proprietario della copia 0276938 ha dipinto l’album bianco di bianco (naturalmente a questo punto sarebbe interessante sapere cosa sia successo alla prima copia del White Album, la numero 0000001: a quanto ne sappiamo, prendendo come riferimento la bibbia di ogni beatlefan, la Beatles Anthology, dovrebbe trovarsi tutt’ora a casa di Ringo).

 

L’esperimento di Chang è interessante perché si svolge a cavallo tra due epoche musicali (e non solo): quella della cultura popolare di massa, incarnata dal vinile, e quella in cui viviamo oggi, dove la musica ha abbandonato qualsiasi supporto fisico ed esiste solo in una nuvola virtuale. Il White Album può essere visto allo stesso tempo come un gioco sulla riproducibilità dell’opera d’arte ma anche come un’anticipazione, per quanto involontaria: il primo esempio in cui la musica pop comincia a staccarsi dal proprio supporto, quasi annullando la copertina.

 

 

Così si spiega forse il fascino particolare che quell’album continua a esercitare fra tutti quelli della discografia beatlesiana: nonostante la sua copertina immacolata, si tratta di un disco molto oscuro, che sembra sempre nascondere qualcosa. Ad ogni ascolto ci si aspetta quasi che una canzone mai sentita spunti tra le tracce dei due vinili. Sarà per la struttura molto particolare del disco, con i brani inframmezzati a volte da mini-canzoni neanche riportate nella tracklist. Sarà perché tutto il disco risente dell’aura di Revolution n. 9, un collage di rumori e suoni dove per nove minuti si aspetta l’inizio di un brano che non comincerà mai. Sarà per l’infinita varietà di generi e stili musicali che i Beatles affrontano nel disco. Ma di certo parte del merito va proprio alla copertina di Hamilton, che dà carta bianca all’immaginazione degli ascoltatori.

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